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MONDEGGI BENE COMUNE. Il nostro progetto C.A.S.A. in Palestina

LE MALETESTE

28 ott 2025

Gli attivisti di Mondeggi Bene Comune e Arvaia sono in Cisgiordania per il raccolto delle olive. I loro racconti e la storia del progetto. I DIARI QUOTIDIANI - MONDEGGI BENE COMUNE

Mondeggi Bene Comune

Diario dalla Palestina: C.A.S.A. 01


Gli attivisti di Mondeggi e Arvaia sono in Cisgiordania per il raccolto delle olive. Ecco il primo dei loro racconti.


"Siamo in Cisgiordania con il progetto C.A.S.A. - Comunità Agricola di Solidarietà Attiva.

Il gruppo di volontari di Mondeggi Bene Comune è in questo momento impegnato nella raccolta delle olive a fianco degli agricoltori palestinesi. Le attività prevedono sia un aiuto concreto nella raccolta, basato sulle competenze acquisite nel nostro fare comune a Mondeggi, sia compiti di interposizione in caso di vessazioni da parte dei coloni e dell'esercito israeliani.

Su queste pagine, seguiremo giorno per giorno la missione in solidarietà con la Palestina, contro l'occupazione illegale e l'ecocidio.

 

***


Mondeggi Bene Comune

Cos'è la Comunità Agricola di Solidarietà Attiva C.A.S.A.



Agro-ecologia e solidarietà internazionale, pratiche di azione diretta

Fare agricoltura agro-ecologica significa soprattutto attivare una pratica di resistenza e lotta che si traduce in un costante attivismo politico.

Non esiste agro-ecologia senza lotta dal basso, senza presenza, confronto, partecipazione. Incentivare l’accesso alla terra, promuovere lo scambio di saperi, di strumenti agricoli, favorire la produzione su piccola scala e garantire il libero accesso alla terra per l’avviamento di attività contadine sono alcuni dei principi base sui quali si fonda il nostro pensiero. Nel nostro mondo sono queste le battaglie, il nemico è l’agro-industria, le manipolazioni genetiche, i brevetti sulle sementi.

Fare il pane, prodursi il proprio olio diventano atti politici.

Mentre stiamo seminando il nostro grano, potando la vigna, l’ulivo, lavorando l’orto, sentiamo il valore di quello che stiamo facendo, ogni piccola azione che ci lega e ci connette alla cura del nostro territorio e alla rigenerazione della sua biodiversità in chiave ecologica.

Ma l’ecologia è soprattutto un modo di essere e di confrontarsi con altri/altre: per quanto ci riguarda troviamo una stretta connessione tra agire ecologico e non essere indifferenti a ciò che ci circonda. In un’epoca in cui chi strilla e urla si prende la scena politica, chi ha potere si prende la ragione, noi vogliamo agire, senza slogan o megafoni, ma rivendicando le nostre azioni e costruendo nuovo pensiero a partire da esse.

Non ci stiamo inventando nulla di nuovo: la pratica è l’azione diretta, il motore che la alimenta è la solidarietà, quella forma di empatia attiva che varca i confini dei nostri piccoli mondi e ci mette in connessione con altre realtà sorelle, con persone che sentono la necessità di unire le forze e mettere in pratica forme concrete di solidarietà attiva e mutuo aiuto.

I diritti sociali e umani sono collettivi, come collettiva e la responsabilità che ognuno di noi ha nell’esercitarli, trasmetterli e alle volte anche nel dare supporto per rivendicarli e difenderli.


Obiettivo generale

Come membri della comunità agricola di Mondeggi Bene Comune, da più di una anno stiamo intrattenendo rapporti con alcune delle comunità di resistenza contadina in Cisgiordania, West Bank, Territori Occupati Palestinesi.

In West Bank è sempre stato pericoloso essere una contadina o un pastore. Se vivi vicino a delle colonie israeliane, portare le pecore al pascolo o fare la raccolta delle olive può essere un problema.

