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Il regno della libertà

📢 LE MALETESTE 📢

15 set 2023

Resta indispensabile chiedersi quale ruolo devono oggi giocare il pensiero critico, i movimenti sociali, la comunicazione indipendente, per spostare la nostra riflessione su come imparare a vivere tra le rovine della modernità e alimentare speranza.
di MARVI MAGGIO

Marvi Maggio

11 Settembre 2023


Non è facile e non bastano le categorie di pensiero utilizzate finora, ma certo resta indispensabile chiedersi quale ruolo devono oggi giocare il pensiero critico, i movimenti sociali, la comunicazione indipendente per spostare la nostra riflessione su come imparare a vivere tra le rovine della modernità e alimentare speranza. Secondo Marvi Maggio si tratta di preservare una visione della complessità dei processi ma anche della loro specificità, prima di tutto quella che emerge nei territori, dove avviene la vita di ogni giorno, senza aggrapparsi a categorie generalizzanti che rischiano di nascondere i processi locali specifici invece di disvelarli. Si tratta anche di partire dall’esistente, dunque anche dalla mancanza di grandi movimenti sociali. Da dove cominciare? Ad esempio dalla parola libertà, dal desiderio di perseguire una vita non alienata per tutti e tutte, ma anche dall’avviare ovunque e in tanti modi una discussione su cosa produrre, dove e quanto



Totalità

Per il giacobino Saint Just la parola felicità equivale al benessere economico cui tutte le persone hanno diritto di partecipare in egual misura.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario modificare radicalmente e quindi sovvertire i processi sociali che producono ineguaglianza e distribuiscono in modo così ineguale le ricchezze socialmente prodotte. Si tratta di agire sulle cause e non solo sugli effetti.

Per eliminare la povertà, bisogna eliminare la ricchezza.

Quindi sappiamo che non si tratta tanto e solo di ri-distribuzione di quanto viene oggi prodotto, ma di produrre in un modo diverso da quello capitalistico: gestendo le relazioni metaboliche con la natura in modo da favorirne la riproduzione; organizzando la produzione di beni materiali, e la produzione e riproduzione della natura umana, attraverso rinnovate pratiche sociali, che organizzino le attività in modo cooperativo e non gerarchico, senza sfruttamento e senza dissipazione di risorse.

Vuole dire che solo producendo in modo diverso le basi materiali della vita, possiamo sperare di superare la crisi ambientale e l’alienazione umana che ci troviamo di fronte.

Ma tutto questo va fatto a partire dalle condizioni odierne, dallo stato di cose presenti. Dai processi sociali che sono attivi oggi, nelle loro differenze territoriali e nei loro legami ad ogni scala territoriale, fino ad arrivare a quella planetaria.


Quello che abbiamo di fronte e in cui siamo immersi è una totalità planetaria, in costante trasformazione, composta di una rete di specifiche relazioni e pratiche sociali, che sono costruite e che si evolvono attraverso l’azione umana. Ogni categoria che utilizziamo deve essere continuamente verificata nella sua capacità di cogliere i processi in atto. Perché nessuna categoria, neppure quella che sembra più oggettiva è davvero capace di cogliere la realtà nella sua complessità. È sempre un continuo tentativo di avvicinarsi alla comprensione di una realtà che oltre ad essere complessa, è in costante trasformazione.


In un contesto di nuove e vecchie ingiustizie sociali e ambientali, che si stratificano incessantemente, abbiamo bisogno di metodi di analisi delle condizioni contemporanee e strategie di trasformazione sociale che siano fondate sulle condizioni attuali e sulle crisi che si determinano.


Le interrelazioni fra movimenti sociali e pensiero critico, consentono di sviluppare una comprensione profonda dei processi sociali spazio-temporali contemporanei, leggendoli nella loro totalità e specificità, come specifiche pratiche e relazioni sociali, storiche e territoriali.


In questo compito l’informazione indipendente gioca un ruolo cruciale.


Dobbiamo avere una visione della totalità dei processi ma anche della loro specificità, perché ogni contesto territoriale ha delle proprie specificità, seppure sottoposto a processi economici che sono interrelati e che condividono alcune regole e caratteri, quelli del capitale.

