
LE MALETESTE
21 ago 2025
Saper riconoscere e proteggere le innumerevoli e diverse lotte che hanno cominciato a organizzare forme alternative di riproduzione sociale della vita umana e non umana che non corrispondono alla riproduzione del capitale - ANA CECILIA DINERSTEIN
20 Agosto 2025
Nel marzo 2025, Franco “Bifo” Berardi ha pubblicato un intervento nella sezione “In the Moment” della rivista Critical Inquiry (University of Chicago Press), in cui affronta la questione della soggettività in tempi di depressione e panico. Si chiede: “Come costruire un soggetto sano a partire dal trauma?” (sul tema Bifo è di nuovo tornato in un articolo dell’agosto 2025, Della disperazione come strategia, ndr).
La questione dell’emergere di una soggettività radicale nel suo contesto produttivo è fondamentale. In un certo senso, condivido la preoccupazione di Berardi per la situazione attuale, che egli considera una “demenza suicida derivante dalla senescenza dell’Occidente”.
Tuttavia, vorrei mettere in discussione la prospettiva da cui definisce e affronta il problema. Quindi, vorrei cominciare chiedendomi: cosa rende il mondo di oggi più oscuro e più incline alla paura e al panico dei produttori rispetto a quello di ieri? Cosa spiega il senso di depressione, ansia e panico descritto da Berardi?
Come donna cisgender sudamericana, non sono convinta dalla novità della brutalità capitalista, degli abusi di potere, della crudeltà e della distruzione. Ma servirebbe a poco dire che il capitalismo è sempre stato crudele, spietato e oscuro, soprattutto nel Sud del mondo, dove si verificano anche la maggior parte dei genocidi, della schiavitù e delle espropriazioni.
Aggiungere aggettivi al termine capitalismo, come “capitalismo dei disastri” o “capitalismo cannibale” (chiedo scusa rispettivamente a Naomi Klein e Nancy Fraser), non aiuta, poiché gli aggettivi portano all’errata convinzione che il capitalismo possa essere meno scioccante, meno disastroso o meno cannibale. Oppure gli aggettivi vi ricordano nostalgicamente il tempo nel quale la socialdemocrazia era in grado di attuare riforme progressiste a beneficio della classe operaia e dei più vulnerabili?
Voglio mettere alla prova questa idea: ciò che rende il mondo capitalista peggiore oggi rispetto a prima – senza negare la minaccia del cambiamento climatico – è che abbiamo perso l’intenzione liberatoria e non riusciamo a connetterci con l’emozione anticipatrice della speranza quando ne abbiamo più bisogno. Il senso globale di miseria, come direbbe Mariátegui, fortemente avvertito negli ambienti politici e sociali della sinistra progressista, deriva dalla delusione che proviamo per l’appropriazione e la mobilitazione della speranza da parte dell’estrema destra, per quanto distorta. Questa mobilitazione della speranza si riflette nelle sue promesse, personalizzate per ciascun Paese, di un futuro migliore basato su un glorioso passato nazionale.
È straziante che la speranza stia prendendo una piega così diversa, come dimostrano gli slogan del presidente Donald Trump “Make America Great Again” o quelli del leader del Reform Party UK, Nigel Farage, “Take Back Our Country”. Sebbene si siano verificati all’interno dello Stato, la campagna “Hope” del presidente Barack Obama e il suo discorso del 2014 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sono state le ultime volte in cui la speranza è stata inquadrata in un discorso politico progressista, a dimostrazione che la speranza è un’opzione politica, non una fantasia immatura o il pio desiderio di sognatori folli[1].
È importante ricordare che la politica e l’ideologia di estrema destra stanno riemergendo dall’interno, non contro, la democrazia[2]. Gli elettori gravitano verso la promessa di cambiamento dell’estrema destra. Come al solito, la democrazia liberale ha creato i suoi mostri di giorno, alla luce del sole (non di notte, nei loro bunker). La mia tesi è che non è solo l’avanzata dell’estrema destra, i suoi discorsi politici manipolatori e aggressivi e la sua promozione dello smantellamento di ciò che è stato conquistato in decenni di lotte a creare frustrazione, ma il fatto che la sinistra al potere o nella società non abbia nulla da promettere, e quindi il terreno della speranza, dell’aspirazione e del desiderio venga abbandonato al nemico. Ho preso questa espressione dalla critica di Ernst Bloch alla sinistra tedesca (e al nazismo) all’inizio del XX secolo[3].
La questione sul terreno della speranza è di nuovo urgente e richiede uno spostamento di attenzione dal panico, dal trauma e dall’ansia alla speranza e alla prefigurazione o, come dice Catalani, uno spostamento dalla catastrofe all’anticipazione[4].
