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Immagine del redattoreLE MALETESTE

Spagna: 300.000 bambini affidati forzatamente ad orfanotrofi e poi venduti.





Nell’aprile del 1939, in Spagna, il generale Francisco Franco prende il potere. È un uomo con forti valori cattolici e nazionalisti. Uno dei suoi più fidati consiglieri è lo psichiatra Antonio Vallejo-Nagera. Vallejo aveva passato la prima guerra mondiale in Germania, dove aveva appreso il concetto di pulizia etnica e formulato una serie di cazzate clamorose spacciate per verità scientifiche.

Tra i tanti deliri spiccava quello del “morbo rosso”. Secondo Vallejo, essere comunisti o dissidenti era una malformazione mentale, trasmissibile come un virus, dalla quale non si poteva guarire.

Il 17 ottobre 1941, Franco semplifica le leggi sull’adozione per un motivo specifico: quando le famiglie dei nemici del regime venivano incarcerate, i figli venivano affidati agli orfanotrofi, che a loro volta li affidavano a famiglie considerate rispettabili: bastava fossero politicamente corrette, eterosessuali e cattoliche.

Nel 1958 ci fu una seconda riforma, secondo la quale i genitori biologici, dopo tre anni dall’abbandono, perdevano qualsiasi diritto sul bambino.

Gli orfanotrofi – leggi il Vaticano – non erano più tenuti a dare informazioni. Gli istituti si trovarono così a disposizione una fornitura continua di bambini e neonati, a volte figli di donne non sposate, a volte strappati dalle mani di anarchici, comunisti e dissidenti.

E perché regalarli, se si possono vendere?






Dal 1943 al 1987, in Spagna il traffico di bambini genera introiti miliardari. Il meccanismo è semplice: le suore intercettano le puerpere ideali, di solito donne sole, con famiglie problematiche, o molto povere. Le coccolano dicendo che le aiuteranno, raccomandandosi che quando verrà il momento vadano nelle loro cliniche a partorire. Quando arrivano le drogano col Pentothal.


Appena partorito, il bambino viene portato immediatamente in un’altra stanza, dove a volte c’è già la compratrice, a volte un nido nascosto. Si fa aspettare la madre biologica per ore, raccontando che il neonato ha delle complicazioni impreviste, poi dopo 6-9 ore si riferisce che è morto. Se la madre protesta o diventa aggressiva, la si sottomette prima con la forza, poi con la burocrazia e i ricatti. Sono tutte donne fragili, povere, fortemente cattoliche e ignoranti: le suore sanno che non possono permettersi un avvocato.


Quando nel 1975 Franco muore e il regime collassa, il traffico di bambini continua florido. Il popolo spagnolo è stremato e diviso. Affrontare i propri orrori non è mai facile, perché si rischia una spirale giustizialista dove tutti hanno colpe. Nel 1977, il nuovo governo promulga la ley de amnistia, che noi chiameremmo “legge scurdammoce ‘o passato”. Nessuno vuole parlare del fatto che ovunque madri e figli si stanno cercando. Chiunque sollevi l’argomento viene ignorato. Nel 1981, nella clinica Santa Cristina, Purificacion Betegon partorisce due gemelle premature. Suor Maria Gomez Valbuena le chiede di darle in adozione. Quando Betegon rifiuta, la suora riferisce che le bambine sono morte a causa dell’incubatrice rotta. La Betegon corre a vedere e le trova vive. Un’infermiera le spiega che sono cerebralmente morte, poi Betegon viene portata via a forza. Nessuno le presta soccorso o aiuto. Ma la gente per strada parla. Così, nel 1982, German Gallego, fotografo per il settimanale spagnolo Interviù, indaga.





