📚 LE MALETESTE 📚
9 apr 2024
Quasi-cronaca di un 'turno' davanti alla GKN di Campi Bisenzio (Fi), tra poesia, lotte, sorrisi e incontri che diventano vita.
di PIERA ELLI, inviata del Collettivo Autogestito "LE MALETESTE"
Suona la sirena.
Mi proietta indietro nel tempo, a quando il tempo era scandito dalle sirene delle fabbriche.
Il tempo non aveva orologi nelle case, si sapeva che erano le otto di mattina perché suonava la sirena della Tassara vicino a casa mia, e gli operai entravano al lavoro; sarebbe tornata a suonare dopo la merenda dei bambini, alle cinque del pomeriggio, quando gli operai uscivano dalla fabbrica.
Suona la sirena e mi commuovo in questo sabato di aprile, caldo come fosse giugno, in un piazzale di cemento davanti ai cancelli della Fabbrica.
Anche per quest’anno inizia il nostro turno, questa volta davanti alla Fabbrica, ancora una volta ad ascoltare, alle 10.30 del mattino, poesia operaia, con tantissime persone, la maggior parte giovani.
Tre ragazzi davanti a noi aprono contemporaneamente i propri taccuini e … scrivono! Non ascoltano la Trap, non cazzeggiano con il telefonino, fanno rivoluzione: prendono appunti dalle parole di un signore di 88 anni che parla di Poesia e di fabbrica.
Ferruccio Brugnaro, il signore 88enne giovane come un 18enne, rende vive, una di seguito all’altra, le sue poesie di una potenza esplosiva:
“ Non affermate ora
furfanti
ladri di vite
che non c'era alcuna certezza
che non c'erano legislazioni.
Non dite, non dite che non sapevate.
Avete ammazzato e ammazzate ancora
tranquilli indisturbati…”
’Furfanti ladri di vite’ rimane attaccato come la colla, mastice da falegname. Quattro semplici parole, un film, un racconto operaio visto e rivisto. Furfanti ladri di vite… cosa dire di più? Basterebbe questo a voler cambiare le cose.
Nel frattempo che la poesia irrompe nel tempo e nello spazio, davanti alla Fabbrica, nel piazzale stretto tra i cancelli e la strada, sopra di noi, volano droni/mosconi/spioni..
Quanti piccoli, vigliacchi e inutili ominidi pensano di essere grandi uomini!?! Non hanno il coraggio del confronto, né imprenditoriale né culturale, e si ritrovano a spiare vigliaccamente una marea di essere umani intenti a sentir parlare di Poesia.
Quanta paura fa ancora, e forse la farà sempre di più, una riga scritta, rispetto ad una pietra scagliata!
La riga scritta incide nel profondo, non fa solo un bozzo come la pietra scagliata.
Il Pane e le Rose, sono inscindibili.
Mentre il moscone vola, sperando che impari anche qualcosa, due simpatici svedesi raccontano come sia importante nel loro Paese la letteratura working class.
Magnus, studioso di tradizione letteraria working class, ci dice che, all’inizio, la classe proletaria/operaia si esprimeva con gli inni e i canti.
È vero! Mi vengono alla mente i canti sentiti per tutta una vita nel mio paese, paese di profonda tradizione anarchica e comunista, dove riecheggiava ogni Primo Maggio, e collettivamente rilanciato al vento, “Figli dell’officina, o figli della terra..” uno degli inni anarchici, uscito dalla penna di Giuseppe Raffaelli professione cavatore, e di Giuseppe Del Freo professore di lettere, entrambi miei, con grandissimo orgoglio, compaesani.
Il simpatico fornaio svedese, Henrik Johansson, membro di un’associazione di scrittori working class che fanno capo alla rivista “Klass”, ci racconta di una ‘pioggia’ di pagnotte, avvenuta improvvisamente durante un turno di lavoro alla catena; e mi viene in mente una scena al rallentatore: pagnotte calde che cadono con tonfi sordi, una sopra l’altra, “tonf.. tonf.. tonf...” e rido. Rido e penso a quanto quella pioggia di pagnotte alla fine ci racconti, a come basti poco a far saltare il sistema della fabbrica; basta una scopa che s’incastri nell’ingranaggio di una catena di montaggio per mandare tutto all’aria; ma anche di come gli operai, anche quelli che si erano risentiti con l’involontario “sabotatore”, siano stati poi, alla fine, omertosi e solidali con lui, una volta chiamati a raccolta davanti al capo.
Mi auguro che in questo tempo così poco accogliente, così pieno di livore e violenza a tutti i livelli, le classi cosiddette subalterne tornino ad essere solidali come quegli operai fornai del racconto, unico modo per cambiare sul serio.
Il clima quest’anno è più consapevole, la lotta è ancora pericolosamente aperta, questi operai e operaie sono qui dopo 1000 giorni, ancora in piedi, nonostante tutti gli sgambetti incontrati, e noi tutti siamo qui per non farli cadere, loro sono il nostro esempio.