L’obiettivo di questo progetto pilota è quello di creare un movimento di persone afferenti al mondo del lavoro agricolo, che volontariamente prestino la propria competenza per facilitare alcune operazioni in campo, in quei luoghi appunto dove il tempo di esecuzione materiale del lavoro fa la differenza tra portare a casa il prodotto e garantirsi un reddito, o essere costretti ad abbandonare tutto, cedere alle intimidazioni e lasciare la propria terra.

Una comunità agricola di supporto e solidarietà attiva che crea un ponte diretto tra contadini e contadine, una solidarietà che ha come presupposto di base l’uguaglianza tra persone facenti parte di una stessa classe.

L’eguaglianza reale non è dunque un dato o un presupposto, ma è il legame che unisce membri di organizzazioni e classi sociali che si incontrano e fanno del lavoro agricolo condiviso uno strumento di lotta all’oppressione e alla violenza dell’occupazione civile e militare israeliana.


Obiettivi specifici e organizzazione sul campo

Il progetto, in questa fase iniziale, si comporrà di una staffetta di sei/otto persone che si muoveranno per i territori palestinesi occupati (Cisgiordania) avendo come unico obiettivo quello del supporto del lavoro agricolo. Il periodo di riferimento è fine ottobre-inizi novembre, durante la raccolta delle olive.

Le zone di riferimento sono due e si trovano sotto quella denominazione che viene riconosciuta come Area C, ovvero a totale controllo militare israeliano e di insediamento civile da parte di coloni nazional-religiosi che rivendicano diritti sulle terre palestinesi.

Le famiglie palestinesi che vivono in queste aree della Palestina occupata sono costantemente soggette a violenze e intimidazioni da parte dei coloni e dell’esercito di occupazione israeliano, che hanno come unico obiettivo quello di scacciare le famiglie contadine dalle proprie terre per annetterle al territorio israeliano.

La presenza di internazionali diventa importante per vari ordini di ragioni.

La principale è che tale presenza riduce quella spirale di violenza e intimidazioni alle quali la popolazione locale è soggetta quotidianamente: lavorare fianco a fianco e interporsi in maniera nonviolenta durante un’azione sul campo diventa uno strumento molto potente se a compierlo è un intera comunità di persone composta anche da internazionali.

Un’altra è che avere delle persone provenienti da varie parti del mondo pone il riflettore su quello che può accadere; un costante monitoraggio supportato da telecamere e macchine fotografiche che registrano un attacco, un arresto, un blocco o una demolizione, diventa fondamentale per il reperimento di prove e materiali a supporto di eventuali denunce da parte della popolazione locale nei confronti delle autorità israeliane. Nei territori palestinesi occupati, un o una palestinese è colpevole fino a prova contraria; diventa quindi un supporto incredibile avere testimonianze e/o fatti documentati dell’evento in questione.

Il gruppo sosterrà due tipi di formazione: la prima in Italia, della durata di due giorni, per facilitare l’avvicinamento al contesto; la seconda, in loco, ad opera dei partner palestinesi. Una volta sul campo la prima tappa sarà un villaggio che abbiamo già identificato, dove con alcuni dei referenti del movimento di resistenza popolare nonviolenta palestinese decideremo come coordinarci con gli altri villaggi per il lavoro. Il villaggio stesso è in Area C e vicino a una delle colonie più attive e violente del territorio. La tappa successiva sarà nel nord dei territori palestinesi occupati, dove si svolgerà la maggior parte del lavoro agricolo di supporto alle famiglie. La sede principale del movimento è una cooperativa agricola che funziona da bacino di raccolta di volontari e volontarie e che funge da connettore per i vari villaggi attorno, che per via del loro isolamento e della prossimità a colonie estremiste sono tra i più vulnerabili.


Conclusioni

Esistono già realtà che operano nei territori palestinesi occupati e che da anni supportano le realtà locali con la propria presenza. Realtà che sono composte da volontari e volontarie da ogni parte del mondo e che prestano aiuto concreto.

L’innovazione della nostra proposta è, a nostro avviso, il canale diretto tra lavoratori e lavoratrici della terra, un legame che si sviluppa tramite il lavoro e che può essere fonte di scambio, conoscenza e arricchimento reciproco.

