
👁🗨 LE MALETESTE 👁🗨
1 mag 2024
"Tutta quella ricchezza visiva io la guardavo e pensavo: io, coi disegni, vorrei sapere fare questo. I manifesti di solidarietà per il Kurdistan, le copertine dei dischi della Gridalo Forte Records, le grafiche per il Chiapas...", le parole di Zerocalcare su Cristiano Rea, artista alternativo romano scomparso nel 2023
“Pochi segni in bianco e nero, fotocopiati male e attacchinati peggio, ma che quando li incrociavo da ragazzino era come affacciarsi su un altro mondo. Un continente segreto abitato da una tribù assurda che parlava di resistenza rumore strilli rabbia e gioia. Grazie per aver letteralmente plasmato il nostro immaginario e averci disegnato una porta d’ingresso per quel mondo”.
Con queste parole Zerocalcare ha salutato sui suoi canali social Cristiano Rea, nome di culto della scena fumettistica romana, scomparso lo scorso 12 marzo 2023, all’età di sessant’anni.
CHI ERA CRISTIANO REA
Il nome di Cristiano Rea è infatti soprattutto legato alla scena punk e hardcore di Roma, della quale è abile portavoce sin dalla giovane età. Nel periodo in cui il suono dei Sex Pistols e dei Ramones invade le strade dell’Urbe, scompigliando le buone maniere e offrendo un’alternativa a una generazione orfana di futuro, Rea diventa la matita incaricata di dare una forma riconoscibile a quell’ondata underground, raffigurando poster di concerti, collaborando con riviste musicali e con artisti iconici del punk e della new wave romana. Su tutti Kortatu, Kenze Neke, Erode e Banda Bassotti: gruppi di cui l’illustratore curerà a lungo l’immagine, approntando una comunicazione grafica militante, antirazzista e antifascista. “Ho sempre tenuto conto dei risvolti sociali dietro le controculture musicali, le due cose per me non possono essere scisse”, si legge in una delle ultime interviste rilasciate da Rea alla testata Punkadeka. “La musica fine a se stessa non mi interessa, ci deve essere poesia sincera o rabbia autentica, in questo caso a parer mio nascono anche belle canzoni che restano nel tempo, come ‘All are equal for the law’ della Banda Bassotti”.

A FIANCO DEI CURDI
Cristiano è stata la matita che si è fatta carico di rappresentare la scena underground, realizzando poster di concerti, collaborando con riviste musicali e con artisti iconici del punk romano (e non solo) dagli anni ’80 e per sempre.
Vicinissimo alla causa kurda, vi si è recato molte volte, ha sensibilizzato tant* di noi e dal 2009 ha curato la grafica per Rete Kurdistan Italia.
Lo ricorderemo sempre con le sue parole: “Abbiamo vissuto, abbiamo da vivere, non ci possiamo lamentare”…
"PANK", L’ULTIMO LIBRO DI CRISTIANO REA
Molti anche i locali di Roma che hanno goduto dagli Anni Ottanta in poi delle immagini in bianco e nero di questo Raymond Pettibon nostrano. A partire dal Uonna Club (la prima discoteca a Roma a proporre musica punk, ska, new wave e hardcore), a cui seguì la stagione dei CSOA, con le locandile e i manifesti disegnati per Breakout, Torre Maura e Forte Prenestino (memorabili i poster per le Feste del non lavoro). Tutto questo senza mai smettere di cimentarsi nel fumetto indipendente. E non è un caso che proprio Zerocalcare riconobbe in lui un maestro – un esempio etico, prima ancora che di stile. “Con Michele ci siamo conosciuti relativamente tardi ma subito è scattata l’empatia. I nostri percorsi si sono incrociati nella militanza grafica, nel sostegno alla causa curda e non solo”, si legge sempre nella stessa intervista. Il segno secco e potente di Cristiano Rea renderà memorabili le pagine di decine di fanzine (nel 1979 insieme a un gruppo di giovani fumettisti produce la rivista “neodadafuturista” Bidè), senza mai tirarsi indietro quando si tratta di “sporcarsi le mani” in ambiti politici e sociali ancora più estremi (è il caso dei disegni per i manifesti e gli opuscoli realizzati dal 2003 a favore del popolo curdo, o delle illustrazioni militanti create per Radio Onda Rossa). Poche settimane fa era uscito il suo nuovo libro, dal titolo Pank! 1977-2022. Poster e disegni. Edito da Goodfellas e curato da Federico Guglielmi, il volume mette ordine nella storia di Cristiano Rea. La prefazione è firmata da Zerocalcare, suo erede nell’epopea della “grafica resistente”.

