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ITALIA LIBRO E MOSCHETTO. Il 2024 anno delle sinergie militar-scolastiche

🌈 LE MALETESTE 🌈

7 feb 2024

Davvero viene considerato normale che i bambini e le bambine imparino a giocare alla guerra? Che prendano confidenza con strumenti di morte? La scuola dovrebbe essere un luogo in cui si educa alla pace e alla risoluzione pacifica dei conflitti.
di LUCIANA CIMINO e ROBERTO CICCARELLI

Prove militari dalle scuole elementari

Alternanza scuola-caserma. L’ultimo episodio a Gioia del Colle, il caso sollevato da Elisabetta Piccolotti (Avs), le denunce dell’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell'università

Un militare fa indossare un giubbotto anti-scheggia a un’alunna - Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell'università


Luciana Cimino

6 febbraio 2024


"Abbiamo semplicemente spiegato ai bambini perché è importante celebrare la bandiera". Il sindaco di Gioia del Colle, Giovanni Mastrangelo, si era difeso così sui giornali locali, dopo che Elisabetta Piccolotti, deputata di Alleanza Verdi Sinistra (Avs), aveva annunciato la presentazione di una interrogazione sul caso che ha riguardato le scuole della cittadina ai ministri dell’Istruzione, Valditara, e della Difesa, Crosetto. Lo scorso 24 gennaio, durante una iniziativa dell’Esercito organizzata dal Reggimento logistico «Pinerolo» e alla presenza delle istituzioni, bambini e bambine sono stati invitati a partecipare a percorsi di «military fitness» (e cioè una rimodulazione dell’allenamento che fanno nell’esercito) e alla cerimonia dell’alzabandiera, hanno visto da vicino mezzi militari e indossato giubbotti anti-scheggia.


«VERGOGNOSO – aveva commentato Piccolotti – una specie di campagna di arruolamento in cui sono stati distribuiti opuscoli su come si diventa soldati. Davvero viene considerato normale che i bambini e le bambine imparino a giocare alla guerra? Che prendano confidenza con strumenti di morte? La scuola dovrebbe essere un luogo in cui si educa alla pace e alla risoluzione pacifica dei conflitti».


IL CASO SOLLEVATO dalla parlamentare Avs è l’ultimo di una lunga serie. Come puntualmente riportato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, sono diversi gli episodi simili accaduti nell’ultimo anno scolastico. Più o meno eclatanti ma, in ogni caso, tutti segno di una ideologia militare pervasiva, sostenuta dalla retorica sulla patria, dal piglio autoritario del governo e dal tentativo di imitare modelli di scuola del ventennio. Questi episodi sono anche una normale conseguenza della progressiva aziendalizzazione dell’istruzione che ha comportato l’ingresso delle industrie, anche militari, nelle scuole.


GLI ARMAMENTI e le guerre sono ormai considerati, anche nell’orientamento, uno sbocco di lavoro. Tant’è che sono anche diversi gli istituti, da nord a sud, che hanno attivato percorsi di alternanza scuola lavoro (Pcto) nelle caserme. È lo stesso esercito, dal suo sito, a illustrare ai presidi le tante attività per le scuole. «L’esercito italiano, in accordo con il Miur – si legge – organizza conferenze rivolte agli studenti degli Istituti scolastici di primo e secondo grado». Gli incontri sono tenuti da «personale militare specializzato/formato per informare gli studenti circa le opportunità professionali e gli sbocchi di carriera». Ci sono anche le gite di istruzione «presso gli enti della forza armata finalizzate a far conoscere direttamente la vita di tutti i giorni dei reparti dell’esercito». Le scuole dunque hanno cominciato ad adeguarsi, alcune con zelo. Come il liceo Gatto di Agropoli che ha aperto l’anno scolastico con il reggimento artiglieria terrestre Pasubio e l’alzabandiera prima dell’ingresso a lezione.


ANCHE A CUTRO, in Calabria, la consegna provvisoria di 12 appartamenti dell’esercito vuoti a una scuola priva di strutture si è trasformata in una cerimonia militare per 230 scolari. Gli alunni di alcune scuole medie napoletane, a ottobre scorso, hanno visitato la sede del Comando militare strategico Nato per l’Europa orientale e meridionale. In Toscana, il 9 gennaio scorso, l’Ufficio scolastico regionale ha invitato gli studenti degli ultimi anni delle superiori a partecipare alla presentazione del calendario dell’esercito italiano 2024. Tema: «Per l’Italia sempre, prima e dopo l’8 settembre 1943», seguito dalla frase ambigua «omaggio ad ufficiali, sottufficiali e soldati, per gli atti eroici compiuti dopo l’armistizio e/o che si sono distinti anche nel periodo precedente». Tutto nello stesso mucchio: soldati che si sono uniti alla Resistenza e fascisti encomiati dal regime.


