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8 giu 2024
Quando parliamo di guerra nelle retrovie, ci viene detto alle classi lavoratrici che dobbiamo rinunciare ad aumentare i salari, accettare una maggiore intensità di lavoro, un maggiore sfruttamento, a vantaggio di un’economia orientata alla guerra - GENIS FERRERO, membro CNT (ESP)
di GENIS FERRERO, membro CNT
5 giugno 2024, ore 6
Lo scorso 1° maggio abbiamo approfittato di questa giornata internazionalista a Bilbao per lanciare un proclama classista contro la guerra, contro tutte le guerre e contro tutti gli Stati che le promuovono e le finanziano direttamente o indirettamente.
Tamburi di guerra risuonano in tutto il mondo: a quello dell'Ucraina, già normalizzato dai media, si aggiungono la guerra e la barbarie in Palestina che oggi occupa numerose mobilitazioni nel mondo per l'impotenza di non riuscire a fermare il massacro di Gaza.
Ma la guerra non riguarda solo questi due conflitti, la guerra non si è fermata in Kurdistan, nel Sahara, in Sudan, nel Mar Rosso, in Congo, in Birmania... conflitti messi a tacere da media, istituzioni o organizzazioni politiche che, però, coinvolgono il massacro, lo sfollamento e la barbarie di milioni di esseri umani.
L’Unione europea ha chiesto agli Stati membri di compiere uno sforzo per adottare una nuova economia di guerra, mentre in Spagna il PSOE, il PP, VOX, Sumar e tre membri del Gruppo misto hanno concordato che la Spagna interrompa l’applicazione del Trattato che limita le armi che potrebbe possedere, adempiendo al mandato della NATO. Il reclutamento obbligatorio è sul tavolo dei governi di sempre più paesi, mentre tutti i tipi di governo nel mondo finanziano direttamente o indirettamente gli eserciti regolari che da ogni lato delle diverse guerre partecipano alla barbarie.
Bakunin affermava, alla fine del XIX secolo, che non poteva esserci convivenza pacifica tra gli Stati poiché la natura stessa della forma statale, come istituzione e salvaguardia delle classi dominanti in ciascuna regione, si fondava sulla sua estensione e dominio sul resto. La forza e la crescita di uno Stato avvenivano sempre a scapito degli altri, il che portava inevitabilmente alla guerra. Bakunin, come socialista, anarchico e internazionalista, definì la tendenza all'imperialismo di qualsiasi Stato a partire dalla sua analisi storica e materialista di un'Europa prima della Grande Guerra, un mondo prima della politica dei blocchi mondiali avvenuta dopo la Seconda Guerra Mondiale, uno scenario molto più simile a quella dei nostri giorni dove le alleanze tra Stati obbediscono oggi solo a rapporti di potere e di dominio in termini di forza, basati sugli interessi delle classi dominanti in competizione tra loro.
La guerra ovviamente porta morte e miseria al fronte, ma negli Stati non direttamente in conflitto, come il nostro, porterà tagli sociali, perdita di libertà e precarietà delle nostre condizioni di vita.
Cosa significa la guerra per le classi lavoratrici?
Ma cosa significa la guerra per le classi lavoratrici? La guerra ovviamente porta morte e miseria al fronte, ma nelle retrovie, o in Stati non direttamente in conflitto come il nostro, porterà tagli sociali, perdita di libertà e precarietà delle nostre condizioni di vita, normalizzando il militarismo e disumanizzando la vita, parti in conflitto. Quando la Commissione Europea chiede agli Stati membri di impegnarsi per adottare un’economia di guerra, in realtà si riferisce alla classe operaia: l’unica classe che, con il suo lavoro e il suo sangue, genera il beneficio di cui si appropriano tutti i privilegiati, capitalisti e capitalisti le classi possidenti, ma anche tutte le classi burocratiche e religiose che governano gli Stati nel mondo.
Cerchiamo di essere chiari: quando parliamo di guerra nelle retrovie, ci viene detto alle classi lavoratrici che dobbiamo rinunciare ad aumentare i salari, accettare una maggiore intensità di lavoro, un maggiore sfruttamento e rinunciare a migliorare le nostre condizioni di vita a vantaggio dei lavoratori. un’economia orientata alla guerra. Ci viene detto di tagli sociali e di rinuncia alle libertà.