LA SINOSSI DEL LIBRO “PANK!”
“Già dal titolo, ovviamente ironico, ‘Pank!’ è allo stesso tempo un urlo catartico e un manifesto: quelli di un ragazzo che sul finire degli Anni Settanta, appena diciottenne, cominciò a raccontare attraverso poster, locandine e disegni sparsi quasi ovunque i fermenti che scuotevano l’underground della sua Roma”, si legge nella sinossi del libro. “Lo fece alla sua maniera, con talento e passione, tanto da divenire subito iconico: nella Capitale, chiunque frequentasse il giro del punk e della new wave (ri)conosceva immediatamente il suo tratto, assieme aggressivo e poetico, e i suoi personaggi. Fino ai primi Anni Novanta, quando ha deciso di dedicarsi ad altro, Cristiano Rea è stato una figura-cardine della scena alternativa dell’Urbe, lasciando un segno profondo: non a caso Zerocalcare, che più volte l’ha indicato come suo principale ispiratore alla pari con Jamie Hewlett, ha voluto offrire un prezioso contributo a questo volume. ‘Pank!’ raccoglie tutto ciò che si è riuscito a recuperare della sua opera, perché estenderne la notorietà anche fuori dalla Città Eterna è cosa buona e giusta. Anzi, doverosa”.
SCRIVE ZEROCALCARE
«Io mi ero convinto, assolutamente sicuro, che stavamo parlando di una specie di rockstar. Uno come Winston Smith, che faceva le copertine dei Dead Kennedys e che era considerato uno dei più grossi e influenti artisti underground al mondo.[…] Gente inarrivabile, mostri sacri dell’illustrazione che io cercavo di copiare senza nemmeno provare a mascherarlo eccessivamente. E Cristiano Rea per me era esattamente così, uno che stava tra quei giganti, un nome astratto che chissà mo’ dove stava».

UN'INTERVISTA A CRIS DEL GENNAIO 2023
ⓢ Quali sono le origini di un percorso così multisfaccettato? La passione per la musica, il disegno e la grafica sono germogliate insieme, in casa, negli anni giovanili?
In particolare la spinta a uscire dal guscio è avvenuta nel ’77, ’78, con lo stimolo anche musicale della scoperta del punk. Fino a quel momento covavo l’idea di una carriera da disegnatore, affascinato dai fumetti della Marvel, che all’epoca in Italia erano ancora della casa editrice Corno, i supereroi dell’epoca: Daredevil, l’Uomo Ragno… E poi sono uscito dal guscio imbattendomi nel punk, prima come musica e poi con tutto il corollario che si portava dietro. Anzi, che non si portava dietro!
ⓢ Nel senso che cancellava il passato?
Cancellava il passato, e poi c’erano veramente pochi appigli iconografici: dovevamo affidarci alle riviste musicali, poche, e all’immagine che si portavano dietro i dischi, i 45 giri, non c’era modo di reperire altre informazioni visive. Con il libro in mano ho capito meglio anche di aver dovuto un po’ costruirmi un immaginario: Roma in realtà non era quella Roma lì, non era punk, però nei miei disegni, nelle prime cose acerbe, Roma sembrava un po’ New York, oscura… Ma ancora non lo era.
ⓢ Poi lo è diventata?
