Neue Fabrik
Sep 30, 2022
Due estratti da due diversi articoli di Terzo Giornale
di MICHELE MEZZA e MARIO PEZZELLA
1.
Da Stoccolma a Roma, una cortina reazionaria sta calando sull’Europa. Si potrebbe parafrasare il celeberrimo ammonimento di Churchill sulla cortina di ferro per dare un contesto più organico e completo alla vittoria della destra in Italia. Quanto è accaduto domenica, infatti, non è l’effetto di insipienze e pasticci di dirigenti incapaci o inadeguati; tanto meno l’effetto di prodigiose campagne elettorali.
(...) In un magnifico film di Luigi Magni, In nome del Papa re, un grande Manfredi che interpreta un abate di curia, parlando con un cardinale alla vigilia di Porta Pia, gli dice: “Eminenza, qui non è che finisce tutto perché arrivano i piemontesi, qui arrivano i piemontesi perché è finito tutto”. Cerchiamo allora di capire cosa e dove sia finito tutto prima dell’arrivo dei barbari.
Lo spostamento consistente e diffuso dell’elettorato italiano a destra è un processo che viene da lontano, e soprattutto ha una dimensione globale. Se proprio vogliamo dare un giudizio sintetico circa quanto è accaduto, potremmo dire che in Italia è cambiato poco dal 2018: i voti, che già videro una prevalenza delle componenti più populiste, si sono concentrati verso un’area più strutturalmente reazionaria, ma il campo della sinistra è rimasto sostanzialmente quello, dopo le mille contorsioni di questo quadriennio, in cui pandemia, guerra e recessione economica sembrano essere passate come acqua su vetro. In realtà, è cambiato il mix di interessi e di composizione sociale del voto di destra, così come lo è stato in Europa.
(...) ... il tramonto, ormai irreversibile, del vecchio patto fra capitale e lavoro ha lasciato un cratere che la sinistra non riesce a colmare.
Questa è la matrice della sconfitta, non i balbettii di Letta o l’amalgama non riuscito del Pd. Siamo nel gorgo di una riclassificazione degli interessi di classe, in base alla collocazione di ceti e individui nei processi produttivi, che non hanno più niente a che fare con il lavoro come lo ricordiamo.
È davvero singolare che nessuno rammenti che Mirafiori, ancora dodici anni fa, era abitata da cinquantamila lavoratori, e oggi sono meno di ottomila; oppure che nel collegio di Sesto San Giovanni, nell’ex cintura operaia milanese, dove la figlia del fondatore di Ordine nuovo, Pino Rauti, ha battuto il figlio del deportato Fiano, al posto di trentamila lavoratori, occupati in cinque fabbriche, ci sono trentamila persone che lavorano in aziende che, al massimo, hanno un numero di dipendenti non superiore a tre.
(...) In quest’ottica, la sequenza delle giravolte degli elettori, in questi anni, diventa più decifrabile e meno eccentrica. La massa dei lavoratori senza più missione diventa la base sociale di una vandea antistatalista, preda dei ceti più intraprendenti che, a cavallo della spesa pubblica, estraggono rendite dai nuovi servizi, decentrando la produzione prima al Terzo mondo, poi all’automatizzazione.
A chi si parla nel deserto di Mirafiori, come si organizza il formicaio di Sesto San Giovanni? A queste domande non si risponde perché nessuno le formula. Si esorcizza la propria irrilevanza sociale con la visibilità, oppure il dinamismo digitale, sostituendo la rappresentanza con i click. Il partito è solo retrovia degli eletti, e il territorio lascia ai linguaggi emotivi della rete il compito di alfabetizzare chi vuole essere in prima linea.
MICHELE MEZZA, terzogiornale.it - "Una sinistra difficile a farsi", 26 settembre 2022
2.
(...) Continuo a credere che il governo italiano abbia scarsa autonomia rispetto alle decisioni dei poteri economici nazionali e sovranazionali; dunque non penso che ci saranno grandi mutamenti nell’ottica del Pnrr, e forse anche i tanto paventati cambiamenti istituzionali procederanno con molta lentezza e cautela. Per la destra italiana è il momento della “rispettabilità”, della rassicurazione, dell’atlantismo, del compromesso col neoliberismo europeo.
Penso, invece, che la vittoria della destra porterà a una catastrofe sul piano culturale, psicologico e simbolico. Nel campo della scuola e della giustizia possiamo aspettarci il peggio. Nessuna riedizione letterale del fascismo, per carità: la destra di potere attuale non è così ingenua da credere possibile una ripetizione storica; ma una sua rivalutazione culturale e morale è facilmente prevedibile.
Come saranno rivisti i programmi scolastici e i libri di testo in un’ottica revisionista? Quanto campo libero avranno i certo minoritari ma abbastanza rumorosi fascisti veri e propri, come i fedeli di CasaPound? Quanto verrà riproposta, sul piano etico e valoriale, la triade “Dio, patria, famiglia”? Dobbiamo aspettarci una poderosa regressione culturale e censure “dolci” ma efficaci sull’informazione televisiva e giornalistica (del resto disponibilissima all’autocensura preventiva e alla servitù volontaria, di cui già si vedono le prime avvisaglie). E la giustizia: rimarrà davvero indipendente dal potere politico, quando si tratterà di affrontare il problema dei migranti e le prevedibili proteste contro l’abolizione del reddito di cittadinanza?
Avremo comunque ben presto una cartina di tornasole del mutamento in atto: tra il 27 e il 31 ottobre cade il centenario della marcia su Roma del 1922. Dal modo in cui avverranno le “celebrazioni” dell’evento, da come saranno commentate, dallo spazio che sarà lasciato a parole d’ordine e a gruppuscoli dichiaratamente fascisti, si potrà capire quali movimenti profondi scuotono l’inconscio del collettivo. E allora potremo ringraziare come merita il gruppo dirigente del Pd per la linea politica seguita in queste elezioni, che riempie di stupore: sarà certo un prodotto del mutamento della composizione di classe, ma mostra anche i sintomi di un inenarrabile farfugliamento.
MARIO PEZZELLA, terzogiornale.it - "Sul risultato elettorale", 30 settembre 2022