Il quadro complessivo deve essere interpretato guardando al funzionamento del capitale come motore economico, ma va riconosciuto che esso si riproduce all’interno del capitalismo come formazione sociale, che comprende le specificità territoriali e le specifiche stratificazioni sociali portate dalla storia specifica spaziale e temporale.

Non si possono generalizzare automaticamente letture di processi e fenomeni di specifici territori, applicandoli ad altri. Esistono dei processi complessivi e condivisi a livello planetario, ma vanno individuati con la massima attenzione e verifica. Le categorie generalizzanti rischiano di nascondere e coprire processi locali specifici invece di disvelarli.


I processi economici sono intrecciati con processi sociali spazio temporali. Gli effetti di questi processi sono sfruttamento, espropriazione, alienazione, distruzione della natura non umana. Queste sono le urgenze che si troviamo di fronte.


Campeggiamo in primo piano: la competizione fra stati e fra blocchi di stati; la preponderanza del complesso industriale militare; il legame fra stato e finanza; la competizione fra capitalisti; l’intreccio sempre più stretto fra stato e sistema economico capitalista.


Quando guardiamo al capitale nella sua totalità il carattere classista diventa chiaramente visibile.



Frammentazione

Di fronte a un mondo che funziona come rete interconnessa con una sua totalità formata da tante specificità, il mondo del pensiero critico e dei movimenti tesi alla trasformazione sociale si trovano, da una quarantina di anni, frammentati.

Assistiamo a una frammentazione delle lotte, delle questioni che vengono poste, degli obiettivi.

È stato uno dei risultati della restaurazione degli anni Ottanta, quella del neoliberismo e del pensiero unico, quella dei diritti conquistati con dure lotte, eliminati di anno in anno insieme al potere sociale di chi li aveva promossi.

Negli anni Settanta i movimenti avevano chiaro che tutti i settori della società dovevano essere investiti dal cambiamento: i luoghi di produzione e di lavoro, la famiglia, le amministrazioni pubbliche, la scuola, l’università, la cultura, le caserme, le prigioni, il mercato, il mondo dello spettacolo e dell’arte, la politica, gli spazi pubblici, gli spazi residenziali, i quartieri; a dover essere radicalmente sovvertiti erano i rapporti di classe, di genere, di potere, i rapporti fra generazioni.

E la chiamavano rivoluzione, fatta attraverso una mobilitazione continua, che dopo aver sovvertito i poteri nella fabbrica, passava a prendersi la città (come indicava la campagna di Lotta Continua lanciata nel 1971), e che ha continuato a risuonare negli anni successivi.

Negli anni Ottanta per poter sussistere dopo la restaurazione fatta di repressione e galere, è iniziata la pratica, in principio consapevole e poi automatica, di proporre solo lotte parziali, locali e specifiche che dichiaravano apertamente di non voler cambiare la struttura complessiva, ma solo una piccola parte di essa. In quell’ambiente ostile e difficile, nessuno osava più pensare a una visione internazionale, planetaria di trasformazione sociale, dando un nuovo significato ed una nuova formulazione a quello che in passato era stata la rivoluzione libertaria- comunitaria-comunista.


È stato il risultato di una repressione di ogni pensiero rivoluzionario di sinistra e dell’egemonia del potere di classe padronale che è conseguita alla dura controffensiva contro le lotte del dopo guerra e in particolare degli anni Settanta che avevano assistito a una continua avanzata dei movimenti urbani, dei lavoratori, delle donne, con un significativo cambio dei rapporti di forza.

Veniamo da un lungo periodo di parole proibite: rivoluzione, classe, lotta di classe, capitalismo, violenza di classe, rapporti di forza, conflitto. Proibizione avvenuta durante il periodo di più feroce e violenta lotta di classe degli ultimi decenni, condita con produzione di armi e di guerre, distruzione sistematica della natura non umana in nome del profitto, e alienazione umana sempre in nome della creazione di ricchezza fondata su violenza e sopraffazione.

Il concetto proibito: dire che la trasformazione deve essere strutturale e complessiva, che bisogna individuare le cause e quindi i processi che producono gli effetti negativi e trasformarli radicalmente, perché agire sui meri effetti non intacca la loro incessante produzione. Che dietro molte generalizzazioni e concetti imposti come oggettivi, si nasconde l’offuscamento della realtà, la sua mancata comprensione e quindi l’impossibilità di trasformarla in senso egualitario.