Sì, nei primi Ottanta con la nascita del Uonna Club, un locale che faceva da calamita per le piccole bande di controcultura musicale che si aggiravano per la città. Io comincio a disegnare per loro nell’81 fino almeno all’85, ed era un punto importante di ritrovo per tutta questa roba che era appunto sparsa o senza un luogo di aggregazione fino a quel momento: perché non c’erano ancora i centri sociali, non c’era nulla. Roma era un deserto rispetto al discorso musicale che ci poteva piacere e interessare in quel momento. Era attraversata da iper violenza politica e piogge torrenziali di eroina, che troviamo nelle tavole di Ranxerox sempre abbondante. Noi eravamo molto piccoli, sedicenni o diciassettenni… Con l’evolversi che poi ha avuto la città possiamo dire che ci è andata anche bene rispetto alla generazione precedente.
ⓢ Guardando ai lavori per il Uonna si intuisce un’estetica già post-punk, new wave. Frigidaire e Tamburini erano dei riferimenti?
Assolutamente. Non sono stato il primo a immaginarmi una Roma più simile a New York perché ci sono stati quelli di Cannibale e Ranxerox, anche se erano un po’ più grandi di età di noi – parlo di noi perché all’epoca mi vivevo da solo l’esperienza del punk, mentre nel disegno eravamo un gruppettino di nerd che ci provavano, ammiratori sfegatati di Cannibale e di Moebius, e abbiamo provato a metterci insieme e fare qualche cosa. Con quelli di Cannibale e Frigidaire però sentivamo la distanza generazionale: le loro tavole erano piene di quello che era il movimento del ’77, la Bologna di Pazienza, le discese negli inferi di Tamburini… La soddisfazione era nel vedere i disegni, i contenuti però erano un po’ lontani da noi che eravamo ragazzini, in attesa di chissà che cosa.
ⓢ Come è avvenuto il contatto con il punk?
Del tutto casualmente su una televisione privata, una di quelle che si affacciavano in quegli anni: un improbabile dj mise su un 45 giri dei Ramones facendo vedere la copertina, e fu una fulminazione. Ho visto quei quattro soggetti che sembravano quattro teppisti – ci ho messo un po’ a capire che invece erano quattro bravi ragazzi – abbigliati in quel modo che richiamava l’iconografia ribelle del rock and roll, che a me ha sempre affascinato sin da piccolissimo. Fu un bell’impatto anche perché fino a quel momento la musica l’avevo condivisa con i compagni di scuola e c’era il progressive, i doppi album, una palla mostruosa. Trovavo giusto un po’ di refrigerio nei Rolling Stones con il classico rythm and blues e il rock and roll, però per il resto era un disastro. E i Ramones con quei pochi minuti spianarono tutto: niente più assoli, niente tastiere, niente batterie roboanti… Bellissimo, fu un impatto molto forte, che trovava terreno fertile nei miei gusti. Dopo venne anche il servizio clamoroso dell’Altra Domenica, su Rai Due, con Michael Pergolani che da Londra quasi in diretta ci fece vedere quello che stava succedendo in quel momento in Inghilterra, e anche quello è servito.

ⓢ Ripercorrendo decenni di lavori c’è sempre stato poco colore e una forte prevalenza del nero, il bianco e nero e il suo contrasto. Il motivo è soprattutto dovuto a ristrettezze economiche e pratiche o anche a una scelta artistica? Penso al fatto che anche in opere più recenti e realizzate in assoluta libertà come Nero900, che non doveva sottostare a certi limiti, c’è quella forte caratterizzazione.
Il bianco e nero me lo porto dietro dalla passione per i fumetti e poi giustamente per necessità, perché appena ci fu la possibilità di fare cose per il Uonna Club queste dovevano essere facilmente riproducibili, perché erano i programmi mensili o settimanali delle serate e le fotocopiatrici dell’epoca erano un mezzo disastro. Il bianco e nero è stato una scelta forzata, talmente forzata da eliminare qualsiasi altra sfumatura di grigio o altro, e ridurre il segno a una cosa che si potesse fotocopiare in qualsiasi modo, e vedere bene, e distinguere. Doveva avere un forte impatto immediato. Quel tratto lì me lo sono portato dietro per un bel po’, è tornato anche utile poi per un’esperienza di qualche anno nelle edizioni Cioè, dove approdai per disegnare delle cose più leggere per le teenager degli anni Ottanta.