A concludere il suo intervento, Henrik ci allieta con una poesia, dal titolo “Ode al Culo”, che riceverà, in cambio, i sorrisi e gli applausi di tutti.
Mentre si mangia, ottoni e percussioni intonano canzoni di lotta, canzoni popolari, la gente si fa attorno e ascolta, batte le mani, balla.. sembra una festa, è una festa…
Ci penserà poi Dario dal palco a riportarci tutti con i piedi per terra.
Quando Dario parla, si sente la stanchezza, la sua e anche quella degli altri con lui, ma anche la sua e la loro determinazione che “ e non c’è resa, non c’è rassegnazione ”, nemmeno dopo 1000 giorni di assemblea permanente.
Il pubblico, tutti noi intoniamo l’inno della Fabbrica più volte, a voler far sentire che siamo tutti Fabbrica.
“La fabbrica è uscita dai suoi muri, e la società è diventata fabbrica”, un’immensa fabbrica, ma libera, solidale, positiva, integrata.
Gli incontri si susseguono, la gente aumenta, diventa una marea, fino al fondo del piazzale. Saremo più di duemila persone almeno, e continuano ad arrivare, ormai occupano ogni più piccolo spazio a disposizione. Il drone/moscone/spia ha il suo daffare oggi! Chissà se gli pagheranno gli straordinari. Io, fossi in lui, sarei preoccupata, visto come i “padroni” si stanno comportando con gli operai, non pagandoli da mesi, pur essendoci un contratto e diverse sentenze contro la prepotenza padronale. Ma si sa anche che i lecchini son sempre trattati meglio dei ribelli.
Dudley, in Inghilterra, doveva far veramente schifo alla regina Vittoria se, al passaggio del suo treno da quelle parti, lei abbassava le tendine dello scompartimento, per non vedere quella ‘terra nera’ che le portava, però, nonostante il suo schifo, tanto beneficio in termini di ricchezza.
Terra nera! Da noi, di solito, si dice “terra nera”, quando la terra è fertile, mentre in questo caso la terra era sì nera, ma sterile, a causa del carbone portato fuori dalle miniere.
Questa è la terra di Anthony Cartwright, sagace scrittore working class, dall’aspetto middle class, ma dal cuore e la penna proletari.
Durante questo incontro, sapientemente condotto da Federico Guglielmi, o Wu Ming 4, come preferite, abbiamo masticato un po’ di quegli anni Ottanta inglesi, in cui la Thatcher apriva la via a tutta una serie di sciagurate riforme antioperaie, poi subito copiate in ogni angolo nel mondo, casa nostra in primis, dove, a guidare il cosiddetto neoliberismo, si propose, ricorda Federico, una bella fetta dell’allora sinistra.. applausone!
Tra una citazione da Kung Fu Panda e qualche stralcio di lettura da “Come ho ucciso Margareth Thatcher”, il tempo vola.
Cinque minuti di sgranchimento-gambe, e l’ultimo panel della giornata ha inizio.
Di nuovo un turbinio di emozioni, a partire dalle lotte dei lavoratori dell’editoria, Grafica Veneta, al condividere l’amara constatazione che gran parte dei cosiddetti intellettuali italiani siano oggi silenti, come riferisce Massimo Carlotto. Vero! La stragrande maggioranza di loro resta oggi silente, mentre solo alcuni pochi soliti noti, Zerocalcare in prima linea, loro sì che parlano, disegnano, fanno film -Palazzina Laf di Michele Riondino- scrivono.
Ma bisogna andarseli giusto a cercare; e sicuramente oggi, qui in questo piazzale, ce n’è un nutrito esempio, c’è un’intera casa editrice, diversi scrittori, poeti, fotografi.. sarò troppo ottimista??
Per ultima, parla Francesca Coin. Avevo un ricordo forte del suo intervento, di quelli che lasciano il segno, nella passata edizione di questo Festival, ma devo riconoscere che anche oggi, a distanza di un anno, lei mi appare sempre più come un faro per il futuro; con le sue profonde riflessioni, arriva dritta al punto centrale del suo pensiero: il diritto di poter scegliere ognuno della propria vita.
Finiscono gli interventi e la classe operaia si rimette in marcia, si alza lo striscione “Insorgiamo”, si alzano le bandiere al vento, e la classe con la C (*) maiuscola riprende la strada, si riprende la piazza e la vita fuori.
La nostra Classe Dirigente è qui, a dimostrazione di come si può e si deve lottare contro i furfanti ladri di vite.
PIERA ELLI
inviata del Collettivo Autogestito "LE MALETESTE", 9 aprile 2024
(*) Classe Dirigente, così si definiscono quelli della Fabbrica
ALTRE CRONACHE DI PIERA ELLI PER GKN, QUI: