
🎭 LE MALETESTE 🎨
19 mar 2025
In centro Penc vengono accuditi anche i figli delle partecipanti. "Dal 2020 promuoviamo la solidarietà sociale e la cura dei migranti attraverso l'etno-psicologia".
Un “porto” sicuro, dove ritrovarsi e raccontarsi tra pari: questo è WGSS – Women and Girls Safe Space, il progetto transculturale promosso dal Centro Penc, sostenuto da IRC (International Rescue Committee), da Unicef, e destinato alle donne straniere residenti nel capoluogo.
Organizzato dall'associazione di promozione sociale Baccanica insieme con il Centro Penc, Antropologia e Psicologia geoclinica, il progetto è finanziato dall'assessorato regionale delle Politiche sociali e dalla presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche giovanili.
Nato nel 2020, in piena pandemia, col supporto dell'Unicef, dice la fondatrice e presidente del Centro Penc, Maria Chiara Monti, psicoterapeuta gruppoanalista, esperta in Etnopsicologia, "il Woman and girls safe space è uno spazio sicuro per donne, ragazze, bambine e bambini che arrivano dall'Africa, dal Medioriente, dall'Afganistan, dal Pakistan, dall'India, ma anche dal Sudamerica, dall'Ucraina e dalla Russia".
Non solo percorsi di psicoterapia e supporto psicologico, individuale e di gruppo. Al Centro Penc si svolgono anche attività di formazione, come, appunto, quella condotta dall'associazione di promozione sociale Baccanica che ha curato anche la realizzazione di uno spazio-giochi per i figli delle partecipanti ai corsi di formazione, dove i bambini sono coinvolti in laboratori didattici e artistici.
"Con il progetto "Teatro altrove - Officina dei mestieri" - dice Daniela Mangiacavallo, regista e presidente di Baccanica - nei nostri corsi di truccatrice teatrale, sartoria e recitazione, abbiamo coinvolto trenta donne straniere in condizioni di vulnerabilità. Lo scopo è quello di avvicinarle a nuovi linguaggi, come il teatro, l'arte del costume e del trucco teatrale".
Nonostante la violenza diffusa lungo le rotte migratorie verso l'Europa, i sopravvissuti incontrano ancora notevoli ostacoli nell'accesso ai servizi di supporto, a causa di scarse reti di riferimento, mancanza di informazioni e complicati sistemi di assistenza. Anche il numero limitato di mediatori linguistico-culturali formati su come supportare i sopravvissuti è un ostacolo fondamentale.
A Palermo un porto sicuro per le migranti in cerca di un riscatto
maggio 2021
A Palermo dal 15 luglio 2020 ha aperto un luogo – o meglio, un porto sicuro – per assistere le donne straniere e i loro figli, persone che vivono in situazione di particolare disagio sociale. È un luogo dove far emergere e curare le loro sofferenze psicologiche e fisiche, spesso collegate alla violenza e alla tratta di esseri umani. Si chiama Women and girls safe space (Wgss) e qui possono raccontarsi “tra pari e condividere le stesse paure, difficoltà e sfide, per trovare insieme soluzioni pratiche e supporto emotivo, così come sogni, desideri e speranze”, spiega il Centro Penc, promotore dell’iniziativa sostenuta dall’International rescue committee (Irc) e Unicef.
In Italia le associazioni Cesie e Libera contro le mafie hanno avuto l’opportunità di sviluppare la dimensione italiana del programma Heal per creare un modello innovativo di assistenza alle vittime di tratta in Europa insieme ad associazioni di Romania, Grecia e Spagna.
“Heal”, d’altronde, non è soltanto un acronimo (enHancing rEcovery and integrAtion through networking, empLoyment training and psychological support for women victims of trafficking): in inglese significa “cura” e di cura parla Maria Chiara Monti, psicoterapeuta esperta in etnopsicologia, responsabile del Centro Penc.
Quante donne sono state coinvolte in totale nel progetto? Quali sono i paesi di provenienza?
Il progetto coinvolge circa 50 donne provenienti da Paesi terzi e che adesso vivono in Spagna, Italia, Grecia e Romania. A Palermo riguarda una decina di donne provenienti soprattutto da Nigeria, Ghana, Mali, Costa D’Avorio, ma anche dal Bangladesh. Molte di loro non parlano italiano quasi per nulla e per la maggior parte del tempo vivono isolate a casa con i loro figli. In questo spazio, in cui mi occupo direttamente delle attività di gruppo con le donne, è fondamentale la condivisione delle scelte dei laboratori e dei progetti a cui ognuna decide se e come partecipare, dando senso al voler “stare insieme”. Inoltre qui hanno a disposizione uno spazio dove i loro figli vengono accuditi, senza perderli mai di vista.
Da quali esperienze arrivano queste donne?
Molte di loro temono che vengano tolti loro i figli, viste le condizioni di grande vulnerabilità in cui vivono
Diverse. Ci sono donne arrivate in Italia grazie al ricongiungimento familiare, perché magari il marito si trovava qui già da molti anni e dopo sporadici rientri in patria (anche solo per la procreazione), ha deciso di portare tutta o parte della famiglia. In questi casi si assiste a uno sradicamento forzato delle mogli e delle figlie: spesso nella loro terra erano ben inserite – anche a livello lavorativo – e una volta arrivate in questo contesto del tutto diverso, dove il loro titolo di studio non ha valore e quindi non hanno i riconoscimenti sociali a cui erano abituate, si sentono isolate. Poi ci sono le donne rifugiate e le richiedenti asilo che affrontano in prima persona il viaggio migratorio, diventando spesso vittime di violenza e di tratta: all’arrivo in Europa queste donne hanno molti traumi, spesso hanno subito molte torture e violenze e molte volte anche aborti. Nel caso italiano, le ragazze coinvolte nelle attività hanno tra i 15 e i 18 anni e si arriva fino ai 38 anni circa, molte con figli. Tra di loro alcune hanno anche la cittadinanza italiana, ma non per questo possiamo dire che siano integrate bene, anzi. Alcune donne sono addirittura senza documenti e aspettano di ottenere la protezione internazionale. Molte di loro temono che vengano tolti loro i figli, viste le condizioni di grande vulnerabilità in cui vivono, in case spesso fatiscenti e troppo piccole per rispondere ai termini minimi di vivibilità.
Cosa ha portato di nuovo per le donne il progetto?
L’innovazione di Heal è il processo promosso non semplicemente con le donne e le ragazze coinvolte, ma soprattutto tra di loro. L’etnopsicologia è uno degli aspetti innovativi del progetto: prendersi cura, come sta a significare letteralmente la sigla “heal”, diventa sinonimo di “ascolto qualificato” che non passa solo dalle emozioni delle partecipanti, ma anche dalla conoscenza specifica della cultura attraverso cui quelle emozioni vengono veicolate. In particolare, si è voluto lavorare su un aspetto che riguarda tutte le donne coinvolte, e cioè di come gli altri etichettano quello che sono state e non quello che vogliono essere. Il progetto Heal investe sul capitale umano delle singole donne per far emergere le potenzialità di ciascuna. Inoltre è stata per molte la prima occasione di utilizzare l’arte come strumento espressivo: hanno realizzato delle fanzine con un tipo particolare di collage creati con una tecnica mista che ognuna ha potuto personalizzare a piacere e che saranno esposti nei prossimi mesi.
Quali sono gli sbocchi che il progetto propone?
Se queste donne di solito non coltivano prospettive, ora lavorano sul proprio riscatto
Grazie al coinvolgimento diretto di “addetti ai lavori” (assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali, etc), di imprese e cooperative, è stata sviluppata una piattaforma, Yourcareerpath per offrire opportunità di lavoro a queste donne. Questo database rende il progetto un’opportunità concreta di cambiamento per ciascuna delle donne coinvolte, e non solo. Se da un lato le partecipanti sono felici di imparare, per esempio, a scrivere un proprio curriculum, perché sanno che si tratta di qualcosa che le mette nelle condizioni di incontrare un datore di lavoro, dall’altro lato sanno che il progetto rappresenta solo un punto di partenza.
Violentate e sottopagate: donne al lavoro nei campi
Questa prospettiva reale di costruzione delle capacità lo trasforma in un progetto di lungo termine: in donne che solitamente non coltivano prospettive se non quelle familiari, pone al centro la volontà personale di lavorare sul proprio riscatto e sui propri sogni. Per questo noi crediamo nel “recruitment meritocratico” ed è per questo che quando abbiamo avuto un’opportunità di lavoro da offrire poco tempo fa, è stata assunta proprio una delle donne che ha svolto un percorso professionalizzante e ha sviluppato al meglio le sue abilità. In questo percorso ho incontrato donne veramente in gamba, il cui reale problema è che purtroppo non riescono a “farsi vedere”. Ma quando si passa da un approccio che le vittimizza a un approccio che le rende protagoniste delle loro vite, loro stesse diventano agenti del loro cambiamento.
