📢 LE MALETESTE 📢
13 dic 2023
1- Tra i 10 Paesi ONU che hanno votato contro si contano anche Stati Uniti, Israele e Austria. L’Italia è tra i 23 astenuti. 2- Non è la prima volta che il marchio Zara affronta una campagna di boicottaggio per offese rivolte alla Palestina e al popolo palestinese.
di VALERIA CASOLARO
L’ONU approva la richiesta di cessate il fuoco, ma l’Italia si è astenuta
Valeria Casolaro
13 dicembre 2023 - 9:37
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato ieri sera una risoluzione che chiede un cessate il fuoco immediato a Gaza. A votare a favore sono stati 153 Paesi su 193 totali, mentre sono 23 gli astenuti (Italia compresa) e 10 quelli che hanno votato contro, tra i quali Israele e Stati Uniti. Pur non essendo vincolante, la risoluzione è espressione della posizione prevalente a livello internazionale, che desidera che si ponga fine una volta per tutte al conflitto.
Tra i 10 Paesi che hanno votato contro si contano, insieme a Stati Uniti e Israele, anche Austria, Repubblica Ceca, Guatemala, Liberia, Micronesia, Nauru, Papua Nuova Guinea e Paraguay.
L’Italia è tra i 23 astenuti, insieme alla Germania e ad altri Paesi Membri dell’Unione europea (Lituania, Olanda, Bulgaria, Romania, Ungheria, Slovacchia).
Tra gli astenuti vi sono poi Ucraina e Regno Unito, oltre ad Argentina, Capo Verde, Camerun, Guinea Equatoriale, Georgia, Malawi, Isole Marshall, Palau, Panama, Sud Sudan, Togo, Tonga e Uruguay.
Poco prima del voto, il presidente statunitense Joe Biden aveva dichiarato che Israele gode del sostegno della «maggior parte del mondo», inclusi Stati Uniti ed Unione europea, ma che sta perdendo consensi per via dei «bombardamenti indiscriminati». L’esito della votazione, tuttavia, mostra come a livello internazionale vi sia una netta volontà che si giunga alla fine del conflitto il più presto possibile. Anche nell’Unione europea prevale la linea del cessate il fuoco – la stragrande maggioranza degli Stati ha votato a favore, inclusa la Francia. Il voto arriva all’indomani del fallimento di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il quale, lo scorso venerdì, aveva chiesto un cessate il fuoco umanitario a Gaza. Di 15 Paesi votanti, in quel caso, 13 avevano votato a favore. Il Regno Unito si era astenuto, mentre gli Stati Uniti avevano votato contro. Tuttavia, essendo questi ultimi membro permanente del Consiglio, godono del diritto di veto sulle risoluzioni e quindi del potere di bloccarle anche se, come in questo caso, si tratta dell’unico voto contrario.
La votazione mostra come la posizione degli Stati Uniti sia sempre più isolata rispetto a quella della stragrande maggioranza dei Paesi delle Nazioni Unite. Dal canto suo Israele non sembra tuttavia intenzionato a prestare la minima attenzione all’esito della votazione – come successo, d’altronde, per tutte le precedenti risoluzioni dell’ONU non vincolanti. In queste ore, infatti, i raid israeliani sono continuati senza sosta, con bombardamenti a Khan Younis, nella Striscia di Gaza, e incursioni nella Cisgiordania occupata.
Tempesta su Zara: la multinazionale dei vestiti usa il massacro di Gaza per marketing?
Valeria Casolaro
12 dicembre 2023
Il noto marchio di fast-fashion Zara sta affrontando una campagna di boicottaggio a livello mondiale a seguito della sua ultima campagna pubblicitaria. I modelli e le modelle sono infatti ritratti su di uno sfondo che dovrebbe essere uno studio d’arte, ma che a molti ha ricordato le immagini di Gaza distrutta che circolano in queste settimane. A destare particolare scalpore sono le immagini dei manichini avvolti in panni bianchi e scotch, una posizione che, secondo le critiche, ricorda tremendamente le immagini dei cadaveri della popolazione di Gaza, massacrata in queste settimane dall’aggressione israeliana. La reazione è stata immediata: in tutto il mondo si è diffusa la campagna di boicottaggio del brand, che ha spopolato sui social sotto l’hashtag #BoycottZara. Nella giornata di ieri, le immagini sono sparite sia dal sito che dall’app.