ⓢ È una bella curiosità, che uno magari non si aspetterebbe, che chi curava l’immagine della Gridalo Forte Records abbia lavorato anche per Cioè: come è andata?
È andata bene. Lo facevo con molto piacere: mi hanno sempre affascinato le culture giovanili quindi andava benissimo anche interessarsi dei new romantic, dei gusti delle ragazzine dell’epoca. Avevo anche l’ispirazione in casa, avendo delle sorelle che abbracciavano un po’ i vari stili del momento, quindi mi sono sostituito ai vecchi disegnatori paludati che non sapevano come disegnare questi giovani, oppure che li disegnavano sempre con certi stilemi che non rispecchiavano la realtà. E allora mi sono misurato anche con quello, e debbo dire sembrerebbe con successo, o quantomeno senza offendere nessuno.
ⓢ Dovendo sintetizzare il lavoro di tanti anni con una sola parola ho il dubbio se usare artista, grafico, disegnatore, illustratore… Sono definizioni sempre difficili.
È un imbarazzo che mi porto dietro, perché sono stati tanti i mezzi che ho utilizzato, da autodidatta, come anche nell’esperienza musicale. Ho suonato la batteria (nei pionieristici Roma KO, nda) ma non posso definirmi un batterista, e allo stesso tempo non mi posso definire un artista a tutto tondo, oppure un grafico o un disegnatore di fumetti, è tutto un insieme… Non scindibile. Musica e disegno. E poi l’impegno politico che è venuto dopo, mettendo a disposizione il disegno, la grafica, nell’evoluzione qua a Roma dei movimenti sociali. Mi sono reso disponibile a fare grafica, però senza mai definirmi un vero e proprio grafico… La cosa mi imbarazza tra l’altro per le aspettative che uno potrebbe avere altrimenti. Nero900 è stato un modo anche per levarmi di dosso finalmente un po’ di cose che a fatica ho dovuto accettare: l’idea di accreditarmi come grafico o come disegnatore di fumetti che in pratica non sono mai stato. Sono brevi periodi della vita in cui ho intrecciato cose… Ho fatto anche manifesti per il cinema però con il taglierino, con la colla… Un po’ di tutto, però non scindibile. Quindi ora che mi ci fai pensare forse la parola arte, nel tenere insieme la musica, la grafica, il disegno, l’attenzione a quello che succede per le strade, se proprio vogliamo potrebbe essere la più vicina… Però ancora oggi non sono arrivato a una definizione esatta, forse non c’è.
ⓢ Zerocalcare nell’introduzione al libro dice che se una figura così cruciale per le controculture fosse stata americana o inglese sarebbe diventata ricca: è un rimpianto o non è mai importato più di tanto?Non ci avevo mai pensato prima in effetti. Ho riflettuto semmai insieme ad alcuni compagni di strada dell’epoca, anche sul fronte musicale, che Roma non ha mai offerto grandi opportunità in quegli anni per trovare una strada o per farsi notare, perché al di là di Cannibale e Frigidaire non sapevi dove andare a sbattere la testa, a chi portare delle tavole disegnate, o dei demo tape musicali. Veramente una città un po’ avara sotto questo punto di vista, quindi sì, posso appoggiare l’ipotesi che un contesto più fertile sarebbe stato meglio… Però diventare ricco no, ci sarebbe bastato un po’ più di spazio per esprimerci, ecco.