Perché questo progetto è importante per le donne coinvolte e per altre donne in futuro?
Questo progetto non è stato scritto per vincere solo un finanziamento, ma è stato presentato per rispondere a esigenze specifiche che esperti e professionisti dell’assistenza alle vittime di tratta – come me e le mediatrici culturali con cui collaboriamo – hanno portato all’attenzione delle associazioni di riferimento. Con questa prospettiva integrata di supporto etnopsicologico (che parte dal bagaglio culturale specifico di ogni partecipante prima che dallo status emotivo), di formazione al lavoro e di creazione di una rete di supporto a livello sociale e possibilmente economico, il progetto Heal ha permesso di creare un modello replicabile e adattabile a vari contesti, facendo attenzione contemporaneamente a diversi aspetti dell'integrazione e interazione sociale di queste donne.
In futuro sarebbe bello che tutte queste donne, già formate, potessero rafforzare il loro ruolo diventando esse stesse tutor di altre donne, come già previsto durante le sessioni peer to peer del progetto, nelle quali coinvolgeranno nei prossimi mesi altre donne per condividere ciò che il gruppo ha vissuto insieme per circa due anni. Certamente, pensando a un’evoluzione del modello Heal, sarà fondamentale tenere al centro la condivisione e l’espressione personale attraverso l’arte visiva e musicale, affinché l’aspetto relazionale possa acquisire nuove forme, in un certo senso inimmaginabili fuori da un contesto progettuale. Allo stesso tempo non è da sottovalutare il ruolo che assumerebbe anche un riconoscimento economico, che non è previsto al momento e che speriamo sia fattibile sviluppare in futuri progetti che rafforzino l’impegno fino a qui portato avanti. Saper dare l’opportunità di spendere anche solo un gettone e quindi avere non solo una rinnovata capacità di vivere insieme alle persone, ma anche di sapersi sostenere economicamente, è centrale in questi percorsi.
Le "zie" aiutano a creare uno spazio sicuro per donne e ragazze a Palermo
Di Emma Wallis
Pubblicato il: 05/10/2022
Il Centro Penc nella capitale siciliana Palermo offre uno spazio sicuro per donne e ragazze ed è progettato per supportare le donne migranti nella creazione di reti ed esplorare il loro futuro in Italia. InfoMigrants ha parlato con Deborah e Mimi, due mediatrici culturali che lavorano al centro.
Deborah Sunday Igiebor dalla Nigeria e Mimi Outtara dal Mali sono due delle mediatrici culturali che lavorano al Women and Girls Safe Space (WGSS) di Palermo. Entrambe sono entrate a far parte del centro circa due anni fa.
"Per fare questo tipo di lavoro", spiega Mimi, "bisogna avere vera passione. E soprattutto voglia di aiutare".
Molte delle donne e delle ragazze che arrivano allo spazio sicuro hanno vissuto difficoltà e traumi nella loro vita. "Molte donne attraversano così tante cose orribili durante il loro viaggio, nel deserto, in Libia, la traversata in mare, che sono molto difficili. Quando sentiamo le storie delle persone qui, mi fa venire ancora più voglia di aiutarle", dice Mimi.
Ci troviamo nel seminterrato di una scuola molto frequentata, a pochi chilometri dal centro di Palermo. È qui che ha sede lo spazio sicuro, in alcune vecchie aule che sono state rilevate dal Centro Penc, un'associazione non-profit fondata nel 2015.
Gestisce quella che definisce una "geoclinica" antropologica e psicologica. Sostenuto dall'organizzazione benefica per l'infanzia delle Nazioni Unite UNICEF e dall'International Rescue Committee IRC, la missione del WGSS è quella di aiutare i migranti più vulnerabili di Palermo.
Supporto a 360 gradi
Tra coloro che usufruiscono dei vari progetti offerti dal Centro Penc ci sono migranti vittime di torture e violenze estreme, minori non accompagnati, bambini e adolescenti e donne sole che potrebbero essere state vittime di sfruttamento o violenza.
