🚀 LE MALETESTE 🚀
1 mar 2024
Fondamentale è la reazione popolare a questo tentativo del governo Meloni di modificare la legge 185/90 per vendere armi a tutti.
di ALEX ZANOTELLI e FRANCESCO VIGNARCA
Il governo fa a pezzi la “Legge 185”, rompiamo il silenzio
Sono sbalordito per l’indifferenza con cui stiamo assistendo allo smantellamento della legge 185/90, una legge varata nel 1990 grazie a una forte spinta popolare sostenuta dalle riviste missionarie come Nigrizia e Missione Oggi, da movimenti come Beati i Costruttori di Pace, da realtà ecclesiali come Pax Christi, Focolarini , Azione Cattolica , Agesci e Acli ma anche dalla federazione delle Chiese Evangeliche , e tante altre realtà laiche come sindacati, Arci….È stato un vero e grande movimento popolare che ha portato a questa legge, unica in tutta Europa. E ora la stanno smantellando: il 21 febbraio, il Senato ha approvato le modifiche alla legge 185, che regola l’import-export degli armamenti per cui verranno cancellati i meccanismi di trasparenza e controllo parlamentare sul commercio di armi e sulle banche che finanziano tali operazioni. Se verrà approvata alla Camera, non potremo più sapere quali sono le «banche armate».
Il tutto è stato preannunciato alcuni mesi fa dal ministro della difesa Crosetto che espresse insofferenza verso le «banche etiche» come verso le campagne Banche Armate, promosse da riviste missionarie Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di Pace. Per questo è fondamentale la reazione popolare a questo tentativo del governo Meloni di modificare la legge 185/90 per vendere armi a tutti. Mobilitiamoci, cristiani e laici, rimettiamoci insieme per difendere una legge così preziosa in un momento così buio della storia umana.
Mai il mondo ha visto così tante armi che producono sempre più guerre: i dati sono sempre più allarmanti. Il nostro paese è uno dei grandi produttori di armi con le migliori performance in borsa. Infatti, al terzo posto mondiale c’è la Leonardo, ex-Finmeccanica, il cui valore in Borsa è triplicato, come riporta Il sole 24 Ore, il 28 febbraio 2024.
Non solo, ma secondo alcune anticipazioni del Sipri di Stoccolma, le spese militari in Europa nel 2023 sono arrivate a 345 miliardi di dollari, mentre le spese mondiali in armi sono aumentate da 2.040 miliardi del 2022 a 2.500 miliardi di dollari nel 2023. Siamo alla follia. Ci sta saltando una legge di “civiltà” unica in Europa, in un momento così ‘armato’ come questo. Banca Etica ha lanciato un appello per rimettere insieme tutte le realtà che avevano promosso la 185/90.
fonte: ilmanifesto.it - 1 marzo 2024
ANTEFATTO
Vendere più armi. Nuova legge, vecchia storia
EXPORT MILITARE. Il governo Meloni motiva la modifica della legge 185 con la necessità di riportare l’export sotto l’ala della politica, sottraendolo a una decisione solo burocratica. Ma è già così
5 agosto 2023
(...) Non è una questione legata al solo governo Meloni o alla presenza di un ministro come Crosetto: se oggi l’industria militare vive una congiuntura favorevole, è da qualche anno – e da qualche governo – che si prepara il terreno, con gran parte delle forze politiche favorevoli al cosiddetto government to government, ovvero alla firma di contratti di vendita tra governi che poi si traducono direttamente in commesse militari per le aziende.
È una lunga marcia, che oggi arriva al cuore della questione: quello dell’export. Perché qui non si tratta solo di spese militari, di quanto cioè l’Italia spende per le armi; qui si tratta della destinazione delle nostre armi. Dalle analisi compiute come Rete Pace e Disarmo, sappiamo che negli ultimi anni le autorizzazioni alla vendita hanno riguardato sempre più spesso i paesi del Mediterraneo, dell’Africa e del Medio Oriente.
La legge 185 del 1990 era riuscita a «spostare» l’invio delle armi italiane, dietro a svariati scandali negli anni ’70 e ’80, da destinatari problematici a paesi alleati, Nato e Ue. Ora avviene il contrario ed avviene perché la 185 è stata già erosa. Ma non erosa del tutto, da cui la necessità governativa di una riforma per facilitare ulteriormente l’export di armi. Una necessità che nasce proprio dalle vittorie della società civile, riuscita negli ultimi anni a far votare al parlamento prima la sospensione e poi il blocco dell’invio di bombe e missili ad Arabia saudita ed Emirati arabi. I meccanismi previsti dalla legge 185 erano stati semplicemente applicati. E questo ha creato la fibrillazione: l’invio delle armi poteva essere davvero bloccato.
La motivazione della riforma data dal governo è la necessità di riportare sotto una decisione politica quello che adesso dipenderebbe da una decisione burocratica. In realtà la decisione politica c’è già: è la linea di indirizzo con cui il governo può intervenire, oltre alla relazione continuativa con l’Uama attraverso riunioni periodiche interministeriali e le indicazioni della difesa, degli esteri, dello sviluppo economico e della stessa presidenza del consiglio. Tanto che proprio in questi anni si è registrato un aumento dell’export militare in termini di quantità e di qualità: è cresciuto il numero dei paesi acquirenti e sono cresciute le autorizzazioni perché i governi hanno fatto una scelta politica.
Attenzione però: la legge 185 è avanzata e innovativa nella sua capacità di controllo, ma liberarsene non basterà. Negli ultimi trent’anni l’Italia ha aderito alla Posizione comune europea del 2008 e al Trattato sul commercio delle Armi (Att) del 2013, nato dalle pressioni della società civile e con norme ancora più stringenti.
Il Comitato interministeriale immaginato dal nuovo disegno di legge può dare indirizzi politici ma non può essere quello che nella pratica verificherà che le richieste di licenze siano congrue ai criteri previsti. Violazioni della legge nazionale e internazionale – che vieta la vendita di armi a paesi in conflitto o paesi che violano i diritti umani – non possono essere superate schermandosi dietro «l’indirizzo politico».
Questo governo tenta a livello nazionale di superare la legge 185, ma non può andare oltre i criteri cui l’Italia ha scelto liberamente di aderire a livello internazionale. Per questo il tentativo di riforma puntella la sua strategia: non solo valutazioni politiche, ma anche economiche e di posizionamento della nostra industria. Ovvero favorire gli affari armati permetterebbe lo sviluppo e garantirebbe posti di lavoro, lo stesso discorso che una certa politica fece quando riuscimmo a bloccare l’invio di armi che sauditi ed emirati sganciavano poi sullo Yemen. Affari e vantaggio economico, ancora una volta, verrebbero prima dei diritti umani e della legge internazionale.
fonte: ilmanifesto.it - 5 agosto 2023