Inditex, multinazionale spagnola proprietaria del marchio Zara, ha dichiarato che i contenuti sono stati rimossi come esito di una normale procedura di aggiornamento dei contenuti, specificando che la collezione Atelier era stata concepita a luglio e realizzata a settembre, prima dello scoppio della guerra in Palestina, lo scorso 7 ottobre.
Tuttavia, non è la prima volta che il marchio Zara affronta una campagna di boicottaggio per offese rivolte alla Palestina e al popolo palestinese. In un messaggio inviato via Instagram (poi cancellato) al modello palestinese Qaher Harhash, risalente al 2021, la capo stilista per il settore femminile Vanessa Perilman aveva dichiarato che «Gli israeliani non insegnano ai bambini a odiare nè a lanciare pietre contro i soldati come fa la tua gente» e che «Forse se la tua gente fosse istruita non farebbe saltare in aria gli ospedali e le scuole che Israele ha contribuito a pagare a Gaza». Il messaggio era giunto in risposta a un post pro-Palestina pubblicato da Harhash a seguito della guerra durata 11 giorni tra Israele e Hamas, che ha causato oltre 230 morti tra i palestinesi.
Nel 2022, inoltre, Joey Schwebel (presidente di Trimera Brands, multinazionale della moda che controlla Zara Israel e altri marchi della spagnola Inditex) ha ospitato nella propria casa di Ra’anana, nel nord di Tel Aviv, un evento per la campagna elettorale dell’ultranazionalista Ben Gvir, attuale ministro della Sicurezza nazionale israeliana. Ben Gvir non ha mai fatto segreto della propria attitudine verso il popolo palestinese: nell’agosto di quest’anno, per esempio, aveva difeso un israeliano che aveva ucciso a colpi di pistola un palestinese dichiarando che avrebbe dovuto essergli appuntata una «medaglia d’onore». A seguito dell’evento promosso da Schwebel, in moltissimi hanno pubblicato sui social media foto e video di sè stessi mentre davano alle fiamme abiti di Zara acquistati in precedenza, chiedendo, anche in quell’occasione, un boicottaggio mondiale del marchio.
Anche in questa occasione, le proteste per la campagna Atelier si sono presto diffuse in tutto il mondo, con la vandalizzazione di alcuni punti vendita e le proteste degli attivisti all’interno dei negozi. Questa mattina, il brand ha pubblicato sulla propria pagina Instagram un post dove spiega che l’intenzione era quella di “rappresentare una serie di immagini di sculture non terminate nello studio di uno scultore” e che la campagna “è stata creata con il solo intento di mostrare capi artigianali in un contesto artistico. Sfortunatamente, alcuni clienti si sono sentiti offesi dalle immagini, che sono state ora rimosse, vedendo in esse qualcosa che era ben lontano dall’intento per il quale erano state create. Zara si rammarica per il malinteso e ribadisce il proprio rispetto verso tutti“. Tuttavia, sono molti a commentare che le scuse siano troppo blande e che siano arrivate troppo in ritardo.
Che si tratti effettivamente di una leggerezza, di un incidente commesso per errore di valutazione, o di una effettiva provocazione, nessuno può al momento dirlo con certezza.
Ciò che è certo è che una parte di società civile si conferma attenta ai messaggi veicolati (soprattutto) dai grandi brand, i quali travalicano i confini della semplice pubblicità per trasmettere un messaggio più ampio, con evidenti ripercussioni.
E proprio perchè consapevoli che gran parte del potere delle multinazionali passa anche attraverso l’immagine di sè che queste costruiscono e promuovono, una delle prime azioni intraprese dai sostenitori della Palestina a seguito dello scoppio della guerra, il 7 ottobre scorso, è stato mettere in luce i legami che molte di queste hanno con Israele e chiederne il boicottaggio dei prodotti. Sottovalutare la potenza di queste azioni risulta, oltre che incredibilmente ingenuo, anche estremamente controproducente.
VALERIA CASOLARO
fonte: lindipendente.online - 12 e 13 dic. 2023