Il centro, tuttavia, non vuole concentrarsi sul passato delle donne o sui motivi per cui potrebbero essere lì, spiega Deborah, che è arrivata con un visto per studenti 25 anni fa. Piuttosto, come suggerisce il nome, quando le donne arrivano nello spazio, hanno bisogno di sentirsi completamente al sicuro e di potersi fidare dei mediatori e degli psicologi che lavorano con loro. Non vogliono essere etichettate o continuare a portare avanti ciò che potrebbe essere accaduto loro nel modo in cui sono definite.
"Questo posto è nato dopo aver osservato quante difficoltà incontravano le donne per ottenere un permesso di soggiorno qui", spiega Deborah. Quello, tuttavia, è stato solo l'inizio. "Ho incontrato così tante donne e madri nigeriane che avevano i documenti ma erano bloccate dalla mancanza di italiano, o non avevano le competenze per iniziare un lavoro. Essere una mamma single rende anche più difficile trovare lavoro qui", dice Deborah.
Un posto da chiamare casa
Lo staff di WGSS, spiega Deborah, ha riconosciuto la necessità di molte donne di avere uno spazio sicuro che "potessero chiamare casa". Da questa base, lo staff ha iniziato a capire che tipo di problemi stavano affrontando le donne e ad aiutarle a risolvere le cose passo dopo passo.
Anche Mimi sottolinea il "sentimento di famiglia" al centro. Infatti, le due donne dicono di essere spesso chiamate "zia" dalle donne e dalle ragazze che frequentano lo spazio.
"Se non ci fosse uno spazio come questo, molte di queste giovani donne, soprattutto quelle sole che vivono in un centro di accoglienza, potrebbero finire a lavorare per strada se non avessero questa base".
Deborah aggiunge a questo, "le donne ci chiamano 'Zia' (zia) perché potrebbero essere prive di quel tipo di figura qui ora che sono lontane da casa. Sanno che possono venire da noi per qualsiasi tipo di consiglio, sia esso burocratico, personale, linguistico, sulle loro relazioni, e questo è davvero importante per le donne."
Mimi aggiunge che le zie e il resto dello staff aiutano anche le donne a trovare contatti con servizi di cui potrebbero aver bisogno e che il safe space non offre direttamente. Ad esempio, trovare un ginecologo, un pediatra o un avvocato.
'Eccomi qui'
Quando InfoMigrants fa visita, WGSS è vuoto di donne, dovrebbero arrivare un po' più tardi, ma la loro presenza si può comunque percepire. I nomi sono scritti accanto ai disegni, alcune foto adornano le pareti del corridoio e una parete è coperta di bandiere che rappresentano i diversi paesi da cui provengono.
"Spesso", dice Deborah con un sorriso sul volto, "quando una donna arriva per la prima volta, guarda il muro e poi dice, 'la mia bandiera non c'è', e noi diciamo, 'OK, bene, disegna la tua bandiera per noi, e poi la metteremo su'. Questa è un'attività fantastica per rompere il ghiaccio. E poi, dopo, le donne si sentono viste, e orgogliose che anche la loro bandiera sia lì. Sono felici di poter disegnare la loro bandiera e dire, eccomi qui."
"Abbiamo [donne dal] Mali, dalla Nigeria, dall'Afghanistan, dal Bangladesh, dal Ghana, dalle Filippine, dalla Costa d'Avorio, dall'Ucraina, dall'Eritrea, dalla Tunisia, dal Brasile, dalla Colombia, dall'Angola, dalla Somalia, la lista è lunga", ride Mimi.
Ogni angolo dello spazio è progettato per attività diverse. C'è un tavolo da toeletta dove le donne possono imparare a intrecciare i capelli o fare la manicure, un'abilità che può tornare loro utile in seguito, quando dovranno iniziare a pensare a guadagnare soldi.
Abilità di apprendimento o semplicemente uno spazio per pensare
"Noi africani sappiamo che farsi sistemare i capelli può costare un sacco di soldi", dice Mimi. "Quindi offriamo loro uno spazio dove possono farsi sistemare i capelli gratuitamente, ma anche imparare alcune tecniche e imparare a intrecciare i capelli di qualcun altro. Offriamo anche lezioni di computer, yoga, pilates, abilità sociali, e la lista potrebbe continuare all'infinito".
