top of page

La Leggera (canto popolare toscano)

  • erETICA
  • 18 gen 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Il lunedì la testa mi vacilla Oi che meraviglia non voglio lavorar Il lunedì la testa mi vacilla Oi che meraviglia non voglio lavorar Il martedì poi l’è un giorno seguente Io non mi sento di andare a lavorar Il martedì poi l’è un giorno seguente Io non mi sento di andare a lavorar Il mercoledì poi l’è un giorno di baruffa Io c’ho della ciucca non voglio lavorar Il mercoledì poi l’è un giorno di baruffa Io c’ho della ciucca non voglio lavorar Il giovedì poi l’è festa nazionale Il governo non permette ch’io vada a lavorar Il giovedì poi l’è festa nazionale Il governo non permette ch’io vada a lavorar

Oh leggera dove vai Io ti vengo io ti vengo a ritrovar Oh leggera dove vai Io ti vengo io ti vengo a ritrovar

Il venerdì poi l’è un giorno di passione Io che son cattolica non voglio lavorar Il venerdì poi l’è un giorno di passione Io che son cattolica non voglio lavorar Il sabato poi l’è l’ultimo giorno Oi che bel giorno non voglio lavorar Il sabato poi l’è l’ultimo giorno Oi che bel giorno non voglio lavorar Arriva la domenica mi siedo sul portone Aspetto il mio padrone che mi venga a pagar Arriva la domenica mi siedo sul portone Aspetto il mio padrone che mi venga a pagar Padron l’è là che arriva l’è tutto arrabbiato Brutto scellerato lèvati di qua! Padron l’è là che arriva l’è tutto arrabbiato Brutto scellerato lèvati di qua! Noi siam della leggera e poco ce ne importa Vadan sull’ostia la fabbrica e il padron! Noi siam della leggera e poco ce ne importa Vadan sull’ostia la fabbrica e il padron!

Oh leggera dove vai Io ti vengo io ti vengo a ritrovar Oh leggera dove vai Io ti vengo io ti vengo a ritrovar.

Il trenino della "Leggera".

Siamo, probabilmente, agli albori delle lotte proletarie, quando ancora la classe lavoratrice non si era data un'organizzazione (o stava appena cominciando a darsela); un'epoca in cui il lavoro stagionale era la normalità. Seguendo flussi antichissimi, dall'Italia settentrionale i lavoratori si recavano in Maremma, terra oramai soggetta alla bonifica Medicea ma ancora intesa come malsana, pericolosa, "strana". Chi andava a fare la stagione nei campi di Maremma, contadini poverissimi, doveva prendere un treno che arrivava passando dall'Appenino tra la Toscana e l'Emilia;era il famoso "Trenino della Leggera", o "Leggera" tout court. Si chiamava così, quel treno, perché i suoi viaggiatori non avevano niente o quasi. Nella valigia o nella sporta che si portavano dietro, c'erano un tozzo di pane, una mela e un paio di scarpe sfondate. Racconta Caterina Bueno, che raccolse questo canto a Stia, in provincia di Arezzo, nei primi anni '60: “Il treno che agli inizi del secolo portava i lavoratori stagionali attraverso tutto la regione fino in Maremma, veniva chiamato il “Trenino della leggera”, dove “leggera” era un termine dispregiativo e canzonatorio con cui si indicavano i disoccupati, gli stagionali o comunque gli emigranti che, poverissimi, viaggiavano “leggeri” con una sola sporta…”. Il treno, dunque, era la "Leggera" perché il bagaglio di chi vi viaggiava era fatto di niente; ma in quel treno, come in tutti i treni dei lavoratori, si cantava. Cantare non aveva soltanto una funzione di svago e di passatempo (e, probabilmente, era anche un sistema per cercare di farsi passare la fame); era, per molti, un mezzo per pagarsi il soldo che costava il biglietto. Nelle stazioni, delle specie di bande di stagionali s'improvvisavano canterini e si esibivano chiedendo qualcosa; e cantavano, spesso, canzoni inventate da loro stessi. E quando cantano i lavoratori, o si parla d'amore in forme assai poco convenzionali, o si parla di lavoro. Erano canzoni particolari, sovente rognose, e ancor più spesso piene di sogni d'una vita migliore. La vita migliore, in questa canzone, consiste giustappunto nel non dover lavorare come schiavi, e nel mandare in culo il sor padrone; quando i lavoratori cantano di lavoro, liberi di farlo nelle forme che preferiscono, il lavoro non fa una bella fine. Non è "santificato", come spesso accade anche nelle canzoni di lotta scritte da qualcuno che vuole organizzare in base a qualcosa; in canzoni come questa, il lavoro è ancora nella sua forma bruta. Servaggio, schiavitù. E il sogno è una settimana dove non si fa niente e si viene pagati; che, va detto francamente, è proprio un bel sogno. Canzoni come questa sono piene di sarcasmo, perché chi le inventava e le cantava sapeva bene che cosa, invece, andava a fare. Settimane, mesi a spaccarsi la schiena per una miseria. Gli stagionali erano i precari di un tempo. Erano migranti per mezzo soldo bucato e una zuppa quando c'era. Avevano un piccolo e leggero bagaglio, se ce lo avevano. Bisognerebbe allora capire cosa cantano gli immigrati, nelle loro lingue, quando vengono mandati nei campi di pomodori dell'Agro Domiziano o a Rosarno. Bisognerebbe sentirli cantare sui treni e sui furgoni, sulle "Leggere" di questo tempo maledetto.

Comments


© 2025 by NEUE FABRIK

  • le maleteste 2025
  • le maleteste / 2023
  • Youtube
  • le maleteste alt
  • Neue Fabrik
bottom of page