La mia visione del mondo non è più ottimistica di quella di Franco Berardi e altri, ma piuttosto più realistica in termini blochiani. Il mondo è pieno di innumerevoli lotte che hanno posto al centro[5] la vita umana e non umana, organizzando forme alternative di riproduzione sociale della vita umana e non umana che non corrispondono alla riproduzione del capitale a cui la vita è vincolata nel capitalismo. In questa prassi non c’è panico, trauma o ossessione, ma bisogno, speranza, aspirazione, desiderio, rabbia, amore e dignità radicale. E questa prassi autonoma sta generando un nuovo tipo di intellettualità critica che si è plasmata e ha fluito attraverso i fiumi, su e giù per le montagne e attraverso le campagne, diffondendosi come fiori selvatici che spuntano dalla terra screpolata e arida della sinistra e della destra urbana, verso il mare.
Non posso accettare che il futuro sia compromesso. Questo è tutto dire. Queste resistenze, che chiamo resistenze prefigurative, materializzano alcune delle infinite possibilità che abitano la materia di un mondo in continua trasformazione. La questione della speranza non è, quindi, una questione di ottimismo, desiderio o fantasia, ma una questione di capacità intellettuale, emotiva e fisica collettiva per quella che altrove ho chiamato l’arte di organizzare la speranza[7].
L’arte di organizzare la speranza è il tallone d’Achille dell’estrema destra. È un antidoto all’ebbrezza, all’immediatezza e all’intossicazione che, come suggerisce Bloch, l’estrema destra produce nei suoi seguaci.
L’arte di organizzare la speranza collega l’attivismo politico, culturale e sociale, la mobilitazione comunitaria e l’organizzazione attorno a questioni legate alla riproduzione sociale della vita umana e non umana: terra, acqua, cibo, lavoro, assistenza, alloggio, salute, pedagogia e le reali possibilità inespresse che potenzialmente abitano il presente, il futuro e persino il passato. Il terreno della speranza viene riconfigurato dalle fondamenta e la forma politica di organizzazione e realizzazione del cambiamento viene decisa lungo il percorso.
Pertanto, per spostare l’attenzione dalla catastrofe alla speranza riguardo all’occupazione e alla riconquista del terreno della speranza, devono verificarsi tre cose.
La prima è uno spostamento di attenzione dal dibattito Stato-sì/Stato-no, ormai senza sbocco, nei circoli di sinistra e progressisti, a una forma di politica più sfumata, in cui la resistenza prefigurativa dei movimenti di base e l’organizzazione dei beni comuni in tutto il mondo siano centrali sia per forzare la mano “sinistra” al governo, sia per organizzarsi autonomamente.
Il secondo sviluppo che deve verificarsi è l’attivazione dell'”intenzione liberatrice” della prassi radicale o la centralità della “corrente calda” della nostra critica (per parafrasare Bloch, che si riferisce alla corrente calda del marxismo)[8]. Dire di no e “smascherare le ideologie non basta”. In tutti i processi organizzativi, i movimenti radicali producono un residuo utopico[9] o un surplus[10] che rimane non tradotto in un possibile nuovo linguaggio politico[11] e in un nuovo senso comune. Mentre la “crisi della speranza” o la “speranza in tempi di crisi” sono state un argomento di dibattito comune tra studiosi attivisti, organizzazioni religiose, incluso il Vaticano, così come ambientalisti, psicologi e politici per oltre un decennio, il problema della speranza deve ancora essere articolato in una narrazione critica attivista liberatrice che permetta di comprendere, affrontare e fare i conti con le “vicissitudini della speranza”[12].
Il terzo sviluppo necessario è incorporare lo spirituale e il mitico nella nuova intenzione liberatrice. All’inizio del XX secolo, il primo marxista latinoamericano, il peruviano José Carlos Mariátegui, sottolineò l’importanza del mito e delle dimensioni spirituali ed etiche del socialismo. Da marxista dichiarato come Bloch, Mariátegui comprese che i progetti rivoluzionari di sinistra riflettevano la razionalità borghese in termini di progresso e universalità, e mancavano di mito e speranza[13]. Una lezione che Mariátegui e altre tradizioni marxiste latinoamericane e nere – molti dei cui membri furono espulsi dai partiti comunisti dei loro paesi – traggono è che la vera critica deve essere decolonizzante. La critica può funzionare come teoria della lotta e della liberazione solo nella misura in cui articola e organizza la speranza come forza sociale, popolando l’intenzione liberatrice con la conoscenza e le esperienze di lotte situate nel loro contesto storico, politico e globale, e soprattutto quando contiene luci di un futuro nel quale la vita umana e non umana avrà valore.
Gli elementi immaginativi, selvaggi e determinati della prassi utopica, della decolonizzazione e del femminismo hanno generato nuove forme di critica.
