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IL SUD RESISTE! Messico, 6/7 maggio 2023

📢 LE MALETESTE 📢

22 mag 2023

INCONTRO INTERNAZIONALE - "Capitalismo corporativo mondiale, Patriarcato planetario, Autonomie in ribellione”

IL SUD RESISTE!

dichiarazione finale


INCONTRO INTERNAZIONALE“Capitalismo corporativo mondiale, Patriarcato planetario, Autonomie in ribellione”



Il Sud Resiste-dich-finale


CIDECI-UNITIERRA / CARACOL JACINTO CANEK

7 maggio 2023


Al Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Al Congresso Nazionale Indigeno

Al Consiglio Indigeno di Governo

Alle organizzazioni nazionali e internazionali che lottano e resistono

Ai mezzi di comunicazione liberi, alternativi, indipendenti o comunque si chiamino

Ai popoli del Messico e del mondo 



Dal cuore della terra, dove la rabbia degna è nata, è cresciuta e si riproduce, noi popoli ribelli dei territori del Sud/Sud-Est che formiamo la Carovana El Sur resiste 2023, Binnizá, Ayuuk, Nahua, Nuntajiyi (Nuntajuyi), Maya, Chol, Zoque, Tzeltal, Tojolabal, Tsotsil e meticci, convocati da varie organizzazioni di questo territorio e dal Congresso Nazionale Indigeno, abbiamo visitato i territori interessati dai megaprogetti militari interconnessi, il Treno chiamato erroneamente Maya e il Corridoio Interoceanico.


Siamo arrivati nel territorio zapatista del CIDECI-UNITIERRA / Caracol Jacinto Canek a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, dove ci siamo incontrati con molti altri popoli e organizzazioni dei popoli originari e delle aree urbane del sud/sud-est del paese e di molte altre regioni della nostra Madre Terra per condividere le sofferenze, le speranze e le strategie di articolazione, per imparare dalle lotte di altre aree geografiche e continuare a tessere reti solidali di resistenza e ribellione planetaria.


Dal 25 aprile al 4 maggio, i partecipanti alla Carovana El Sur Resiste hanno viaggiato attraverso comunità e città in otto Stati della Repubblica messicana; partendo dalla comunità di El Progreso, municipio di Pijijiapan, con una sosta a Tonalá, abbiamo percorso la costa del Chiapas e attraversato l’istmo di Tehuantepec, dalla comunità Binniza in resistenza di Puente Madera, municipio di San Blas Atempa, passando per l’accampamento ribelle “Tierra y Libertad” nelle vicinanze della comunità Aayuuk di Mogoñe Viejo, municipio di San Juan Guichicovi, entrambe comunità dello Stato di Oaxaca, e raggiungendo la comunità Nahua di Oteapan nel sud dello Stato di Veracruz. Da lì, ci siamo diretti verso i territori Maya della penisola dello Yucatan, attraversando lo Stato di Tabasco passando per Villahermosa e la comunità costiera di El Bosque, divorata dal mare a causa del riscaldamento globale, arrivando a Candelaria, Campeche, e proseguendo il cammino verso la comunità di Zakí, oggi chiamata Valladolid in Yucatán, e la comunità di Noj Kaaj Santa Cruz, oggi Felipe Carrillo Puerto in Quintana Roo, tornando attraverso Xpujil di nuovo nel territorio di Campeche, per tornare in Chiapas e incontrare i popoli Zoque, Chol, Tsotsil, Tojolabal e Tzeltal, con una sosta a Palenque, attraversando la regione di Los Altos per raggiungere la nostra destinazione finale, Jovel, oggi San Cristóbal de las Casas.


Durante questo viaggio, i nostri cuori, sentimenti e pensieri si sono aperti all’ascolto e all’osservazione delle molteplici sofferenze e distruzioni causate dalla voracità del grande capitalismo mondiale che sentiamo nel nostro corpo attraverso le continue molestie alla nostra carovana da parte della polizia e dei corpi militari dello Stato messicano.


