📢 LE MALETESTE 📢
19 mar 2023
Lettera di LUIGI MANCONI
· 18 marzo, h. 13.29
Insieme a Marica Fantauzzi ho più volte scritto al direttore de Il Riformista per tenere alta l’attenzione sulla vicenda di Alfredo Cospito.
L’articolo di seguito è stato pubblicato venerdì 17 marzo. Oggi, sabato 18, finalmente, al medico di fiducia di Alfredo Cospito è stato consentito di parlare con i medici dell'Ospedale San Paolo dove l'anarchico è ricoverato.
Caro Direttore,
Molte delle persone che in questi quattro lunghissimi mesi hanno seguito l’evoluzione dello sciopero della fame di Alfredo Cospito, oggi si stanno chiedendo fino a che punto può resistere un corpo.
Il suo ha perso quasi 50 kg, alcuni arti iniziano a non rispondere agli stimoli, le gambe cedono, la deambulazione si è fatta sempre più faticosa e gli spostamenti avvengono in sedia a rotelle. In un quadro sanitario così delicato, risulta evidente perché, nonostante l’ultimo e, diremmo, azzardato ritorno in carcere, Cospito sia stato portato in ospedale.
Nel carcere di Opera, del resto, sappiamo che era controllato, di notte, tramite lo spioncino della cella da un poliziotto che passava a distanza di ore. Un monitoraggio evidentemente insufficiente per una condizione di tale gravità.
In ospedale, invece, può essere seguito quotidianamente, si può intervenire in maniera tempestiva in caso di crisi improvvisa e, soprattutto, c’è una equipe di medici che può procedere con esami e terapie adeguate.
Su quest’ultimo elemento è utile e necessario spendere alcune parole: per l’ennesima volta al suo medico di fiducia è stato impedito di comunicare con i suoi colleghi dell’ospedale San Paolo. Si fa fatica a comprendere quale sia la ragione di tale divieto.
Per consentire una seria presa in carico del paziente, il minimo sarebbe quello di permettere al medico di fiducia di confrontarsi, discutere, convergere sulla terapia migliore da seguire, tramite un costante dialogo con i medici curanti del San Paolo.
E invece no, il medico visita Cospito una (ora due volte a settimana) e appena prova a interloquire con chi lo vede ogni giorno, tutto si fa complicato e l’autorizzazione non arriva mai.
Ed è nella vaghezza delle risposte, nel silenzio della burocrazia, nell’immobilismo della struttura che risiede l’anomalia: se il 41 bis, come non finiremo mai di ripetere, è stato concepito al solo fine di recidere i legami tra il detenuto e l’organizzazione criminale di appartenenza, allora qualcuno deve spiegarci, caro Direttore, quale sia il senso di certi provvedimenti.
In questi mesi ne abbiamo elencati alcuni, dalla difficoltà di scorgere un cielo privo di grate all’impossibilità di tenere la foto dei propri cari sulla parete della cella.
In altre parole, a chi chiede: “ma cos’è il 41 bis?” si potrebbe rispondere che esso consiste tutto nell’ottusa superfluità e nella meschina pretestuosità del divieto di comunicazione tra due medici. E nell’irrazionale e violenta gratuità di questo arbitrario potere di punire.
LUIGI MANCONI