Va alla clinica San Ramòn, una piccola clinica con solo dieci stanze, ma un costante viavai di donne che vanno e vengono senza registrarsi né lasciare traccia. Il primario è il dottor Eduardo Vela, ginecologo. Lui rifiuta di rilasciare interviste e smentisce ogni voce. Lo stesso fa la suora responsabile, suor Maria. Alcune novizie, però, seppur spaventate, chiedono al giornalista di tornare nel cuore della notte. Una volta lì, gli confessano tutto. Il traffico, i soldi, i furti, le bugie.

«E se la madre volesse vedere il corpo del bambino?» domanda Gallego.

Le suore mostrano una cella frigorifera, dove sono conservati dei neonati morti da mostrare in caso di emergenza. Gallego fotografa i corpicini, pubblica l’inchiesta e aspetta almeno una telefonata della polizia. Non arriva mai.


Il dottor Eduardo Vela durante il franchismo è diventato ricchissimo, ma non curando le persone: facendo affari. È stato consigliere della Security World SA, una società di sicurezza privata. Negli anni ’70 fonda la Bellcasa, una società immobiliare che ha le mani in tutta Madrid. Come riusciva a fare tutto? I soci della Bellacasa erano:

Adele Bermejo Rivas, sua moglie.

José Sainz de Miera, delegato capo della Falange franchista nella provincia di Valencia.

José Manuel Gonzales Fausto, consigliere dell’Istituto nazionale di Previsione.

Josè Antonio Giron de Velasco, detto “il leone” ministro del lavoro dal 1941 al 1957 e pupillo del generale Franco.

Dottor Manuel “F.M.”


Ecco perché la Bellcasa va a gonfie vele: se un gerarca franchista ti vuole comprare la casa al prezzo di un panino, rifiutarsi potrebbe essere pericoloso. Giron era così in alto che dopo l’assassinio del primo ministro era candidato a sostituirlo, finché nel 1957 il suo ruolo viene affidato a dei tecnici dell’Opus Dei. Insomma, Eduardo Vela aveva agganci belli grossi, e di uno a tutt’oggi non si sa nulla: quel dottor Manuel F.M. di cui i giornali spagnoli non rivelano il nome completo, perché è l’ultimo ancora vivo. Quando nel 1982 esce l’inchiesta, tutte le proprietà del dottor Vela cambiano nome. Dal 1982, risulta nullatenente mentre sua moglie è miliardaria. Sempre nel 1982, il braccio destro di Vela, cioè suor Maria Gomez Valbuena, porta via dal grembo di Maria Luisa Torres la figlia appena nata, Pilar Alcalde. Quando la Torres chiede di vedere la sua bambina, suor Maria la minaccia di portarle via l’altro figlio e di farla incarcerare per adulterio.

Dal 1980, ogni tentativo di risolvere la questione legalmente viene bloccato e insabbiato. Quando le madri chiedono di esumare le tombe dei figli, dentro trovano resti di bambini ben più grandi, o del sesso sbagliato, o vuote, o riempite di pietre. In un caso, trovano la gamba di un maschio adulto.


Uno dei giudici più influenti di Spagna, Baltasar Garzon, prova ad aprire un’inchiesta. Viene bloccata dalla corte suprema. Gli anni passano, e le voci aumentano, finché il traffico di bambini si interrompe nel 1987. Nel 2010, Vela parla (inconsapevolmente) con dei giornalisti di ElMundoTV, che si spacciano per bambini adottati in cerca delle loro madri biologiche. Lui confessa di aver bruciato l’archivio con i nomi di madri e compratori. Non c’è modo di risalire a chi fossero.