L’etichetta indipendente poi è arrivata, con la Gridalo Forte ho potuto fare quello che volevo, però poco prima, sul finire degli anni Ottanta non c’era nulla: prima della nascita dei centri sociali non c’era neanche un locale dove potevi programmare con il tuo gruppo di andare a suonare, a parte il Uonna, e nemmeno un’etichetta come l’Italian Records a Bologna, per dire “gli porto il nastro del mio gruppo, e vediamo se ci fanno stampare qualcosa”. Assolutamente no. Era una realtà molto diversa da Milano o Bologna. Si è cominciata ad aprire poi con gli anni Novanta, con l’avvento anche del rap, della Gridalo Forte, di Luigi Bonanni dei Garçon Fatal o lo stesso Federico Guglielmi che ha dovuto sbattersi in prima persona per produrre gruppi che altrimenti l’onda del tempo avrebbe cancellato e buonanotte, non sarebbe rimasto nulla della scena romana.
ⓢ E oggi cosa rimane di quel mondo, di quel movimento? Si vede una scena attiva?
Ormai non mi sento di dare giudizi. Mi giungono voci da amici più giovani che una scena c’è, e anche se quella dei centri sociali può sembrare al momento un attimo quietata, a livello musicale mi sembra che ci sia del fermento: dei gruppi, dei locali, specialmente molti locali – quindi la possibilità di suonare, e questo è buono. Lo stesso anche rispetto alla scena dei disegnatori, degli illustratori, delle illustratrici: c’è un grande rinascimento, vediamo tante graphic novel, tanti ragazzi con bei tratti che saltano fuori, di quello sono contento. Non sono magari totalmente informato, ne seguo pochi, però mi sembra di poter dire che c’è qualcosa che si muove, e vediamo che succede.
ⓢ Tenere in mano un’antologia del genere del proprio lavoro dev’essere una bella emozione.
Intanto sono grato a Federico che mi ha coinvolto in questa avventura, e a Goodfellas cui vanno tutti i miei complimenti perché l’oggetto mi piace molto. Non è soltanto il libro mio ma attraversa vari anni e varie situazioni, ed è il libro un po’ di tutto questo. C’è stata una super presentazione al Forte Prenestino dove sono stato sommerso da un’ondata di affetto: la gente era contenta di avere raccolte in un libro delle immagini a cui era affezionata dai primi anni Ottanta, fino alle lotte sociali dei Novanta. Soprattutto sono molto contento di aver lasciato una cosa che non è meramente il catalogo di un illustratore, ma c’è un po’ di storia di tutti quanti noi: c’è la storia di un certo tipo di percorso, di movimento, attraversato dalla musica. Ed è un bell’oggetto, ne sono molto soddisfatto. E poi vedere tutto insieme, anche la tigna portata avanti per decenni, fa impressione a me per primo.

NEL SEGNO DI CRISTIANO REA
28 GENNAIO 2023
Il libro. Per Goodfellas, «Pank! 1977-2022. Poster e disegni» a cura di Federico Guglielmi. Il percorso di un «artista suo malgrado» che ha narrato l’attitudine ribelle di più di una generazione
di Guido Caldiron da: ilmanifesto.it
Ci sono immagini in grado di fissare per sempre il clima di un’intera stagione. Tratti e stili che in pochi schizzi restituiscono le emozioni e il senso ultimo della storia di una generazione. O che attraverso la loro evoluzione raccontano di come è cambiato, talvolta nello spazio di un breve lasso di tempo, il modo di guardare al mondo, di percepire se stessi e ciò a cui si presta attenzione, ciò che si ama o verso cui si prova rabbia, le forme attraverso le quali si cerca di raccontare il proprio percorso fissandolo in un’emozione che non sia fatta soltanto di parole. C’è tutto questo e molto altro ancora in Pank! 1977-2022, poster e disegni di Cristiano Rea (a cura di Federico Guglielmi, prefazione di Zerocalcare, con alcune schede di Valerio Lazzaretti, Goodfellas, pp. 224, euro 20) che ricostruisce l’itinerario di un «artista suo malgrado» per il modo delicato in cui ha sempre guardato alla propria ricca produzione senza mostrare di prendersi mai troppo sul serio.