UN REVISIONISMO STORICO manifesto propinato agli studenti insieme a prospettive di carriera all’estero. Anche il marketing si è lanciato su questa tendenza, ma fino a ora senza successo: gli zainetti scolastici marchiati Folgore e Alpini e prodotti dal marchio Esercito sono stati subito ritirati dall’azienda distributrice, la Giochi Preziosi. L’azienda si è dovuta arrendere al successo della campagna di boicottaggio lanciata dall’Osservatorio contro la militarizzazione, dopo aver fatto anche retromarcia sulla campagna promozionale «Per sentirsi sempre in missione».


fonte: ilmanifesto.it - 6 feb. 2024


 

Caschi, divise e moschetti per gli «studenti-soldati» provetti


Dilagano centinaia di iniziative nelle scuole ispirate alla propaganda militarista. Il lavoro di inchiesta e denuncia dell'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Come costruire nuove culture di pace. L’inchiesta di Antonio Mazzeo in «La scuola va alla guerra» (Manifestolibri)


Roberto Ciccarelli

6 febbraio 2024


La presenza delle forze armate e delle forze di polizia, non è una novità negli istituti scolastici. Negli ultimi dieci anni si è intensificata in maniera frenetica. Secondo l’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’università che documenta le loro attività giornalmente sul suo sito www.osservatorionomilscuola.com, sta avvenendo un cambio di paradigma.


Da quando le forze armate sono diventate professionali considerano la scuola come un bacino privilegiato da cui selezionare il loro personale dalle giovani generazioni. La scuola, a sua volta, ha integrato tra le sue funzioni anche la formazione dello «studente-soldato». Il progetto, più volte annunciato dalle destre, di una «mini naja» collegata ai crediti scolastici, e a facilitazioni nel mondo del lavoro, risponde a una visione della società che stringerà ancora di più il legame tra l’istruzione e il mondo militare.


Una data può essere fissata come inizio di questo processo: il 2014. In quell’anno il ministero dell’Istruzione (allora mancava ancora il «merito» aggiunto dal governo Meloni) e quello della Difesa hanno sottoscritto un «protocollo d’intesa». L’accordo elencava le iniziative da affidare alle forze armate che avrebbero coinvolto potenzialmente l’intera didattica, a cominciare dalle scuole elementari. L’anno successivo il governo Renzi (allora nel Partito Democratico) approvò l’alternanza scuola-lavoro. Oggi si chiama «Pcto», cioè «Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento». Fu così aperto il campo ai militari in maniera strutturale anche nelle scuole superiori. Oggi nelle aule, nei cortili e nelle palestre sono organizzate conferenze e lezioni sulla «sicurezza», sulla «legalità», sulla promozione professionale di un corpo armato in vista di una possibile carriera. Sempre più spesso le scolaresche al Nord, al Centro e al Sud, isole comprese, sono condotte in caserme e basi militari per partecipare a cerimonie, visite guidate e percorsi «formativi».


Nel libro La scuola va alla guerra. Inchiesta sulla militarizzazione dell’istruzione in Italia (manifestolibri, pp.172, euro 20) il giornalista e docente Antonio Mazzeo sostiene che la logica della militarizzazione è intrecciata sia con quella dell’aziendalizzazione dell’istituzione scolastica, sia con quella della precarizzazione del lavoro. In questa prospettiva, allora, la scuola non è considerata solo come un’impresa governata da un preside-manager. Non serve solo a formare una manodopera «occupabile» – cioè disponibile ad essere impiegata a seconda delle effimere esigenze del mercato del lavoro. Agisce anche da cassa di risonanza per una retorica securitaria in un momento in cui la Nato ha chiesto agli Stati membri di aumentare le spese militari, a discapito di quelle sociali, mentre aumentano gli invii delle armi nei conflitti in corso, ad esempio quello in Ucraina.


Mazzeo descrive le iniziative finalizzate alla formazione del moderno «cittadino soldato». L’elenco è lungo, articolato e impressionante. L’educazione del «giovin guerriero» contempla parate, presentat’arm e alzabandiera, conferimenti di onorificenze, mostre di antichi cimeli e delle più moderne tecnologie di distruzione. Ci sono le attività didattico-culturali affidate a generali e ammiragli che leggono e interpretano la Costituzione, fanno corsi di «educazione alla legalità» e «alla pace», parlano di ecologia, di salute, «blitz anti-droga», ammoniscono contro comportamenti classificati come «devianti». Si tende così a costruire un modello circolare tra «scuola-caserma-lavoro». Tale modello è ispirato da un’idea autoritaria dell’istruzione che insiste sulla minaccia della punizione e sulla deterrenza. La norma va rispettata in quanto tale, non discussa, criticata e modificata in maniera cooperativa e democratica.


A questo si aggiunge un altro lavoro ideologico, quello sulla memoria storica e sul revisionismo di stampo nazionalistico. A tale proposito Mazzeo ricorda il modo in cui è stata commemorata la prima guerra mondiale, i progetti che hanno riguardato il «milite ignoto». Un altro tratto comune tra l’educazione autoritaria e il revisionismo storico è l’idea della preparazione allo scontro con un nemico. Prossimo o lontano, statale e non statale, non importa. L’importante è la preparazione alla reazione, l’allenamento e la prevenzione del rischio, il controllo della paura in un mondo pericoloso. Sono questi i «valori» riproposti nelle scuole con un’indubbia capacità di marketing: legge, ordine e armi; Dio, patria, famiglia e mercato; concorrenza, performatività e antagonismo, anche armato.


Il libro di Mazzeo, e l’inchiesta permanente dell’Osservatorio, promuovono la smilitarizzazione del sistema scolastico e delle metodologie dell’insegnamento. Le culture della pace possono essere coniugate sia con le istanze dell’anti-razzismo e dell’antisessismo diffuse tra gli studenti, sia con la lotta per il ripristino del dettato costituzionale e contro la dilapidazione del Welfare. Un impegno, non facile, in una società come quella italiana. Questo però è un antidoto alla svolta autoritaria del neoliberalismo.


fonte: ilmanifesto.it - 6 feb. 2024

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