In questi tempi di riaggiustamenti geopolitici globali in cui i grandi capitali dei blocchi occidentale e asiatico accelerano lo svolgimento di questa nuova fase della guerra di colonizzazione, disputandosi i territori del nostro pianeta, distruggendo la madre natura, espropriando, sfruttando ed espellendo i popoli e uccidendo e facendo sparire coloro che si oppongono, constatiamo la complicità degli Stati e della criminalità organizzata nelle sue varie modalità, tutte sanguinarie.


Affermiamo che siamo di fronte alla più grande espressione del sistema di potere patriarcale ereditato da migliaia di anni e installato nelle nostre terre da più di 500 anni con l’invasione genocida europea. Assistiamo ai suoi effetti devastanti nei nostri territori, ma sentiamo anche con grande forza le resistenze dei nostri popoli, che hanno salvaguardato la nostra stessa esistenza come popoli originari.


In questo riassetto globale, il Sud-est messicano e l’istmo di Tehuantepec hanno un ruolo strategico negli interessi delle multinazionali per collegare via terra in soli 200 chilometri l’Oceano Pacifico con l’Atlantico e facilitare il trasporto di merci, idrocarburi e altre risorse del sottosuolo. Il corridoio interoceanico è stato fin dai tempi ancestrali un luogo di transito delle rotte commerciali dei popoli, ma ai tempi della colonia e della dittatura di Porfirio Diaz, così come durante i governi del XX e XXI secolo, quelli che erano al potere hanno cercato di appropriarsene senza successo, a causa della storica resistenza dei popoli della regione.


Questo governo che si auto-definisce della quarta trasformazione non è diverso, poiché prevede la modernizzazione dei porti di Coatzacoalcos e Salina Cruz, la costruzione di un’autostrada e la modernizzazione della ferrovia per i treni merci, che consentirà il collegamento non solo tra i due porti ma anche con il treno che chiamano Maya nella penisola dello Yucatán.


Per questo diciamo che il Corridoio Interoceanico, il Treno erroneamente chiamato Maya e il Progetto Integrale Morelos nel centro del paese fanno parte di una rete di interconnessione e di rifornimento di energia per le imprese che opereranno nel sud del paese e in America centrale, la maggior parte delle quali con capitali privati e stranieri.


Ci sarà l’installazione di una linea ad alta tensione e il prolungamento del gasdotto dell’istmo, che intendono collegare con il nuovo gasdotto marittimo che porterà il gas di fracking dal Texas alle nostre terre. Questo progetto sarà realizzato lungo la costa di Veracruz, in prossimità della barriera corallina, da Tuxpan a Coatzacoalcos e con un altro raccordo marittimo fino alla nuova raffineria di Dos Bocas, anch’esso parte di questo megaprogetto.


Questa infrastruttura rispecchia l’intensificazione di un modello, basato sull’estrazione di idrocarburi fossili, che nel corso del XX secolo ha accelerato, in un modo mai visto prima, la crescita degli indicatori dell’inquinamento e del riscaldamento globale, rafforzato da energie presentate come pulite nelle mani del grande capitale straniero che non fornisce nessuna transizione energetica giusta per i popoli.


In effetti il progetto contempla non solo la costruzione di queste infrastrutture ma anche l’apertura di nuovi territori all’estrazione di idrocarburi, ad attività minerarie e alla realizzazione di parchi industriali ed eolici, nonché la costruzione di nuovi centri urbani per lavoratrici e lavoratori semi-schiavizzati nazionali, ma soprattutto migranti che per ordine del padrone del Nord saranno bloccati nell’Istmo, il che farà di questo territorio un nuovo muro di confinamento umano.


Nei territori maya della penisola dello Yucatán e negli Stati del Chiapas e del Tabasco è in preparazione una nuova riorganizzazione del territorio per metterlo al servizio dei grandi capitali dello sviluppo turistico e industriale.


La Carovana ha constatato la devastazione della foresta per far posto ai binari del treno: centinaia di chilometri e milioni di alberi abbattuti dove un tempo camminavano i cervi e i giaguari. I corsi dell’acqua sacra vengono modificati, con conseguenze catastrofiche per i popoli, conseguenze che in futuro saranno chiamate disastri naturali.