EPPURE, quella che le pagine di questo splendido libro raccontano è una storia importante: l’itinerario di un ragazzo solitario di Roma nord che alla fine degli anni Settanta si affaccia a quella che nel nostro Paese, ed in particolare nella Capitale, è una «scena» ancora al debutto che intreccia immagini, suoni e simboli. Per Cristiano Rea (classe 1962) si potrebbe parlare di un’educazione sentimentale nel segno di ciò che il punk ha rappresentato ben oltre il proprio lascito pop: un’attitudine. La spinta travolgente ad esprimersi non perché si sappia come farlo, si abbia consapevolezza degli strumenti, ma perché si ha qualcosa da dire, fosse solo la testimonianza di quell’inquietudine irrefrenabile.
Per Cristiano Rea, forte di una passione per i fumetti coltivata fin da ragazzino, il primo passo è con le fanzine, qualche disegno per le serate di amici che, come lui che suona la batteria pensando a Marky Ramone, animano forse inconsapevolmente quella che diventerà la prima stagione dell’underground romano. Arriveranno poi le locandine per il Uonna, storico locale sulla Cassia dove quelle che allora i media avevano ribattezzato come «tribù urbane» definivano le proprie strategie stilistiche ascoltando via punk, new wawe, oi!, ska, rockabilly e molto altro ancora. In una stagione in cui tutto era per certi versi inedito, e che vedeva gli amici fricchettoni trasformarsi nel corso di un’estate in skinheads irreprensibili, la politica era fatta anche di simboli, di tratti.
Dalla fine degli anni Ottanta il segno inconfondibile di Cristiano Rea diventa così una sorta di «logo» per la scena antagonista romana, intrecciando – come racconta la sua stessa biografia come quella di tanti suoi compagni di strada – musica, politica, stile, militanza: un nuovo modo di «occupare le strade» ridefinendo anche le forme della vita collettiva attraverso l’esperienza dei centri sociali. Seguono decenni, a partire dalla locandina realizzata nel 1987 per festeggiare il primo anno di occupazione di Forte Prenestino, nei quali questi tratti accompagnano centinaia se non migliaia di manifestazioni, concerti di sottoscrizione, campagne di solidarietà internazionale, dal Chiapas al Kurdistan, il ritorno dell’antifascismo anche in forme innovative, come nell’esperienza di Gridalo Forte.
IL BIANCO E NERO è d’obbligo, per ragioni prima di tutto tecniche ed economiche, racconta Cristiano Rea a Federico Guglielmi nell’ampia intervista lungo cui si snoda il volume. Ma c’è di più. Emerge in quelle tavole, che pagavano necessariamente un tributo alle necessità di una comunicazione diretta, un’idea narrativa, forme nitide, o al contrario sfumate, che rimandano ad un racconto del reale. Forme dalle quali non a caso l’autore muove negli ultimi anni, mettendo da parte la china per «una matita nera, graffiata e sporca», come spiega lui stesso, ritrovando ancora una volta l’inquietudine febbrile degli esordi, stavolta, dopo tanta descrizione del mondo, nella serie Nero900 dedicata ad uno sguardo introspettivo verso figure note e meno note del Novecento italiano, a cavallo tra la Seconda guerra mondiale e la trepidazione del dopoguerra. Quarant’anni dopo, per Cristiano Rea l’urgenza di quel racconto resta immutata.
Pank! sarà presentato a Forte Prenestino venerdì 3 febbraio alle 19 da Cristiano Rea e Federico Guglielmi.
Rea ha plasmato un’immagine, un «segno» che non è mai stato soltanto grafico, e che dal punk, dall’underground musicale ha contribuito a definire il nuovo volto della politica metropolitana, l’insubordinazione organizzata e comunitaria che ha preso corpo con i centri sociali, mutando per sempre il lessico della rivolta. Affacciatosi a questo mondo dalla scoperta del punk e dalle serate dei primi anni del Uonna club, Cristiano ha poi vissuto intensamente (insieme a Luciana, compagna e complice di una vita) la politica della Roma ribelle, tra centri sociali, antifascismo e impegno internazionale, prima a sostegno del Chiapas quindi a fianco dei Curdi, realizzando centinaia, o forse migliaia di manifesti, locandine, volantini.