Oggi si verifica una mancanza della capacità, da parte delle forze della trasformazione, di fare i conti e rispondere al livello del funzionamento complessivo del sistema capitalistico dominante, con le sue differenti parti connesse e operanti in relazione fra loro, organicamente. In questo modo è più facile per le classi dominanti rendere irrilevanti le rivendicazioni e anche le vittorie e riaggiustare l’insieme. I meccanismo di produzione dell’ingiustizia restano invariati.


Non esistono ambiti di lotta in grado di rivoluzionare tutti i momenti della struttura sociale. Né esistono soggetti sociali che da soli, per la loro specifica condizione sono in grado di condurre tutti alla trasformazione complessiva. Sono invece necessarie sempre più lotte connesse in rete e impegnate nei diversi momenti dei processi sociali che riguardano la base materiale di produzione e riproduzione della società: tecnologia e forme organizzative; relazioni sociali; organizzazione e amministrazione istituzionale; sistemi di produzione e processi lavorativi; relazioni con la natura; riproduzione della vita quotidiana e della specie; concezioni intellettuali sul mondo.

Storicamente diversi movimenti si sono concentrati su uno solo di questi aspetti ritenendo che gli altri avrebbero seguito a ruota, ma non è così. Ogni ambito ha bisogno delle sue specifiche lotte e trasformazioni, delle sue analisi e proposte. Il contributo di ciascuna di esse va messa in rete. E qui l’informazione indipendente ha un ruolo cruciale. Come lo ha nella diffusione del pensiero critico.



Rivoluzione

La trasformazione sociale deve guardare al quadro nel suo insieme. Bisogna ritornare a parlare di rivoluzione, ma nella consapevolezza di dover guardare a tutti gli ambiti della trasformazione, corrispondenti ai diversi momenti dei processi sociali, che non sono uno, ma plurimi, tutti importanti, nessuno sufficiente da solo. Rivoluzione non vuol dire cancellare l’esistente, e costruire nel vuoto, ma trasformare l’esistente in base a nuovi funzionamenti che ne rivoluzionino radicalmente il senso.


Non possiamo limitarci a promuovere una ridistribuzione di quanto è socialmente prodotto in base a regole di sfruttamento, espropriazione di beni e diritti, distruzione della natura, perché gronda sangue. Non faremmo che perpetuare i caratteri precipui delle economia capitalista: sfruttamento, dissipazione di risorse, distruzione della natura non umana, alienazione della natura umana, per avere in cambio l’attutimento di alcuni effetti, lasciando il quadro tal quale. Dobbiamo invece immaginare un altro modo di produrre, non gerarchico, che sappia trovare sinergie con la natura non umana, ed al quale tutti contribuiscano in base alle loro capacità.


Marx nel Grundrisse (p. 278) afferma parlando di come il capitalismo si è consolidato:

“questo sistema organico stesso, come totalità, ha i suoi presupposti; e il suo sviluppo in questa totalità consiste precisamente nel subordinare tutti gli elementi della società a sé stesso oppure nel creare i suoi organi che ancora mancano. Questo è come storicamente è diventato una totalità”.

In modo simile può essere costruita una società altra: subordinando a sé tutti gli elementi della società esistente e costruendo nuovi organi, se mancano. Dando un senso nuovo e un nuovo funzionamento agli elementi esistenti e costruendone di nuovi.


Questo è possibile perché esiste una indeterminatezza nella totalità eco-sistemica del capitalismo nei confronti di tutta una serie di innovazioni che creano fratture, cioè delle possibilità attraverso le quali può emergere una alternativa socialista.


Il metodo di Marx (1867) di analisi sociale è ancora così efficace e pieno di potenzialità perché mette in primo piano la base materiale delle organizzazioni sociali viste nella loro totalità e specificità. Marx interpreta la base materiale come sistemi organici visti nel loro sviluppo storico e geografico nello spazio-tempo, in perpetua trasformazione. Marx investiga la base materiale guardando agli strumenti di produzione per sostenere la vita, come differenti momenti dello stesso processo: la tecnologia che mostra il modo in cui la società si rapporta con la natura; la relazione con la natura e la costruzione di una seconda natura attraverso l’urbanizzazione e la costruzione di infrastrutture fisiche; i processi di produzione attraverso cui la vita viene sostenuta; i sistemi di produzione e i processi lavorativi; la riproduzione sociale come riproduzione della vita quotidiana e della specie; le relazioni sociali, come le relazioni di classe, di genere e le relazioni di potere; l’organizzazione e l’amministrazione istituzionale, le concezioni sul mondo. In modo cruciale l’analisi di Marx della base materiale dell’organizzazione sociale include la storia e i suoi processi, riconosce costantemente i cambiamenti nello spazio e nel tempo. Tutti i momenti funzionano come un sistema organico, una totalità.