Nei territori maya che sono stati vittime all’inizio del XX secolo del Genocidio promosso dallo Stato durante la Guerra Sociale Maya, oggi il treno e i megaprogetti che vengono imposti illegalmente fanno parte delle nuove pratiche genocide.


La costruzione di questa ferrovia è accompagnata dall’installazione di 21 stazioni e zone di sviluppo turistico, parchi eolici e fotovoltaici, impianti termoelettrici, birrifici, allevamenti di suini, coltivazioni di palma, soia e altre monocolture, nonché grandi sviluppi immobiliari, complessi alberghieri, centri commerciali, casinò, ristoranti e tutto il necessario per le grandi masse di turisti che dovrebbero arrivare sulla penisola, causando espropriazione, estrattivismo vorace e distruzione dei modi di vita dei popoli Maya.


Sia nella penisola che nell’istmo, in un contesto di disinformazione e di false promesse di benessere legate alla manipolazione ingannevole di concetti come progresso e sviluppo, nella quale i programmi sociali hanno svolto un ruolo fondamentale, molte persone, per paura della violenza, della separazione dalla comunità e della possibile perdita dei programmi sociali, rimangono in silenzio e non si organizzano, pur conoscendo e vedendo la crescente violenza e distruzione dei territori.


Ma i mali che derivano da questi megaprogetti di morte stanno diventando ogni giorno più evidenti. Tutte queste infrastrutture rappresentano l’espropriazione dei nostri territori a beneficio dei grandi capitali come parte di un progetto gestito dalle forze armate messicane, dall’esercito, dalla marina e dalla guardia nazionale, in coordinamento con la polizia e i reparti che si occupano di immigrazione, e in collusione con i cartelli della criminalità organizzata e con la conseguente espansione delle economie criminali capitaliste e patriarcali.


Apprendiamo e constatiamo che le prime cose di cui siamo depredati sono la tradizione ancestrale e la comunitarietà, perché quando ci spogliano del senso di appartenenza alla Madre Terra smettiamo di sentirla, di ascoltarla e di percepire le sue sofferenze. Per prima cosa ci spogliano della nostra memoria e della nostra spiritualità, in modo da poterci spogliare del nostro modo di vivere, delle nostre radici e della terra, perché chi non vede più in essa una madre, ma una merce che può essere comprata e venduta, se ne disfa senza pensare a cosa le faranno coloro che vogliono solo sfruttarla, sradicare i suoi alberi e avvelenarla senza curarsi della distruzione delle nostre comunità e dei nostri centri cerimoniali, dell’inquinamento dell’aria, della terra e delle acque, delle sorgenti, dei fiumi, delle lagune, dei mari e dei cenotesi[1] che sono le acque delle viscere di nostra madre.


Abbiamo visto come il mare stia letteralmente e tragicamente inghiottendo la comunità di El Bosque nel Tabasco, come conseguenza del cambiamento climatico provocato dal mega inquinamento planetario e in particolare dal modello energetico basato sull’estrazione di idrocarburi, che questo governo e i grandi capitali rafforzano.


Constatiamo anche il terribile aumento di una cultura della violenza che ha permeato l’intera società, dalle comunità alle periferie delle città, con il traffico di droga, l’estorsione, la riscossione di tangenti, colpendo in particolare i giovani, le donne, i migranti e i difensori dell’ambiente e dei diritti umani e ambientali.


Sono sempre più numerosi i giovani delle comunità indigene e dei quartieri poveri delle città che cadono vittime delle reti del narcotraffico come una delle poche “alternative” per migliorare le proprie condizioni nel bel mezzo di questo disastro, che si auto-distruggono il cervello con droghe a basso costo come il cristallo,[2] che diventano sicari e finiscono per essere assassinati.


In particolare, notiamo l’aumento della violenza di genere, dalla violenza familiare ai femminicidi, con la terrificante cifra di 13 donne assassinate quotidianamente nel nostro Paese, e un netto aumento della repressione contro chi si oppone ai megaprogetti, difende il territorio e denuncia impunità e catene di complicità; una repressione che va dalle minacce agli sfollamenti forzati, alle detenzioni, alla scomparsa di persone e alle uccisioni.