Immagini che colpivano prima di tutto per il loro approccio narrativo, capace di «raccontare» movimenti e iniziative con uno spirito «pop», ma tutt’altro che mainstream, mutando probabilmente ciò che il punk aveva fatto nell’evocare, prendendosene almeno in parte gioco, il rock’n’roll. «Pochi segni in bianco e nero, fotocopiati male e attacchinati peggio, ma che quando li incrociavo da ragazzino era come affacciarsi su un altro mondo», ha ricordato Zerocalcare che proprio nella prefazione a Pank! ha pagato un debito di riconoscenza a Rea che ha «letteralmente plasmato il nostro immaginario» e «disegnato una porta d’ingresso per quel mondo».
TROPPO DISCRETO per dare la giusta importanza al proprio lavoro, difficile eguagliare un simile percorso che ha varcato con curiosità ben quattro decenni, Cristiano Rea resterà «l’inventore» di un’epoca per quanti hanno ammirato i suoi disegni e un compagno di strada indimenticabile per quanti hanno avuto la fortuna di averlo come amico. Insieme al suo deciso bianco e nero a tutti mancherà poi la sua forza, calma ma decisa. Come quel «volto incazzato» che aveva regalato al Forte Prenestino per il primo maggio del 2020: «Ha l’espressione che vorrei avessimo tutti quando stiamo insieme, abbiamo vissuto, abbiamo da vivere, non ci possiamo lamentare».

«VOLEVO FARE QUALCOSA DI SIMILE ANCH'IO»
28 GENNAIO 2023
Il testo. La prefazione al volume "Pank! 1977-2022. Poster e disegni di Cristiano Rea", a cura di Federico Guglielmi, per Goodfellas. «Quello stile? Era l’estetica delle sottoculture e dei movimenti politici»
di Zerocalcare
Io non lo so quando ho visto per la prima volta i manifesti di Cristiano Rea; ma so che quelli per me non erano i manifesti di Cristiano Rea. Erano quei poster riprodotti piccolissimi nel sedicesimo a colori di qualche libro sul punk a Roma. Li vedevo e pensavo che volevo essere capace a rifarli pure io. O a fare qualcosa che gli assomigliasse; quei bilanciamenti perfetti tra spazi bianchi e neri, quelle forme affilate degli spike o di un filo spinato, quello stile sintetico che non ha bisogno di costosi macchinari per la stampa: una fotocopiatrice in bianco e nero, una serigrafia a un colore solo, nient’altro.
UN’AMMIRAZIONE che mi portava a cercare altro, altri manifesti, altri disegni, altro materiale da saccheggiare. Pian piano iniziavo a riconoscerne la mano: sì, dev’essere lo stesso, sicuro è quello che sta lì, attacchinato con la colla sulle pareti della serigrafia del Forte Prenestino. Sì, era sicuramente lo stesso delle locandine punk, dei concerti del Uonna, locale che mi era insensatamente familiare visto che lo conoscevo solo attraverso quei poster, dal momento che aveva già da tempo esaurito il suo ruolo quando io mi sono affacciato all’età della ragione e della possibilità di muovermi autonomamente in giro per la città. Tutta quella ricchezza visiva io la guardavo e pensavo: io, coi disegni, vorrei sapere fare questo.
Stacco. Stessi anni, contesti leggermente diversi: i manifesti di solidarietà per il Kurdistan, le copertine dei dischi della Gridalo Forte Records, le grafiche per il Chiapas. Niente disegni qui: foto posterizzate, scritte massicce, bianche con spessi contorni neri, effetto un po’ smangiucchiato. Potenti. Una mano inconfondibile. Ignota per me, ma ugualmente inconfondibile. Iniziavo i primi lavori di grafica, qualcuno mi chiedeva di impaginare i miei disegni, di aggiungerci uno slogan e una data. Io guardavo quei lavori e provavo a copiarli. E pensavo: io, con la grafica, vorrei sapere fare questo. Per me erano due autori diversi, sconosciuti, ma entrambi ugualmente importanti e fonte d’ispirazione. Poi un giorno quella che mi sembrava una scoperta incredibile.
