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SIRIA DEL NORD-EST. Un quadro della situazione al primo febbraio 2025

🌾 LE MALETESTE 🌾

1 feb 2025

Servizi ed interviste a cura di CHIARA CRUCIATI e GIANSANDRO MERLI

Nord-est siriano, democrazia in cerca di futuro


di Chiara Cruciati e Giansandro Merli

1 febbraio 2025


(...) Da tre settimane, tra le colline boscose del nord, la popolazione siriana presidia la diga di Tishreen con i propri corpi. Arrivano a piedi, si fanno forza gridando «lunga vita alle Sdf, lunga vita alle Ypj», tributo alle Forze democratiche siriane e alle unità di difesa curde delle donne, uno dei più preziosi patrimoni di 13 anni di rivoluzione. Con le bandiere in mano si affollano sull’impianto che attraversa il fiume Eufrate, quaranta metri di altezza per sei turbine. Il Baath ne avviò la costruzione nel 1991, la terminò nel 1999, a fare il paio con la diga più a sud, sul Lago Assad.


Il rischio è altissimo. Dall’8 gennaio 24 civili sono stati uccisi a Tishreen dal fuoco sparato dai miliziani filo-turchi e dai droni di Ankara. Tra le vittime anche tre operatori sanitari del presidio medico permanente, tre ambulanze e un gruppo di infermieri e paramedici. Almeno 221 i feriti, tra cui sette giornalisti. Gli attacchi dal cielo hanno preso di mira le auto e i piccoli autobus, parcheggiati alla diga o ancora in cammino verso Tishreen, e hanno messo fuori uso l’infrastruttura: centinaia di villaggi sono a secco e al buio.


(...) Dalla deposizione del presidente Bashar al-Assad, l’8 dicembre 2024, l’unico fronte aperto in Siria è a nord. L’Sna, manovrato ed equipaggiato dalla Turchia, non si è mai diretto verso sud, verso Damasco. Dall’inizio dell’offensiva-lampo di Hayat Tahrir al-Sham, il 27 novembre scorso, l’Sna ha guardato a oriente, all’occasione sempre rimandata di prendersi – per conto di Ankara – l’intero Rojava. Da allora, sono 41 i civili uccisi in tutto il nord-est, 245 i feriti. Il massacro peggiore è del 25 gennaio, 12 vittime al mercato di Sirin.


La via di uscita è solo una: il cessate il fuoco con la Turchia che permetta di salvaguardare la popolazione civile, le conquiste del sistema democratico e il suo scudo difensivo, le Sdf.

La linea delle autorità civili e militari del confederalismo democratico è chiara: mostrarsi aperte al dialogo con la nuova leadership di Damasco, proporsi come partner affidabile e ricco di competenze a disposizione di tutto il paese, tenere la porta aperta al processo di integrazione su base nazionale delle istituzioni regionali.


Questa disponibilità di massima, ovviamente, non è gratuita ma possibile solo ad alcune condizioni. In senso generale riguardano il rispetto delle prerogative democratiche, di un certo grado di autonomia, dei diritti di donne e minoranze. I rappresentanti dell’Amministrazione autonoma vogliono essere parte del processo costituente che dovrebbe portare alla scrittura di una nuova Carta, mercoledì scorso Al Jolani ha cancellato quella del regime Baath, e proporre i principi dell’avanzato Contratto sociale del Nord-est, scritto in arabo, curdo e siriaco, come riferimento per il nuovo testo.


(...) I segnali che arrivano dalla capitale, però, vanno in tutt’altra direzione. Nella cerimonia di insediamento a capo della repubblica araba siriani di Al-Jolani le autorità del Nord-est non sono state invitate. C’erano invece le Sna. Non sono loro la minaccia principale al confederalismo democratico, ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il suo esercito, il secondo della Nato, preme da nord. Le fazioni armate che finanzia attaccano da ovest. La nuova leadership di Damasco, che prima governava soltanto la regione di Idlib dove la lira turca è la moneta corrente, si è insediata a sud. La regione autonoma e il suo progetto di convivenza pacifica tra i popoli, di eguaglianza tra uomini e donne, di pace rischia così di finire nella morsa di Ankara.


(...) Anche perché le differenze con la presidenza di Al Jolani non sembrano soltanto legate alla contingenza o agli interessi di Ankara. Sono di natura profondamente politica, quasi antropologica. Dopo la rivoluzione nel Nord-est tutte le cariche importanti hanno due co-presidenti: un uomo e una donna. A Damasco l’unica ministra dominata Aisha al-Dibs, nominata su pressioni internazionali, seguirà gli affari femminili. Le sue prime dichiarazioni hanno sollevato polemiche: «Le donne sono responsabili in primo luogo delle loro famiglie e dei loro mariti». Una tensione molto diversa rispetto a quello che è accaduto nella regione autonoma dove le donne hanno prima assunto un determinante ruolo militare e poi si sono impegnate nell’organizzazione politica per occuparsi della vita pubblica. È per questo che la comandante Afrin lancia una sfida ai nuovi leader di Damasco: «Siete pronti a nominare una donna a capo del ministero della Difesa?».


