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RAUL ZIBECHI. Create due, tre, molte arche

LE MALETESTE

29 giu 2025

Il mondo che conoscevamo sta giungendo al termine. Prima che un altro mondo possa nascere, vivremo un caos sistemico che durerà decenni. Solo l’organizzazione collettiva può illuminare quel futuro - RAUL ZIBECHI

Raúl Zibechi

27 Giugno 2025


Nelle guerre del capitalismo, la questione centrale sono i beni materiali, non le persone. Governi e media descrivono dettagliatamente la distruzione di edifici, installazioni militari e centrali nucleari, il successo o il fallimento di raid aerei, ma ignorano la sofferenza degli esseri umani. Del resto quelli che sono in alto si preoccupano sempre meno, non solo durante le guerre, della gente comune. “Se non lo facciamo noi di sotto, se non ci prendiamo cura collettivamente, saremo nudi davanti agli oppressori”, scrive Raúl Zibechi. Insomma, per quanto sia difficile da accettare è certo che non possiamo più aspettarci nulla da nessun governo. Si tratta allora di costruire arche, molte arche, che uniscano resistenza, protezione collettiva dalla tormenta in corso e creazione di un mondo non capitalista. “Non è una ricetta, né una linea da seguire. È semplicemente una verifica di ciò che la gente sta già facendo… Il mondo che conoscevamo sta giungendo al termine. Prima che un altro mondo possa nascere, vivremo un caos sistemico che durerà decenni. Solo l’organizzazione collettiva può illuminare quel futuro…”


Nelle guerre del capitalismo, la questione centrale sono i beni materiali, non le persone. Governi e media descrivono dettagliatamente, con abbondante materiale grafico e audiovisivo, la distruzione di edifici, installazioni militari e centrali nucleari, il successo o il fallimento di raid aerei e lanci di missili, ma ignorano la sofferenza degli esseri umani, che non considerano più nemmeno “danni collaterali”.

Nella guerra tra Stati Uniti e Israele contro l’Iran, le persone non esistono. Questo rivela il vero volto del sistema, interessato solo ai beni di valore creati dal capitale, che serve sia materialmente che simbolicamente. Gli analisti geopolitici sono più preoccupati dalla possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, dal prezzo del petrolio e dal flusso globale di merci, che dall’impatto ambientale di queste guerre ipertecnologiche e dalle conseguenze che hanno sulle nostre vite.


Si possono consultare decine di siti web e tutti i dati si concentrano sulle ripercussioni delle guerre sull’economia e sui mercati azionari. Assistiamo, infatti, alla sistematica esaltazione della morte rispetto alla vita, che sembra non avere posto nel mondo del capitale. Inoltre, i trucchi della guerra, l’inganno, la perfidia e la manipolazione mediatica della popolazione vengono presentati come manovre brillanti, sebbene il loro obiettivo sia la distruzione e la morte.


Donald Trump, per fare solo un esempio, ha detto che ci fossero due settimane di tempo per negoziare la pace prima di attaccare l’Iran. Ma il giorno dopo ha lanciato un’operazione pianificata da tempo. Ha poi affermato che la guerra era finita, il che porta a credere che stesse pianificando di continuarla con ulteriori bombardamenti. Con questa descrizione, non intendo criticare la malvagità dei leader del sistema; sarebbe una perdita di tempo. Chiunque non abbia le idee chiare non sarà convinto dalle nostre argomentazioni. Al contrario, voglio riflettere sui nostri passi come individui e movimenti anticapitalisti alla luce di ciò che le guerre attuali ci insegnano.


La prima lezione è non crederci, perché ogni parola, ogni immagine, ogni discorso è una menzogna pensata per paralizzarci come individui e come persone. La cosa peggiore è crederci quando si comportano in modo gentile e comprensivo, quando parlano di pace e lotta alla povertà, per esempio. Le parole di Trump, di chi è al potere, in generale, valgono “molto meno dell’urina di cane”, come ha detto León Felipe, riferendosi alla giustizia del sistema.


La seconda è che la tormenta non fa che aumentare con queste guerre; la crisi climatica è alimentata dall’inquinamento derivante dalla distruzione di Gaza e da ogni bomba che esplode in qualsiasi parte del mondo, dove ci sono già undici guerre, secondo il rapporto del Conflict Data Program dell’Università di Uppsala. I territori bombardati in Ucraina, Gaza, Yemen, Israele, Libano e Iran, tra gli altri, saranno inabitabili in futuro.


La terza è che non si preoccupano mai della gente comune. Quindi, se non lo facciamo noi di sotto, se non ci prendiamo cura collettivamente, saremo nudi davanti agli oppressori. È vero che alcuni governanti parlano bene, dicono proprio quello che i governati vogliono sentire perché si sono specializzati in quella scelta che chiamano sinistra o progressista. Ma non fanno niente contro il sistema, contro la violenza narco-statale, contro le sparizioni e i crimini che colpiscono popoli e persone di sotto. Per questo ci tocca proteggerci come possiamo, sulla base delle nostre risorse, prima di tutto attraverso i lavori collettivi, la minga, il tequio, che permettono allo stesso tempo di creare nuove realtà e difenderle.


Ma la cosa più importante è la certezza che non ci si può aspettare nulla da governi o stati. Seguendo il consiglio di Che Guevara quando il popolo vietnamita resistette all’invasione e alla guerra degli Stati Uniti (“create due, tre, molti Vietnam”), credo che si tratti di costruire arche, molte arche, che uniscano resistenza, protezione collettiva dalla tormenta e creazione di un mondo non capitalista. Non è una ricetta, né una linea da seguire. È semplicemente una verifica di ciò che la gente sta facendo.


La più nota e più estesa, sia per estensione che per profondità, si trova nello stato del Chiapas, guidata dall’EZLN. Ne conosco altre, come i consigli e le riserve di Nasa e Misak a Cauca, in Colombia; le comunità Guaraní Mbya in Brasile e le comunità Garifuna in Honduras; i quilombos e gli spazi di Teia dos Povos e del popolo Mapuche, e molte altre su cui riceviamo commenti e informazioni. Le guerre e le distruzioni in corso sono già parte del collasso/tormenta.


Il mondo che conoscevamo sta giungendo al termine. Prima che un altro mondo possa nascere, vivremo un caos sistemico che durerà decenni. Solo l’organizzazione collettiva può illuminare quel futuro.



Fonte: comune-info.net - 27 giugno 2025

Foto di copertina: A proposito di “quelli di sotto” e di organizzazione collettiva: Quarticciolo, Roma, come tutte le periferie del mondo ha mille problemi, ma anche infinite e spesso poco riconosciute capacità di autogestirsi per costruire qui e ora qualcosa di diverso, come dimostrano l’ostinazione e la creatività della Palestra popolare, del Doposcuola, del Polo civico, dell’ambulatorio popolare e del gruppo di donne che ha fatto nascere perfino un piccolo quanto straordinario Laboratorio di ristorazione (foto di Riccardo Troisi)

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