C'è un'aula dove le donne possono imparare l'italiano per aiutarle a integrarsi, oltre a mantenere il loro inglese o francese al passo con i tempi. "Alcune donne si rendono conto, come me", dice Deborah, "che una volta che vivi qui in Italia, puoi dimenticare le lingue che hai portato con te da casa. Vogliono assicurarsi che anche il loro inglese o francese siano abbastanza buoni, quindi hanno chiesto di avere lezioni di aggiornamento in queste lingue".
I corsi non rilasciano certificati, ma vogliono assicurarsi che le donne siano in grado di rispondere alle domande e comunicare i loro bisogni e i loro diritti, spiega Deborah. "Tutto ciò che insegniamo qui riguarda l'assicurarsi di sapere chi si è e di essere in grado di comunicarlo, questa è la cosa più importante quando ci si trova in un paese straniero".
Supporto per i bambini
La maggior parte delle donne che frequentano sono già madri. Un angolo in una delle stanze è riservato ai figli delle donne. Una maestra qualificata aiuta a prendersi cura dei bambini, così le donne possono dedicarsi ad altre attività. "Le donne vengono qui quando vogliono, a volte vengono spesso, a volte solo quando hanno tempo."
Molte donne possono avere paura di andare dal medico per paura che gli costi denaro. WGSS fornisce loro le conoscenze e gli strumenti per accedere all'assistenza sanitaria pubblica gratuita, oltre ad aiutarle a trovare un pediatra e a informarle su come ottenere le vaccinazioni e i controlli sanitari corretti per i loro bambini.
Pertanto, le attività del centro sono tutte progettate per aiutare le donne a creare una rete e ad acquisire sicurezza. E per dare loro la sensazione di non essere lasciate sole. "Puoi venire qui per fare attività, o puoi venire solo per un caffè o per rilassarti o pensare. Ci assicuriamo che le persone sappiano che possono semplicemente essere qui e non le lasceremo a metà del loro viaggio".
"Quando le persone vengono qui per la prima volta", dice Deborah, "lasciamo che le donne comunichino tra loro. All'inizio potrebbero essere in grado di scambiarsi solo qualche parola in comune, ma settimana dopo settimana, imparano a comunicare con noi e tra loro in italiano e in questo modo costruiscono anche la loro sicurezza".
Aiuto psicologico
Il centro offre anche supporto psicologico, per aiutare le donne a "superare i danni invisibili che portano dentro di sé", afferma Mimi.
"Le donne sono spesso sfruttate nei paesi arabi, in Libia, vengono vendute, alcune di loro sono costrette a prostituirsi", dice Mimi. "Alcune di queste donne potrebbero aver vissuto tutto questo, quindi ovviamente sono traumatizzate quando arrivano. Hanno dovuto affrontare così tanti pericoli".
A volte, tuttavia, le donne possono inizialmente essere sospettose dell'aiuto psicologico. "La maggior parte di loro non riesce a parlare di ciò che ha passato quando arriva. Ma lentamente gli psicologi le aiutano a parlare anche di questo."
Avere un ambiente di supporto come lo spazio sicuro è fondamentale. "[t]utto dipende da come vieni accolto in Italia. Se ti trovi in un centro e vieni lasciato a te stesso, puoi ricadere in questi circoli di sfruttamento", spiega Mimi.
Cambiare la convinzione che gli psicologi aiutino solo i pazzi
Deborah afferma che molti africani credono che solo le persone clinicamente pazze abbiano bisogno degli psicologi, quindi inizialmente c'è molta sfiducia verso l'idea che possano aver bisogno di uno psicologo come supporto.
"Cerchiamo di dire loro che è importante prendersi cura della nostra mente e del nostro corpo. Ma dobbiamo procedere con cautela con le donne. Se dici direttamente a una madre che c'è uno psicologo qui che potrebbe aiutarti, la donna probabilmente risponderà "Non sono arrabbiata!" e noi sappiamo di doverci fermare. Ma se permettiamo allo psicologo di essere semplicemente lì, si rendono conto di quanto sia utile e iniziano a fidarsi. Poi, se scrivi loro e dici che l'appuntamento è stato spostato a un altro giorno, ricevi un sacco di risposte che dicono "no, devo parlarle domani, è davvero importante". Se diciamo loro che lo psicologo visiterà il gruppo il giorno dopo, puoi garantire che ci saranno un sacco di persone che si presenteranno per parlare con lei."