Quel nome che compariva nei libri, Cristiano Rea, suonava incredibilmente simile alla sigla con cui erano firmati i lavori di grafica, Crea. Un’epifania. Ok, non ero sveglissimo. Lo si capisce da questo ma anche da un altro fatto: a quel punto io mi ero convinto, assolutamente sicuro, che stavamo parlando di una specie di rockstar. Uno come Winston Smith,che faceva le copertine dei Dead Kennedys e che era considerato uno dei più grossi e influenti artisti underground al mondo. Seth Tobocman, un altro pilastro delle grafiche antagoniste, celebrato ovunque con studi e pubblicazioni. O come Jamie Hewlett, che si inventò il personaggio di Tank Girl, e che da quel mondo punk era arrivato a creare tutto l’immaginario visivo di band come i Gorillaz. Gente inarrivabile, mostri sacri dell’illustrazione che io cercavo di copiare senza nemmeno provare a mascherarlo eccessivamente.
D’altronde, mica si potranno mai venire a lamentare se li copia un pischello di Roma della cui esistenza non sapranno mai nulla, no? E Cristiano Rea per me era esattamente così, uno che stava tra quei giganti, un nome astratto che chissà mo’ dove stava. Finché un giorno, qualcuno mi ha detto una cosa tipo «ma lo sa Cristiano che stai in fissa con le cose sue?». Ma Cristiano chi, Rea? Ma che ne può sapere, pensavo. «Cristiano della tipografia». Aspetta, come Cristiano della tipografia? Quel Cristiano, quello che ho pure visto un sacco di volte, quello che è amico di Cecco, quello così… normale… quello è Cristiano Rea?
ALL’IMPROVVISO mi sentivo cretino perché nel frattempo erano passati anni, e io non ero più un sedicenne ingenuo. Era incredibile che io avessi conservato un’immagine così adolescenziale, avvolta da quell’aura di intoccabilità. Ormaici potevo arrivare al fatto che col punk uno non ci fa i soldi. A Roma, poi. Eppure. Mi sembrava incredibile che una persona che aveva contribuito in maniera così fondamentale all’immaginario di più d’una generazione, i cui lavori avevano plasmato lo stile e l’estetica di sottoculture e movimenti politici, non fosse celebrato come quegli altri artisti che ormai campavano di rendita. Che poi per me Cristiano Rea era meglio di loro. Perché si arrangiava con meno. Perché era più sincero. E forse sì, perché era di Roma. Non stava in California e nemmeno in Inghilterra, era l’orgoglio romano di tutti quelli che amano la musica rumorosa, le sfide al potere, e i fumetti.
Eppure. Non c’era una raccolta delle sue opere, non c’era un archivio in rete, non c’era un libro su di lui. Che cazzo di universo insensato è mai questo.
Ecco. Oggi almeno l’universo ha un pochino di senso in più. Sempre troppo poco, ma vabbé. Un passo alla volta.
IL VIDEO di un'intervista biografica
Estremamente colpito dall'ascolto di un disco dei Ramones, nel 1977 Cristiano Rea diventa punk trovando in quella musica ed in quello stile finalmente qualcosa che lo rappresenti. Poco dopo inizia a suonare la batteria negli Ach Dopo e poi con gli Apologia di Reato, entrando così a contatto con la scena musicale underground romana e coltivando parallelamente una forte passione per il disegno ed i fumetti. Nel 1981 gli viene proposto di disegnare locandine, tessere e grafiche varie per il Uonna Club, locale romano dedicato al punk ed alla new-wave, compito che svolge egregiamente fino al 1985. Negli anni successivi collabora col Forte Prenestino e con altri Centri Sociali illustrando un po' tutta la scena musicale romana di quel periodo, suona nei Roma KO e si occupa della grafica delle copertine dei dischi dell'etichetta Gridalo Forte (Banda Bassotti, Kenze Neke). Il lavoro svolto da Cristiano Rea ha sempre avuto un unico denominatore: la ricerca dell'autenticità.
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