È un fatto storico, come ha dimostrato anche Rosa Luxemburg, che la guerra è uno dei modi che hanno gli Stati per sostenere l’accumulazione del capitale e, quindi, è direttamente una questione di classe. Ecco perché non dobbiamo intendere la guerra come una questione esclusivamente morale, ma dobbiamo intendere la guerra militare come una delle forme storiche che tutte le classi dominanti hanno avuto per assicurarsi i propri privilegi nella loro infinita competizione reciproca, una spirale elevata al di sopra della base dello sfruttamento e del dominio delle classi diseredate in tutto il mondo.
Solo comprendendo le vere cause delle guerre possiamo scoprire modi per contrastarle. E se la loro ragion d’essere è la conservazione dei privilegi di una frazione delle classi dominanti a prezzo del nostro sangue, dobbiamo anche capire che non ha importanza la bandiera sotto la quale gli Stati, visibili o nell’ombra, dirigono gli eserciti.
Non importa se si presentano sotto forme democratiche o dittatoriali, se sono Stati laici o religiosi, se sono eserciti regolari di Stati legittimi oppure no. Finché ci sono dei capi e dei guidati, finché esiste una società divisa in classi, tutti gli eserciti sono al servizio della classe privilegiata e delle sue forme di governo in ogni territorio.
Dobbiamo allora chiederci: se è stato così fin dall’antichità, perché si verifica ora questa escalation di guerra? La risposta può essere trovata nel processo di collasso in cui sono immerse le nostre società, collasso che per la CNT è solo il processo di esaurimento delle economie e delle forme di Stato come le abbiamo finora intese. È l’accelerazione della crisi incompiuta del 2008 a livello globale dovuta alla coincidenza tra la crescente scarsità di materie prime e combustibili fossili, la catastrofe ecologica, l’incapacità degli Stati di garantire ogni volta forme minime di sussistenza alla popolazione…
E se la guerra risponde ad un interesse delle classi privilegiate, degli Stati e del Capitale, diciamolo chiaramente, dobbiamo concludere che chi ha la capacità di fermare la barbarie è anche colui che può abolire lo stato attuale delle cose, cioè il proletariato. Azioni spettacolari che fanno appello alla coscienza e alla moralità possono sembrare l’unica risposta, ma in realtà obbediscono solo all’impotenza che provano come individui quelli di noi che nutrono un minimo di umanità.
Ma l’indignazione, la denuncia pubblica o le azioni spettacolari non cambiano la realtà materiale su cui sono costruiti gli eserciti, chi li dirige o chi li finanzia. Le classi lavoratrici del mondo sono le uniche ad avere la reale capacità di porre fine alla barbarie, di porre fine alla guerra in Ucraina o di fermare il massacro a Gaza.
L’unica possibilità per fermare le guerre è la lotta di classe nelle retrovie, che rende impraticabili gli sforzi bellici.
L’unica possibilità per abbreviare le guerre è la lotta di classe nelle retrovie, che rende impraticabili gli sforzi bellici, è aumentare gli scioperi per il continuo miglioramento delle condizioni di vita, ridurre la giornata lavorativa, aumentare i salari, porre fine alla discriminazione di ogni tipo, sabotare gli sforzi bellici , incoraggiare la diserzione negli eserciti, incoraggiare gli scioperi nelle aziende per le nostre condizioni di vita fino a rendere impossibile destinare le economie alla guerra e, naturalmente, rovesciare i governi e le istituzioni che ci portano alla barbarie.
Il 9 giugno ci saranno nuovamente le elezioni per il Parlamento Europeo, quell'istituzione sulla quale gli Stati si legittimano quando si tratta di dirci che dobbiamo dedicare i nostri sforzi, come classe, al mantenimento dei suoi benefici con tutti i mezzi, compresa la guerra militare. È tempo di chiedere l’astensione in queste elezioni, di organizzarsi e lottare per trasformare le basi materiali di questa società, per abolire tutte le ingiustizie.
fonte: (ESP) elsaltodiario.com - 5 giugno 2024
traduzione a cura de LE MALETESTE