La maggiore forza del marxismo è il fatto di fondare le strategie di trasformazione sociale sulle reali contraddizioni e crisi nella loro specificità territoriale e storica come parte della totalità. È il regno della necessità di cui dobbiamo prenderci cura. Dobbiamo trovare modi collettivi, egualitari ed equi, per gestire le relazioni metaboliche con la natura, la produzione di beni materiali, le concezioni materiali sul mondo e la produzione e riproduzione della nostra natura umana attraverso le pratiche materiali. Se il capitalismo deve smettere di produrre, un’altra economia che segue un’altra logica, deve essere attivata. Abbiamo comunque bisogno di beni e servizi, in una società differente, anche se è necessario una dibattito serio su cosa produrre, dove e quanto, e di certo vanno eliminate quelle produzioni che consumano molte risorse senza alcun vantaggio collettivo, come avviene per i beni e i servizi di lusso, basti pensare alle navi–yatch, destinati ai ricchi, e super-ricchi che in una società egualitaria ed equa non esisterebbero, in quanto non verrebbero più prodotti dalla abnorme differenza di reddito. E basti pensare alla produzione di armi.


Per Marx il mondo della necessità, in una nuova società, può consistere solo nei produttori associati che razionalmente organizzano la produzione e la riproduzione attraverso il minor dispendio di energie e nelle condizioni più favorevoli e degne della loro natura umana.

Questa idea ha ispirato tutte le lotte basate sull’autogestione nei luoghi di lavoro ed è stata adottata anche nelle lotte sulla riproduzione, come i centri sociali.

L’idea è che i lavoratori possano sviluppare modi alternativi di sostenere la vita, in grado di rispettare il loro dispendio di energia e la loro natura umana: l’opposto dello sfruttamento e dell’alienazione.

E Marx indica nella riduzione dell’orario di lavoro il requisito di base per andare nella direzione del regno della libertà. Perché allora come oggi, partiamo dal contesto esistente, e occorre cercare il percorso per renderlo sempre più reale.

Oltre il regno della necessità, inizia il regno della libertà, quello sviluppo dell’energia umana che ha uno scopo in sé stesso, il vero regno della libertà, che, però può fiorire solo con il regno della necessità come base.

La società nuova deve farsi carico di produrre la sua base materiale, per poter liberare tempo. E non è un caso che la riduzione dell’orario di lavoro sia un prerequisito, per il regno della libertà, perché il regno della libertà è quello del tempo libero dal lavoro, che deve accrescersi sempre più. Il tempo che ognuno può usare per fare quello che davvero vuole fare, è il regno della possibilità invece che degli obblighi.


Il compito di chi vuole trasformare l’esistente in senso egualitario ed equo è progettare un modo nuovo, da costruire pezzo per pezzo, di gestire le relazioni metaboliche con la natura; produrre i beni materiali che ci occorrono, produrre e riprodurre la natura umana attraverso le pratiche materiali.


È necessario organizzare un’economia che si prenda cura dei bisogni, dei voleri, dei desideri materiali e realizzi tempo libero per perseguire una vita non alienata.



Bibliografia

Maggio, Marvi, (2021), Ri-prendiamoci la città, Comune-info

Maggio, Marvi, (2021) La GKN e un’idea diversa del lavoro, Comune-info

Maggio, Marvi (2019), Come ne vogliamo uscire, Comune-info

Maggio, Marvi, (2018), Non si difende qualsiasi lavoro, Comune-info

Maggio, Marvi, (2017), 1977, una storia appena iniziata, Comune-info

Maggio, Marvi, (2022), Conoscenza, partecipazione e libertà, Ed. PerUnaltracittà, Firenze (pdf)



MARVI MAGGIO

fonte: comune-info.net - 11 set. 2023

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