📢 LE MALETESTE 📢
29 ott 2023
I palestinesi e i loro sostenitori considerano la politica di attacco di Israele contro la Striscia di Gaza un genocidio e ciò che sta accadendo in Cisgiordania una pulizia etnica. Luci e ombre sul 7 ottobre e sulle sue conseguenze, da parte palestinese e filo-palestinese.
di AMIRA HASS
di Amira Hass,
Haaretz, 26 ottobre 2023
Le reazioni dei palestinesi e dei loro sostenitori in Occidente all’attacco di Hamas del 7 ottobre contro le comunità israeliane di confine sono state diverse: giustificazione per l’attacco, con tutti i suoi orrori; giustificazione, gioia e soddisfazione per le sofferenze altrui; giustificazione e disinteresse per la documentazione del baccanale di omicidio; giustificazione per l’intero attacco e orgoglio per i soli aspetti militari; giustificazione per l’azione militare, insieme alla comprensione o alla spiegazione del fatto che essa è diventata una baldoria di massacri sadici come risultato diretto di lunghi anni di oppressione ed espropriazione israeliana.
Le reazioni hanno incluso anche la giustificazione dell’azione militare ignorando o minimizzando l’esistenza o la portata degli orrori; l’orgoglio per l’aspetto militare e l’attenzione per le poche notizie sul massacro che poi si sono rivelate non accurate, nel tentativo di mettere in dubbio il resto delle notizie; la distinzione tra i combattenti armati di Hamas e la “marmaglia” che ha attraversato il confine con Israele, attribuendo a quest’ultima le uccisioni e il sadismo; la giustificazione dell’azione militare da un lato, insieme allo shock e al disgusto per i brutali omicidi; lo shock e il ripudio aperto o espresso privatamente di ciò che è stato fatto; l’ipotesi che Hamas “non si aspettava di avere così tanto successo” e di aver perso il controllo, il che significa che i danni estesi e prolungati ai civili non erano stati pianificati; la comprensione di tutti gli aspetti del contesto degli attacchi e la rabbia espressa privatamente nei confronti di Hamas; la comprensione di come si sono svolti i fatti e lo shock, il ripudio e il rifiuto di classificare le sofferenze o di fare una distinzione tra gli atti di orrore e crudeltà (cioè quelli compiuti per molti anni con gli aerei da un regime di occupazione militare) e quelli commessi in risposta da un gruppo di occupati; infine, lo shock, ma una critica aperta solo per motivi pragmatici (che l’attacco è stato dannoso per la lotta palestinese e la sua immagine).
Nel nostro mondo binario, gli israeliani e i loro sostenitori considerano le spiegazioni relative al contesto politico, storico e persino psicologico degli attacchi come tentativi di giustificarli. Gli israeliani e i loro sostenitori ignorano o si disinteressano della violenza strutturale del regime israeliano.
D’altro canto, i palestinesi e i loro sostenitori considerano la condanna pubblica dell’attacco di Hamas come un’assoluzione dell’occupazione israeliana dalle sue responsabilità e come una condanna selettiva che dipende dalla nazionalità israeliana o straniera di coloro che sono stati uccisi e fatti prigionieri.
E questo anche se lo shock per gli orrori perpetrati da Hamas è espresso da attivisti di lunga data contro il dominio israeliano sui palestinesi.
Non è un caso che la maggior parte dei palestinesi che hanno espresso apertamente il loro shock e il loro ripudio degli atti di Hamas siano cittadini palestinesi di Israele. La loro intera esistenza è anti-binaria.
La giustificazione totale o parziale degli attacchi di Hamas è ancorata al principio che ogni gruppo oppresso ha il diritto di resistere all’oppressione e con ogni mezzo possibile. Secondo questo approccio, poiché Israele è una delle manifestazioni storiche del colonialismo d’insediamento, non c’è da stupirsi che gli indigeni rispondano con crudeltà, simile alla crudeltà che è stata rivolta loro per decenni. Questa comprensione degli atti di massacro (che non significa giustificazione) è stata espressa da una mia amica palestinese che ha molti amici e parenti a Gaza.
