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GIAN ANDREA FRANCHI. Il femminicidio come segno dello stato presente della vita

🌿 LE MALETESTE 🌿

7 apr 2025

Così come è fondamentale rifiutare il dominio della guerra considerando le sue radici patriarcali, altrettanta importanza dovrebbe essere attribuita al legame tra il capitalismo, il patriarcato, e la violenza sulle donne - GIAN ANDREA FRANCHI

L’unica salvezza resta produrre tessuto comunitario dal basso, fatto di cura, resistenza e anche lotta, in cui la speranza si animi di desiderio, il desiderio produca isole comunitarie a formare un arcipelago nel mare della vita oltre il continente della morte”


di Gian Andrea Franchi*

04 Aprile 2025


I due femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella – tredici quest’anno -, figli di una tanto feroce quanto inesprimibile banalità, appaiono come una rivelazione della verità del mondo contemporaneo. Il mondo è diventato una prigione della vita: la gabbia elastica di una cultura abitata da un modo di produzione che perfettamente coincide con un modo di distruzione. La vita, umana e in ogni altra forma, è diventata irrilevante per opera di un potere che la uccide sulla spinta compulsiva di interessi fantasmatici.


La cultura del modo di produzione capitalistico è il culmine di un androcentrismo – più che di un patriarcato tradizionale – scatenato contro la cura della vita, di fatto storicamente portata dalla donna, cui prima la biologia, poi la storia hanno affidato e costretto il venire alla vita nelle tre forme fondamentali: il grembo, la nascita, la crescita.


Lo sviluppo s-misurato di quella forma di predazione che il capitalismo è, oltre a produrre morte quotidiana e la possibile e forse probabile crisi della vita stessa così come la conosciamo, produce anche nei maschi dominanti – di cui Trump e Musk sono gli attuali prototipi – un profondo vuoto emotivo che ricade su quelli che non hanno posizioni di potere sociale. In questi ultimi si sfoga l’angoscia innominabile del venir meno degli impulsi profondi della vita, quando non siano sublimati e rimossi in termini di potenza.


L’uomo che non riesce ad avere un qualche grado di potenza a livello sociale cerca di sfogare come può un’angoscia irrappresentabile: un’angoscia che contiene forse una richiesta impossibile, di ri-nascita ma confusa con il potere sulla donna.


Fra i modi di sfogo innumerevoli, variamente incapaci di desideri, di relazioni, che disanimano il contesto sociale, la violenza contro le donne è il più caratteristico e anche il più antico.


Ma il femminicidio attuale, come appunto quello “esemplare” delle due giovani donne, sembra il più indicativo della fragilità del delirio maschile di potenza, quando non è soddisfatto nel prestigio sociale. Ciò mostra la profonda paura della vita che sta dietro alla potenza, al potere che si esprime nella maniera più diretta nella violenza di prossimità contro le donne, che appare oggi, come il segnale intrinseco della crisi radicale della vita, così come la conosciamo: radicale alla lettera.

Lo spunto di questa riflessione nasce ovviamente dal femmicniidio nel nostro paese. A livello mondiale, la violenza contro le donne è quotidiana, “banale”, nelle innumerevoli situazioni sociali di sofferenza, di povertà…


Il femminicidio va collocato in quel contesto di violenza che a uno sguardo libero da pulsioni di potere appare non solo irragionevole, anzi folle, ma, direi, tragico, tale cioè da sfuggire alla comprensione: per i greci, infatti, il tragico indicava una condizione che sfuggiva al potere umano. Ed è appunto la tragicità dell’identificazione con il potere che porta a una forma di follia.


Allargando il discorso oltre la storica violenza contro le donne, esemplare della condizione tragica nella quale siamo immersi, sembra l’assunzione, da parte di quegli ebrei che si riconoscono nello Stato coloniale d’insediamento in Palestina, della “persona” del nazista: evidente nel genocidio quotidiano di Gaza, ma anche della popolazione palestinese e, in modo complementare, nell’adesione o nell’indifferenza di tutti gli Stati o quasi e, ancor più grave, nell’indifferenza della maggior parte delle persone. Il quotidiano stillicidio di morti, spesso bambini e bambine, donne, malati, persone che portano soccorso, è una notizia ormai meno importante di un evento sportivo o di cronaca… Si tratta, nientedimeno, che del fallimento antropologico e biologico della cultura di matrice occidentale.


In tale contesto che fare? Formiche umane lavorano nel cuore della società per costruire scialuppe di salvataggio. L’unica salvezza resta produrre tessuto comunitario “dal basso”, fatto di cura, resistenza e anche lotta, in cui la speranza si animi di desiderio, il desiderio produca isole comunitarie a formare un arcipelago nel mare della vita oltre il continente della morte.


*Gian Andrea Franchi,

già professore di filosofia, da dieci anni è impegnato

a Trieste con i migranti della «Rotta orientale».

Il suo ultimo libro è Per un comunismo della cura (DeriveApprodi).

fonte: comune-info.net - 4 apr. 2025

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