
🎛 LE MALETESTE 🎛
19 feb 2025
Alla relatrice speciale Onu viene impedito di parlare all'università e allo spazio Kühlhaus con intimidazioni e interventi del sindaco e dell'ambasciatore - LUCREZIA ERCOLANI
Ma l'evento viene riorganizzato in poche ore alla sede dello storico quotidiano marxista «junge Welt»
BERLINO, 19 febbraio 2025
«Ho controllato: si chiama ancora Libera Università di Berlino, anche dopo aver cancellato il mio talk». È schietta e tagliente come suo solito Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. L’entusiasmo della platea è enorme, che Albanese riuscisse a parlare ieri era tutt’altro che scontato. Dopo le richieste esplicite al rettore dal parte del sindaco di Berlino Kai Wegner e dell’ambasciatore israeliano in Germania Ron Prosor, l’università ha infatti cancellato l’incontro.
All’ateneo di Monaco, una settimana fa, lo stesso copione. L’accusa è sempre quella di cui viene tacciato chi in Germania non si trinceri dietro una paradossale neutralità: antisemitismo.
Nel giro di pochi giorni si era però messa in moto la macchina dell’autorganizzazione, tre associazioni – Jüdische Stimme (Voce ebraica), Gaza Komitee e Eye4Palestine – hanno dato vita a una lunga giornata di incontri, proiezioni, musica e dibattiti intitolata Reclaiming the Discourse: Palestine, Justice and the Power of Truth il cui culmine era l’intervento di Albanese su «La legge internazionale di fronte al genocidio di Gaza».
Tutto era pronto alla Kühlhaus, luogo culturale poco distante da Potsdamer Platz e dalla Berlinale in corso questi giorni. Tuttavia ieri mattina lo spazio si è improvvisamente ritirato dopo aver subito una «immensa pressione» per cancellare l’evento: sulla facciata dell’edificio sono comparse scritte d’odio in spray bianco – «Unrwa supports terror»; «Albanese you’re an antisemite». Sembrava davvero che il mix di repressione e intimidazione stesse vincendo, ma all’ultimo momento si è fatto avanti lo «junge Welt», storico quotidiano marxista, mettendo a disposizione i suoi spazi in una zona più a nord, a due passi da Rosa-Luxemburg-Platz.
QUANDO ARRIVIAMO al posto, camminando per le strade ghiacciate, le forze dell’ordine lo circondano da tutti i lati: contiamo quindici camionette. C’è tensione ma anche entusiasmo: «In 30 anni di iniziative non ci è mai accaduto nulla del genere – dicono gli organizzatori sul palco – siamo determinati a andare avanti anche se la capacità di questo spazio è minore e non possiamo accogliere le 500 persone previste». Nel corso del pomeriggio saranno in molti a accalcarsi fuori dalle finestre, per essere comunque presenti a quello che si è trasformato in un vero e proprio atto di resistenza.
Le associazioni hanno poi continuato a spiegare le «condizioni» che hanno dovuto accettare: «La polizia voleva la lista dei partecipanti, abbiamo rifiutato. Ma non abbiamo potuto dire di no al fatto che alcuni agenti siano qui dentro la sala, per “proteggere la libertà di espressione”». Dopo questa definizione dal sapore orwelliano dal pubblico parte un grande «buuu».
Un’altra condizione: la polizia ha imposto che non venisse proiettato il documentario della giornalista palestinese Hebh Jamal, The Reason of State: a Documentary Investigating Germany’s War on Palestinian Voices. L’autrice interviene comunque sul palco, e lo fa in maniera molto dura: «Questo Paese non ha familiarità con l’integrità giornalistica, e continua a trovarsi dal lato sbagliato della storia. Non vi siete de-nazificati se negate il genocidio a Gaza. La comunità internazionale dovrebbe isolare la Germania una volta per tutte».
IL PUBBLICO partecipa con entusiasmo applaudendo tutti gli interventi. Ci sono molte donne, di ogni età. Parliamo con Julia, 43 anni, che lavora all’università: «Purtroppo quello che è accaduto stamattina non ci sorprende. Ma è bellissimo che ci si sia riorganizzati in maniera così veloce, se le università chiudono gli spazi per fortuna ce ne sono altri alternativi. Per questo ho deciso di portare qui anche mia figlia». La giovane, 16 anni, ci dice: «Sono molto emozionata e contenta di essere qui. La Germania è un luogo così poco accogliente».
Durante un break si esibisce il violinista Michael Barenboim e si gusta dell’ottimo cibo mediorientale. È allora che incontriamo un gruppo di italiane, tutte abitanti a Berlino da molti anni. Linda, artista, racconta: «C’è un sacco di censura, è sistemica. La resistenza la fanno solo gli immigrati, i tedeschi stanno zitti. Anche qui, oggi, ce ne sono pochi. Prima di venire a Berlino ho abitato in Palestina, e anche se le mia arte non è direttamente collegata al tema, da un anno non riesco più a lavorare e a trovare fondi. Il mio non è un caso isolato». «Ormai le attività per Gaza si possono fare solo negli spazi privati» ci dice Laura, fotografa, che ci parla della Palinale, la «contro-Berlinale» che si sta svolgendo questi giorni in vari luoghi della città.
ARRIVA POI il momento che tutti aspettavano: Francesca Albanese viene accolta da applausi scroscianti. «Sono in questo Paese da due giorni e non ho mai sentito una tale mancanza di ossigeno. La mia presenza è considerata controversa, come se fossi stata accusata di crimini di guerra da una corte internazionale. Invece sono solo un’esperta legale nominata dall’Onu. Il mio lavoro non è essere equidistante, ma agire per ristabilire la legalità e i diritti umani. L’elefante nella stanza è che il genocidio è stato concesso, sotto gli occhi di tutti, quando già era noto che l’occupazione impediva il diritto all’autodeterminazione al popolo palestinese».
Mentre il dibattito va avanti ci chiediamo perché questa donna faccia così paura: la sua preparazione e la tenacia riescono forse ad accendere speranza lì dove si vorrebbe solo rassegnazione.
fonte: ilmanifesto.it - 19 feb. 2025