Constatiamo le politiche razziste, la strategia di persecuzione e la stigmatizzazione da parte dell’Istituto Nazionale delle Migrazioni contro le nostre sorelle e i nostri fratelli migranti, con la negazione dell’ingresso nel paese delle compagne e dei compagni di Honduras, Guatemala ed El Salvador.


Constatiamo la violazione sistematica dei diritti dei popoli indigeni e in particolare del diritto all’autodeterminazione e all’autonomia, il cui esercizio è imprescindibile per ricostruire, sulla base delle nostre radici culturali ancestrali, una vita libera e dignitosa basata sulla comunitarietà, a partire dall’assunzione delle decisioni nelle assemblee, nel pieno rispetto delle donne, delle persone diverse, dei giovani, dei bambini e degli anziani e in armonia con la natura.


Constatiamo la pressione di tutti gli enti governativi, a cominciare dalla Procura Agraria, affinché i nuclei agrari e le comunità indigene siano pienamente sotto controllo e in tal modo si ponga fine alla proprietà sociale della terra che rappresenta la forza delle nostre lotte.


Ma in contrasto con tutte queste calamità, la Carovana ci ha anche permesso di camminare attraverso la speranza e la vita, di incontrare i campi coltivati e i loro semi autoctoni che vengono protetti da mani contadine. Ci ha permesso di sentire la gioia della musica ribelle che entusiasma i cuori e ispira la resistenza. Usufruiamo dell’arte come fronte di lotta che con i suoi colori, i suoi suoni e il suo clamore ci permette di continuare nella gioiosa ribellione.


La Carovana ci ha permesso di incontrare la foresta che resiste. Dove gli alberi vengono abbattuti, la vita risorge. Abbiamo ascoltato gli uccelli e i loro messaggi, bevuto l’acqua cristallina dei pozzi e respirato l’aria pulita della campagna. Incontriamo villaggi e comunità che si organizzano, che resistono e non permettono l’espropriazione o neppure l’ingresso delle imprese nei loro territori. Prendono anche misure per recuperare forme di vita che costruiscono autonomie portatrici di speranza per l’umanità. Ci incontriamo inoltre con città ribelli che costruiscono collettività e autonomia in mezzo ai mostri urbani, facendo rifiorire l’amore per la terra e il territorio.


Facciamo offerte alla madre terra, invochiamo lo spirito del fuoco, dell’acqua e dell’aria, riconoscendo che le lunghe lotte sono sostenute dalla spiritualità legata al territorio e alla nostra tradizione ancestrale. Lo facciamo sapendo che non cerchiamo una vittoria finale, ma che combattiamo come hanno fatto i nostri padri e le nostre madri, e prima di loro i nostri antenati e le nostre antenate, e come continueranno a fare i nostri figli e figlie e i nostri nipoti. Come abbiamo ribadito nei 10 gruppi di lavoro dell’Incontro del Sud/Sud-Est del 5 maggio, costruiamo altri mondi possibili celebrando ciò che stiamo raccogliendo, e riconoscendo che la nostra forza deriva dalla memoria e dalla saggezza come popoli in lotta. Abbiamo riflettuto sul fatto che resistiamo abbracciando i valori di una vita piena, degna e vicina alla terra, ad esempio con la coltivazione del nostro cibo, con la medicina tradizionale e con la protezione dei nostri popoli attraverso le guardie comunitarie.


Constatiamo che anche in mezzo a tutta la distruzione dei capitalisti ci sono molti risultati che stiamo raccogliendo: il primo e il più importante è che dopo 500 anni di tentativi di sterminarci siamo ancora qui; poi abbiamo l’organizzazione comunitaria contro l’espropriazione, così come le terre recuperate in diversi luoghi, la lotta delle donne per il riconoscimento e l’esercizio dei loro diritti, la lotta per l’acqua, la liberazione di prigionieri politici, il trasferimento delle stazioni ferroviarie di Mérida e Campeche, la creazione di zone libere da progetti estrattivi, la conservazione delle lingue e delle feste tradizionali e la costruzione di autonomie.