Poi, nel 2011, arriva la BBC. In un documentario agghiacciante la giornalista ricostruisce tutto. Intervista le tante associazioni di madri derubate, ma mettere insieme tutte le storie umane, sotto le statistiche, è impossibile. Prova a intervistare anche Vela, che si rifiuta. Allora finge di essere incinta e fissa un appuntamento. Durante il colloquio, registrato con una telecamera nascosta, appena Vela capisce di essere di fronte a una giornalista, si altera, va nell’altra stanza e fa ritorno brandendo un crocifisso e recitando passi della Bibbia. Dopo l’inchiesta si mobilita l’opinione pubblica di tutto il mondo. I bambini sono stati comprati anche da coppie estere. Sono in Sudamerica, America, Messico, Francia. A fine 2012 viene arrestata suor Maria Gomez Valbuena, imputata di avere orchestrato la rete dei sequestri. Si avvale della facoltà di non rispondere e il 19 gennaio 2013 muore di insufficienza cardiaca. Anzi, di enfisema polmonare. Anzi, era molto malata. Comunque è morta, c’è il certificato firmato dal dottor Enrique Berrocal Valencia. Peccato che il certificato, in tribunale, proprio non ci vuole arrivare. Ha ritardi inspiegabili. E quando arriva, ha delle strane anomalie.

Le associazioni non credono alla morte della suora. Dicono, “se possono falsificare il certificato di nascita e la carta d’identità di mio figlio, possono falsificare il certificato di morte di una suora”. Del resto nessuno ha visto il corpo: l’ordine a cui apparteneva rende pubblica la morte solo due giorni dopo, quando è già stata seppellita in una tomba priva di nome.


E negli anni, gli spagnoli hanno imparato che nelle tombe spesso e volentieri non c’è quello che dovrebbe. Quando chiedono l’esumazione del corpo, la sorella di suor Maria la nega e dice che lei era presente al decesso. Nella stanza spoglia e austera dove suor Maria ha passato i suoi ultimi anni gli inquirenti trovano le cartoline che le famiglie adottive hanno mandato da tutto il mondo alla suora nel corso degli anni. Una, del 2013, dice “Buon natale! Lasciate che i bambini vengano a me”.


Il dottor Eduardo Vela, che grazie a un’equipe di avvocati riesce a procrastinare il processo da quattro anni, finalmente finisce alla sbarra. Il processo procede a rilento perché nomi, fatti, documenti, sono difficilissimi da reperire. Tutto è in mano a poche donne che ricordano, testimoni ormai lontani sullo sfondo di un regime crudele e ancora troppo vicino. Quando Zapatero nel 2007 ha istituito la legge della memoria storica, la Spagna si è divisa. Fare i conti col proprio passato rischia di far sprofondare il popolo in una spirale d’odio e rancore senza fine. L’ETA non fa in tempo a consegnare le armi che la Spagna affronta una delle crisi peggiori della sua storia tra secessionisti, indipendentisti ed estrema destra. In un contesto del genere, buttare benzina sul fuoco potrebbe non essere la cosa più saggia da fare.

Ai “niños robados”, però, oltre alla giustizia interessa soprattutto trovare la propria famiglia. È solo di recente, grazie al processo della Betegon, che qualcuno pensa a suor Maria. La donna annotava meticolosamente nei quaderni blu i nomi dei bambini, dei genitori adottivi e biologici, il prezzo e l’indirizzo. Un secondo archivio, in pratica. Quei quaderni esistono ancora, ma la Conferenza Episcopale Spagnola, presieduta dal cardinale Antonio Maria Rouco Varela, rifiuta di collaborare coi tribunali spagnoli. I quaderni sono custoditi da loro, che fanno capo al Vaticano. Ossia uno Stato estero. Chissà quando, dove e come il Vaticano ne è entrato in possesso.


Solo a maggio di quest’anno una delegazione delle Nazioni Unite si è incontrata coi rappresentanti delle autorità spagnole e della Chiesa, dicendo che è ora dire basta. Tutti hanno convenuto sia ora di aprire i quaderni, ma ad oggi non c’è ancora nessun colpevole. Le associazioni hanno formato una banca del DNA e ogni domenica manifestano in piazza, tenendo in mano un cartello che dice “Ti cerco. Ti stiamo cercando”. Prima di morire vorrebbero poter vedere il volto del figlio, o della madre, che non hanno mai conosciuto.




NICOLO' ZULIANI, 13 agosto 2020 - thevision.com

Questo pezzo è stato pubblicato la prima volta il 18 ottobre 2017.





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