Se consideriamo la speranza radicale una scelta e una categoria di prassi; se comprendiamo la possibilità come un orizzonte potenziale; e se cogliamo l’utopia come una prassi umana concreta e continua, allora la questione della soggettività in un’epoca di depressione e panico potrebbe essere riarticolata come la questione della soggettività in un’epoca di recupero del terreno della speranza. L’intellettualità nuova o rinnovata emergente – decoloniale, democratica, femminista, etica – sta intrecciando gli elementi emotivi e razionali della vita e della prassi in metodi di resistenza che anticipano e prefigurano il nuovo o rinnovano l’ancestrale. La spiritualità mette in discussione la razionalità moderna in crisi e il tipo di irrazionalità proposto dall’estrema destra.
Qual è la nuova forma di intenzione liberatrice per connettere i desideri soggettivi e le tendenze riparatrici dell’umanità attraverso un processo di apprendimento della speranza (docta spes)?[14] Quali sono i segni, le idee, gli orizzonti, le pratiche, le conoscenze e i sogni nei molteplici processi di organizzazione autonoma del mondo odierno che restano intraducibili, indescrivibili e non categorizzati dalle ideologie e dalle pratiche capitaliste, coloniali e patriarcali? Purtroppo, fino ad ora, queste domande sono rimaste nascoste dietro lo sguardo lacrimoso di una sinistra nostalgica. Eppure, c’è “qualcosa che manca”[15], e c’è molto lavoro da fare per scoprire cosa, chi e come raggiungerlo, attraverso una resistenza prefigurativa, senza farsi prendere dal panico.
Note
[1] «… e per gli Stati Uniti, la decisione è chiara: scegliamo la speranza sulla paura. Vediamo il futuro non come qualcosa che sfugge al nostro controllo, ma come qualcosa che possiamo plasmare per il meglio attraverso uno sforzo concertato e collettivo». Estratto del discorso del presidente Obama alla Assemblea della Nazioni Unite del 24 settembre 2014; disponibile in obamawhitehouse.archives.gov.[2] Adorno, T. W. (2020) Aspectos del nuevo extremismo de derecha. trad. di Wieland Hoban, Cambridge-Hoboken: Polity.
[3] Bloch, E. (1991/1962) Herencia de nuestra época, Cambridge: Polity Press. Pubblicato in Italia da Mimesis con il titolo Eredità di questo tempo.
[4] Catalani, F. (2020) ‘La anticipación como crítica: la fantasía objetiva desde Ernst Bloch hasta Günther Anders’, Praktyka Teoretyczn, 1(35): 149-166.
[5] Zechner, M., y Hansen, B.R. (2015) ‘Construyendo poder en una crisis de reproducción social’, Revista ROAR, vedi anche EZLN (2021) ‘Declaración por la Vida’, disponibile qui:
Visualizza anche l’archivio delle azioni sociali e delle alternative di Global Tapestry of Alternatives.
[6] Dinerstein, AC (2015) Las políticas de autonomía en América Latina: El arte de organizar la esperanza, Basingstoke, Nueva York: Palgrave Macmillan.
[7] Bloch, E. (1959/1986) El principio esperanza, Cambridge, MA: MIT Press. L’ultima versione pubblicata in Italia in tre volumi è di Mimesis.
[8] Bloch citato in Neupert-Doppler, A. (2018) «Teoría crítica y pensamiento utópico». En Best, B., Bonefeld, W. y C. O’Kane (eds.),Manual SAGE de la teoría crítica de la Escuela de Frankfurt,Tres Volúmenes, Sage, Londres-Thousand Oaks.
[9] Véase Bloch, E. (1988) La función utópica del arte y la literatura: ensayos seleccionados trad. de Zipes, J. y Mecklenburg, F., Londres: MIT Press.
[10] Kellner, D. (s/f): ‘Ernst Bloch, utopía y crítica de la ideología’, Iluminaciones: La crítica Proyecto teórico, disponibile qui.
[11] Kellner, D. (s/f): ‘Ernst Bloch, utopía y crítica de la ideología’, Iluminaciones: La crítica Proyecto teórico, disponibile qui.
[12] Mariátegui, JC, Vanden, HE y Becker, M. (2011) José Carlos Mariátegui: una antología. Nueva York: Monthly Review Press.
[13] Bloch, E. (1959/1986) El principio esperanza. Cambridge, MA: MIT Press.
[14] Parafraseando al personaje de Bertolt Brecht en El ascenso y la caída de la ciudad de Mahagonny Véase Ott, M.R. (2015): ‘Algo falta: un estudio de la dialéctica de la utopía en las teorías de Theodor W. Adorno y Ernst Bloch’, Revista Heathwood de teoría crítica, poder, Violencia y no violencia, pp. 133-173
Ana Cecilia Dinerstein è professoressa di sociologia politica
e teoria critica all’Università di Bath UK. Un suo contributo è raccolto nel libro curato da Aldo Zanchetta Speranza forza sociale ed è focalizzato sull’arte di organizzare la speranza.
L’autrice si ispira ai movimenti sociali latinoamericani che negli anni Novanta e all’inizio del 2000 hanno affermato la possibilità di un cambiamento politico attraverso la ricerca dell’autonomia.
Fonte: comune-info.net - 20 agosto 2025