Dopo lo svolgimento della Carovana e il nostro incontro interno, 940 persone provenienti da 40 popoli originari del mondo, da 27 stati della Repubblica, da 30 paesi e da 10 regioni autonome si sono riunite nell’Incontro Internazionale “Capitalismo corporativo mondiale, Patriarcato planetario, Autonomie in ribellione”. Abbiamo ascoltato la parola di 5 relatori per analizzare e studiare la situazione geopolitica del mondo, del Messico, in particolare del sud/sud-est messicano, e del sud del mondo. Abbiamo anche ascoltato la condivisione di esperienze di lotta in tutte queste regioni e alcune proposte per continuare la costruzione dell’autonomia.


Le sorelle e i fratelli di Abya Yala di Guatemala, El Salvador, Costa Rica, Honduras, Colombia, Ecuador, hanno condiviso con noi la situazione che devono affrontare, e abbiamo constatato che questo sistema capitalistico predatorio agisce nello stesso modo in tutte le aree geografiche in cui i popoli proteggono ancora i beni naturali, i beni culturali e la vita stessa. Ma nello stesso tempo constatiamo la gioia, la forza e l’organizzazione vivente dei popoli organizzati.



Denunce:

Denunciamo lo sgombero violento dell’accampamento Tierra y Libertad e l’incarcerazione di 6 compagni e compagne perpetrata dalla marina e dalla polizia di Stato il 28 aprile, un giorno dopo il passaggio della nostra Carovana. Chiediamo al governo di Oaxaca e al governo federale la cessazione immediata delle vessazioni contro i difensori della terra e del territorio, in particolare nel caso dell’accampamento Tierra y Libertad nell’istmo, la revoca dei mandati di arresto contro 17 membri della comunità di Puente Madera, San Blas Atempa, e l’assoluzione del compagno David Salazar sottoposto a processo.


Ripudiamo la politica sull’immigrazione, razzista e lesiva dei diritti umani, messa in atto da questo governo che ha impedito l’ingresso della figlia della compagna Berta Cáceres vietandole di volare a Città del Messico con tutti i documenti in regola, e le molestie contro 7 compagne e compagni centroamericani al posto di frontiera di Tapachula, nel Chiapas.


Chiediamo che nell’ejido Nicolás Bravo venga revocata l’assemblea illegale del 5 marzo 2023 nella quale è stata approvata in maniera illegale la localizzazione del percorso del treno erroneamente chiamato Maya a favore degli Azcárraga, proprietari di Televisa, cosa che danneggerà più di 100 centri cerimoniali Maya.


Chiediamo l’annullamento dell’ordine di sfratto della comunità Emiliano Zapata, III municipio di Candelaria, Campeche, promosso dal presunto proprietario Fernando Oropeza Arispe e ordinato da un giudice civile di primo grado dello Stato di Campeche.


Chiediamo inoltre la cancellazione dei mandati di arresto dei compagni della comunità.


Chiediamo la sospensione immediata dei lavori per il treno erroneamente chiamato Maya, in particolare la costruzione illegale della settima tratta, l’installazione del casinò e lo sviluppo turistico nel territorio della comunità di Xpujil, poiché, nonostante la sospensione definitiva stabilita da un giudice federale, la SEDENA continua i lavori di costruzione violando l’ordine federale.


Chiediamo che cessino le pressioni da parte della Procura Agraria sulle comunità e sugli ejidos[3] per convertire le terre di proprietà sociale in terreni di proprietà privata, ponendo fine alle terre collettive delle comunità indigene del paese.


Chiediamo il trasferimento urgente e immediato della comunità di El Bosque nel municipio di Centla, Tabasco, i cui membri sono sfollati ambientali, vittime del riscaldamento globale provocato dal vorace sistema estrattivista che continua a saccheggiare e deforestare i territori.