 


Il miraggio del ritorno: sfollati in fuga verso est


di Chiara Cruciati

1 febbraio 2025


(...) Il 27 novembre 2024 Hayat Tahrir al-Sham ha lanciato la sua offensiva lampo contro il regime, dieci giorni dopo Bashar al-Assad fuggiva in Russia. Del caos confuso e vibrante di quei giorni ha approfittato uno degli attori più feroci della guerra civile siriana, la Turchia con il suo manipolo di milizie salafite, ingrassate e armate nel nord-ovest della Siria: è il sedicente Esercito nazionale siriano, l’Sna.

Il fronte, sempre attivo, si è riacceso; a pagarne il prezzo sono stati i campi profughi di Shabha, nella regione di Taal Rifaat. Era qui che nella primavera del 2019 avevano trovato rifugio centinaia di migliaia di abitanti di Afrin, il cantone più occidentale dell’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est. Scappavano dall’operazione «Ramoscello d’ulivo», oltraggioso appellativo scelto dal presidente turco Erdogan per patinare l’occupazione della città. (...)


 


«Al contratto sociale non rinunceremo mai»

Intervista ad uno dei membri arabi del Consiglio esecutivo dell'Amministrazione autonoma (Daanes)


di Chiara Cruciati

1 febbraio 2025


(...) Quanto è importante la componente araba dentro le Sdf, le Forze democratiche siriane?

Almeno la metà delle Sdf e della Daanes è araba. Abbiamo combattuto a Kobane sotto le Ypg e le Ypj, le unità curde popolari e delle donne. Ogni persona deve combattere per la propria esistenza: dovevamo e dobbiamo difenderci dal terrorismo. Non crediamo nel separatismo, crediamo nella coesistenza di ogni componente della società, etnica e religiosa.


Come vede il futuro delle donne nella nuova Siria?

Nella Daanes le donne sono presenti a ogni livello e in ogni settore, non intendiamo rinunciarci nel dialogo che avremo con il nuovo governo di Damasco. Al momento non abbiamo risposte: il ministero della difesa ha detto che le donne entreranno nell’esercito? I nuovi leader hanno parlato di diritti delle donne? Andranno creati dei comitati, militari, politici e sociali e le donne con le loro organizzazioni dovranno partecipare, insieme agli esponenti di tutte le comunità della Siria. La conferenza nazionale promessa, che dovrebbe discutere della futura forma di governo, non è ancora partita, è presto per dire cosa accadrà. Di certo noi non intendiamo dissolvere le Sdf fin quando non avremo rassicurazioni sul rispetto dei diritti di tutti. Non ci sarà alcuna integrazione fino alla stesura della nuova Costituzione. (...)


 


Siria del nord-est, «sanità gratuita e per tutti, la sfida del confederalismo»

intervista ad un medico del nord-est siriano


di Chiara Cruciati e Giansandro Merli

1 febbraio 2025


(...) La sanità pubblica è gratuita?

L’obiettivo è quello, ma al momento dipende da vari fattori: cantone, ospedale e tipo di prestazione. Il sistema sanitario pubblico è decentralizzato tra i cantoni: Jazira, Deir-ez-Zor, Raqqa, Eufrate e Tabqa. Oltre alle nostre strutture ci sono quelle delle ong, completamente gratuite perché finanziate dall’etero, e quelle private, dove i costi sono molto alti. Negli ospedali pubblici in genere è previsto un ticket su alcuni servizi. Chi non ha nulla, per esempio i rifugiati che vivono nei campi, non paga. Per gli altri c’è una piccola percentuale. Resta comunque il problema dei materiali sanitari che dobbiamo importare. Uno stent ci costa 300 dollari, che non riusciamo a coprire. Deve farlo il paziente mentre noi garantiamo la gratuità di ricovero, intervento e farmaci. Nel privato lo stesso trattamento costa 1.200 dollari.


Il pensiero di Öcalan ha effetti anche sul piano sanitario?

Senza il suo pensiero, basato sulla fratellanza tra i popoli, tutto questo non ci sarebbe. Qui non siamo a Kobane, dove quasi l’intera popolazione è curda. A Raqqa c’è di tutto. È qui che il confederalismo deve funzionare. Quando si parla dell’Amministrazione autonoma si dice spesso Rojava, il Kurdistan siriano, ma quella è solo una fetta del territorio. In altre i curdi sono meno degli arabi, e poi ci sono armeni, turkmeni, circassi, assiri. Questi popoli devono avere gli stessi diritti. Senza tale convinzione non esisterebbe il resto, compreso il sistema sanitario. (...)



fonte: ilmanifesto.it - 1 feb. 2025

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