Dopo la fine della giornata, il team discuterà tra di loro sui tipi di comportamenti che abbiamo visto nelle donne. "Cerchiamo di capire come qualcuno potrebbe aver bisogno di aiuto e come affrontarlo per offrire i migliori servizi a queste donne. Il 90% di noi donne nasce in un trauma in Africa", dice Deborah, "ma qui, le donne iniziano a rendersi conto che non devono sopportare tutte quelle cose, che possono superare ciò che hanno passato e iniziare a sentirsi meglio. I loro problemi non sono solo soldi, permessi di soggiorno, vestiti, hanno bisogno di capire come prendersi cura dei loro traumi mentali".
Realizzare i sogni
"Cerchiamo di realizzare i loro sogni", sorride Deborah. "Una donna mi ha detto 'zia, mi piacerebbe tanto poter andare a nuotare qui.' Ho sorriso e ho detto, beh, non posso semplicemente scavare una buca e costruirti una piscina, ma abbiamo la spiaggia proprio dietro l'angolo, quindi abbiamo organizzato delle giornate in spiaggia. Per rilassarsi, per imparare a nuotare. Da soli spesso non hanno il coraggio di andarci, ma con noi vengono e scoprono un posto nuovo".
Detto questo, ride Deborah, "Devo stare attenta, dopo la spiaggia, un'altra donna ha chiesto di essere portata in montagna, ho detto, oh, 'aspetta un attimo, ti abbiamo appena portata in spiaggia, tra una settimana chiederanno la luna! Andiamo per gradi, anche questo è importante.'"
Deborah ride e poi il suo sorriso si allarga ancora di più quando le viene chiesto del percorso che ha visto intraprendere alcune delle donne dopo essere arrivate al centro.
"Alcune delle prime donne che sono venute al nostro centro due anni fa passeranno ancora. Potrebbero anche venire a chiedere qualche altro consiglio, come dirci che hanno un lavoro e hanno bisogno di un centro giochi per il loro bambino per coprire le ore fino a quando non finiscono il lavoro. Questo è un successo per noi, vedere una donna che non aveva un permesso di lavoro, che non sapeva parlare una parola di italiano, ora lavora e chiede diversi tipi di consigli."
"Due delle nostre donne hanno trovato lavoro in questa scuola, una come cuoca e un'altra nell'amministrazione. Siamo state in grado di supportare qualcuno a 360 gradi. Quando una donna trova la sua strada, è questo che rende il nostro lavoro degno di nota. Una donna era una graphic designer, sapeva cosa voleva e finalmente ha contatti online."
Storie di successo
Mimi ricorda la stessa donna. "Quando è venuta qui, non voleva restare a Palermo. Le sue valigie erano tutte piene, e noi abbiamo detto, 'OK, lascia che ti aiutiamo con questo problema', e poi si è innamorata di questo centro. Veniva con suo figlio, sua figlia, era così bello lavorare con lei. Queste donne sono state tenute sottomesse per così tante ragioni, a causa della religione, delle società da cui provenivano, e poi vengono in Italia e noi vogliamo provare a incoraggiarle a vivere le cose belle dei loro paesi".
Ogni sabato, il gruppo cucina e mangia insieme. "Guardando le donne scegliere chi cucinerà e con chi vogliono cucinare, tutti possono provare qualcosa di nuovo da un altro Paese. Si potrebbe imparare da un'altra nazionalità come si cucina", spiega Mimi.
Deborah aggiunge che sabato, se il tuo compleanno cade quella settimana, il gruppo festeggerà anche il tuo compleanno. "Le donne si insegnano a vicenda delle cose e questo le fa sentire importanti, essere utili a qualcuno, è impagabile, soprattutto per noi donne, vogliamo essere apprezzate, non solo come madri o donne, ma per tutte le nostre capacità. Questo è ciò che cerchiamo di insegnare alle donne che vengono qui. Quando una donna si sente apprezzata, riuscirà a realizzare il suo potenziale. Da una piccola cosa, puoi sentirti utile, e poi inizi a sentire di poter conquistare il mondo. Guardiamo come qualcuno inizia a cucinare e poi potrebbe arrivare e dire, "Voglio scrivere un libro" e noi diciamo "Fallo!"
Per maggiori informazioni sul Centro Penc, puoi visitare il sito web qui , oppure puoi contattare il seguente numero di cellulare italiano: +39 3471580224. Il Centro Penc è anche su Facebook, dove puoi scoprire di più su come partecipare al loro gruppo .