Chiediamo l’immediato rilascio di tutti i prigionieri politici di questo paese, dei prigionieri politici solidali con il compagno Fidencio Aldama, dei prigionieri di Eloxochitlan di Flores Magón, Oaxaca, di tutti coloro che sono ingiustamente detenuti per aver difeso l’acqua e i territori e del compagno Manuel Gómez Vázquez, base di appoggio dell’EZLN. Chiediamo inoltre la revoca della condanna a 50 anni inflitta al compagno Miguel Peralta Betancourt, perseguitato politico di Eloxochitlan.


Sosteniamo e ci uniamo con fermezza alla richiesta dei parenti delle vittime di violenza femminicida in Messico per ottenere verità, giustizia, riparazione e non ripetizione del reato, non solo per le donne che sono state abusate ma soprattutto per i bambini (figlie, figli, sorelle e fratelli), vittime collaterali di questa violenza infame in questo paese che insiste nel seminare paura, morte e impunità. Né perdono né dimenticanza! Punizione dei colpevoli! (Facebook: @FeminicidiosCrimenesdelesahumanidad, @FatimaVariniaEnTuHonorYRecuerdo, @JusticiaParaLupitaBastida).


Nel caso dell’ejido di Tila, Chiapas, chiediamo l’esecuzione della sentenza del Registro Agrario Nazionale favorevole al recupero dei 130 ettari che sono stati sottratti al municipio.


Chiediamo che vengano ritrovate vive le migliaia di persone scomparse nel paese, il comunero Antonio Díaz Valencia e l’avvocato Ricardo Lagunes Gasca che sono scomparsi a causa di un conflitto tra la comunità di Aquila, Michoacán, e la compagnia mineraria canadese Ternium.


Chiediamo giustizia per i 43 studenti della scuola normale scomparsi ad Ayotzinapan. Poiché li hanno presi vivi, noi li vogliamo vivi!


Affermiamo in modo forte e chiaro, e dal profondo dei nostri cuori che lottano e si organizzano, che continueremo a incontrarci e ad articolarci con altre lotte in tutto il mondo.


Né con la Guardia Nazionale, né con la marina, né con l’esercito.

Non ci fermeranno!


Mentre voi distruggete, noi costruiamo.


Carovana e Incontro internazionale El Sur Resiste




Fonte: “Pronunciamiento del Encuentro Internacional EL Sur Resiste 7 de mayo 2023”.

Traduzione a cura di Camminardomandando. 


[1] N.d.t. – Grotte in cui scorrono corsi d’acqua sotterranei. di cui esiste grande frequenza e varietà nel territorio di tipo carsico dello Yukatán.

[2] N.d.t. – metanfetamina.

[3] N.d.t. – «Un ejido in Messico è un’area di terra di uso comune utilizzata per l’agricoltura, nella quale i membri della comunità hanno diritti di usufrutto piuttosto che di proprietà della terra, che in Messico è posseduta dallo Stato messicano. Coloro a cui sono stati assegnati gli ejidos nell’era moderna li coltivano individualmente in singoli appezzamenti e a livello collettivo mantengono la proprietà comunale con la supervisione del governo. Sebbene il sistema degli ejidos fosse basato su ciò che erano i calpulli [terreni adiacenti ai villaggi] aztechi nell’epoca precedente alla Conquista e sull’ejido della Spagna medievale, dal XX secolo gli ejidos sono stati gestiti e controllati dal governo» (da Wikipedia).



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Commento di ALDO ZANCHETTA


IN MESSICO IL SUD RESISTE !


Ci sono eventi storicamente significativi ma ignorati dai più e non casualmente silenziati dai grandi mezzi di comunicazione. È il caso della marcia indigena El Sur resiste! dipanatasi dal 28 aprile al 9 maggio attraverso 7 Stati messicani dove a giorni verrà inaugurato il Tren Maya che, lungo un tracciato di ben 1500 km, trasporterà annualmente i trenta milioni di turisti previsti a visitare, felici e ignoranti della vera storia e dei suoi delitti, i consistenti residui archeologici della civiltà maya, aggredita ma non definitivamente cancellata dai loro lontani progenitori (vedi il libro di Eduardo Galeano, Le vene aperte dell’America Latina).