“E cosa ti aspetti”, mi ha chiesto, “da persone che sono state imprigionate per tutta la vita in un’enclave impoverita, tagliate fuori dal mondo e umiliate, quando a pochi chilometri di distanza i loro occupanti vivono in un giardino dell’Eden su terre che erano appartenute alle loro famiglie e che sono state espulse da loro?”.
Giustificare gli orrori commessi da Hamas, ignorarli o disinteressarsene -come fanno i sostenitori occidentali dei palestinesi della sinistra radicale- ricorda l’atteggiamento passato delle organizzazioni comuniste e dei movimenti di liberazione del Terzo Mondo quando si trovavano di fronte ai metodi spaventosi impiegati nel blocco sovietico e nei Paesi che si consideravano socialisti.
In altre parole, la posizione di un individuo nello spettro politico-ideologico determina la misura della sua sensibilità o insensibilità alla crudeltà che prevale nel suo stesso campo politico. È una spiegazione più facile da digerire rispetto a quella che collega l’apatia di alcuni circoli della sinistra europea al fatto che i morti del 7 ottobre erano per lo più ebrei. (Tra le vittime di Hamas c’erano anche arabi israeliani e lavoratori thailandesi).
Il classico concetto di sinistra (almeno in teoria) secondo cui un movimento di liberazione nazionale o di classe deve assumere una posizione morale scrupolosamente elevata e non farsi trascinare in atti terroristici contro i civili sembra essere andato perso in questi circoli di sinistra in declino.
Attualmente ai palestinesi manca una leadership politica e intellettuale forte, accettata e rispettata dal popolo, che possa permettersi di tracciare pubblicamente la linea di demarcazione tra attività di liberazione consentite e proibite.
Man mano che i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza aumentano, che il numero dei morti e dei feriti cresce di minuto in minuto e che la distruzione si espande, diventa più difficile ricordare la gioia e l’orgoglio palestinese del primo giorno di guerra. È quindi anche più difficile esprimere pubblicamente o anche privatamente shock e opposizione agli atti di massacro di Hamas. È chiaro che ora non ci si può aspettare questo dai residenti della Striscia di Gaza, ognuno dei quali potrebbe essere ucciso in qualsiasi momento.
I palestinesi e i loro sostenitori considerano la politica di attacco di Israele contro la Striscia di Gaza un genocidio e ciò che sta accadendo in Cisgiordania una pulizia etnica. Secondo loro, un singolo giorno di orrori -per quanto terribile possa essere stato- ha scatenato i piani israeliani, già esistenti da tempo, di completare la Nakba del 1948.
Più i paesi occidentali continuano a sostenere la campagna di distruzione e di uccisione di Israele a Gaza, più la condanna dell’attacco di Hamas da parte dei palestinesi e dei loro sostenitori viene considerata una collaborazione con un tipico razzismo bianco che fa distinzione tra un tipo di sangue e un altro e tra un tipo di sofferenza e un altro.
Se ci sono riflessioni palestinesi sulla logica degli atti di Hamas e sul suo percorso, avvengono in privato o sono semplicemente accennate qua e là.
Come ha detto un’amica palestinese: “Tutto questo attacco per 4.000 prigionieri palestinesi?”, riferendosi ai prigionieri detenuti nelle carceri israeliane. “Sono convinta che non vogliano essere rilasciati a costo delle migliaia di palestinesi uccisi e della distruzione della Striscia di Gaza”, ha detto, ma ha anche chiarito che non può esprimere la sua opinione in pubblico.
AMIRA HASS
Fonte: (ISR) haaretz.com - 26 ott. 2023
Traduzione a cura di AssoPacePalestina - assopacepalestina.org - 27 ott. 2023