Non cancellata perché ancor oggi - dopo 531 anni dallo sventurato arrivo in queste terre di Cristoforo Colombo che dette l’avvio a uno dei più grandi saccheggi della storia - El Sur resiste!.

Nella dichiarazione finale dell’incontro conclusivo svoltosi il 6 e 7 maggio al caracol  Jacinto Kanek,  nei dintorni di San Cristóbal de Las Casas, l’antica Ciudad Real, si legge: “Assistiamo ai suoi effetti devastanti sui nostri territori, ma sentiamo anche con grande forza la resistenza dei nostri popoli, che hanno salvaguardato la nostra stessa esistenza come popoli indigeni”. Una ferita lunga 1500 km e larga decine di metri, aperta nel cuore di foreste tropicali fino a ieri incontaminate.

Non ci soffermiamo sulle ragioni di questa resistenza al Tren Maya, che maya non è se non nelle fantasie degli ideatori e dei futuri viaggiatori, perché sono ampiamente illustrate nella Dichiarazione finale. Non ci soffermiamo neppure sui toccanti incontri con le comunità visitate durante la marcia, ben documentati dal resoconto della marcia citato sopra, dove si trova una ricca raccolta fotografica unita all’informazione sugli specifici temi locali affrontati, luogo per luogo. Leggerla è un’utile riflessione sulle ‘altre’ culture ancora esistenti nel mondo, circa 50 nel solo Messico.

 

Vogliamo invece invitare a riflettere sull’importanza della sopravvivenza delle culture che non hanno operato quella cesura che ha separato l’homo sapiens occidentale dal suo ambiente naturale e che oggi, agli spiriti critici, appare sempre più infausta nelle sue conseguenze.

Nel 1996 il filosofo della liberazione Giulio Girardi pubblicava un libro dal titolo intrigante: <<Gli esclusi costruiranno la nuova storia? Il movimento indigeno, negro e popolare>>. Un interrogativo utopico, che però oggi, di fronte ai sempre più frequenti interrogativi sulla sorte della civiltà occidentale, acquista un sapore realistico.

Alla ricerca di mantenere il proprio dominio sul mondo e in piena perdita di senso della realtà, la tecno-scienza occidentale è impegnata nella creazione di un nuovo tipo di homo. È di piena attualità quello che scrisse lo studioso Scott Eastham in un bel documento dal titolo Visioni del mondo in collisione. La sfida dell’ingegneria genetica (pubblicato nel 2005 dalla rivista InterCulture):  Forse, prima di lasciare alla scienza moderna l’ultima parola sull’evoluzione dell’homo sapiens, abbiamo bisogno di ascoltare altre culture e di sperimentare alcuni degli altri modi di essere umani”. 


Diversi rappresentanti del popolo maya assieme a decine di persone di altre culture hanno condensato il loro pensiero nella sopra ricordata dichiarazione che merita una attenta lettura. Lo storico Carlos Montemayor, scrittore illuminato, nel 2000 scrisse un libro che rimase inedito in Italia a causa della sua prematura morte: Los pueblos indios de Mexico hoy. In esso esortava: “I popoli indios del Messico oggi parlano, ascoltiamoli!”.

Negli ultimi 50 anni i popoli indigeni del Messico e del mondo infatti parlano con crescente intensità. E hanno detto con chiarezza che vogliono “un mondo che contenga molti mondi diversi”, non un mondo modellato su una sola cultura, quindi irrimediabilmente più povero.


Ma, e questa è una buona notizia, El Sur resiste! E non solo in Messico. Alle due giornate di chiusura della marcia erano presenti rappresentanti di vari paesi, fra cui l’Italia, e fra gli oratori ufficiali hanno parlato una donna curda nonché Raúl Zibechi, un attento osservatore e divulgatore della resistenza indigena e popolare in America Latina, di cui è uscito negli scorsi giorni un nuovo libro: Mondi altri e popoli in movimento. Dall’America Latina al Kurdistan. Un’utile rassegna di alcuni altri modi di essere umani, la cui lettura può essere di stimolo a uscire dai nostri usurati stereotipi.

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