Questo gruppo di lavoro sarà l’inizio di un ciclo di viaggi concepito solo ed esclusivamente con l’obiettivo di supportare le realtà locali nel lavoro.

L’idea è di sviluppare con il tempo una rete che si attivi nelle fasi critiche del lavoro agricolo, dalla semina del grano, la costruzione di una recinzione, la messa a dimora di piante per l’orto, la potatura degli ulivi e alla raccolta, così da garantire un aiuto pratico nel contenere l’avanzata dell’occupazione delle terre palestinesi da parte dei coloni israeliani.


I DIARI


Diario di Lunedì 27 ottobre

 Cisgiordania


Oggi la nostra giornata è iniziata presto. Alle 7 prontə per uscire. Un pulmino (Servíce come lo chiamano in Palestina) ci raccoglie proprio di fronte casa per portarci verso la nostra destinazione, il villaggio di Madama adiacente il nostro. L’equipaggiamento per uscire prevede abbigliamento da lavoro, acqua, vestiti leggeri e lunghi per coprire braccia e gambe. Il passaporto con visto è rigorosamente sempre con noi, power bank (possibilmente due, il cellulare deve essere sempre carico).

 

Non siamo le uniche persone internazionali sul pullman, c’è un altro gruppo afferente a La Via Campesina insieme a Union of Agricultural Work Committees (UAWC), che coordina un altro gruppo di persone in maggioranza agricoltori e agricoltrici. Quindi partiamo in una ventina verso destinazioni diverse.

 

L’organizzazione in loco, responsabile del coordinamento delle fattorie che richiedono presenza internazionale, è la Land and Farming cooperative association- Burin, una associazione che si occupa di agroecologia e formazione. Hanno delle bellissime serre in una vallata proprio sotto l’avamposto di Yitzhar, una delle colonie più violente dell’ area.


“Il vostro progetto è l’unico della zona a non avere un’organizzazione preposta dietro le spalle”, sentenzia il responsabile di zona che ci guida. Effettivamente è così, nell’area siamo l’unico gruppo autorganizzato, ma soprattutto autofinanziato. La cosa lascia perplesso il nostro ospite, ma poco male, si va avanti.

La giornata scorre senza intoppi, lavoriamo sodo tuttə assieme.

 

La famiglia Nassar. padrona dell’oliveta, ci vizia con pane, olio, zatar, frutta tè e caffè. Facciamo due pause e si va dritti a finire l’oliveta. Siamo del mestiere, siamo nel nostro, condividiamo metodi e ci sappiamo adattare velocemente. Nel primo pomeriggio finiamo i terrazzamenti, si va a pranzo e poi chiacchere e condivisioni, sulle varietà di olivo piuttosto che sui tipi di telo da usare in un terreno così pietroso. Alcuni di loro sanno abbastanza bene inglese, il nostro arabo è sufficiente a colmare le lacune nel discorso. Noi eravamo prontə a riprendere il lavoro, quando uno dei signori presenti ci ferma per dirci che il lavoro è finito.

 

La famiglia comincia a ridere contenta, ancora un altro tè e poi una stretta di mano forte. Oggi abbiamo fatto, in un giorno, il lavoro che avrebbero dovuto fare in tre, lo abbiamo fatto in sicurezza e in socialità, con una piccola soddisfazione personale, garantendo un ritmo di lavoro da persone di campo quale siamo. Dopo il primo giorno, parte della nostra missione è già stata compiuta! Si ritorna alla casa-base per sistemare le cose.

 

A cena verrà il nostro contatto sul campo che ci preparerà per la missione di domani!

 

La famiglia Nassar ci ha fatto raccogliere nell’unico campo rimasto. Gli altri campi purtroppo sono stati presi con forza dai coloni dell’avamposto di fronte il villaggio. Sono campi che avevano anche le uniche sorgenti d’acqua che arrivavano al villaggio.

 

La loro casa di famiglia è adesso un educational-center che insegna ai bambini e alle bambine della zona. Alcuni giorni agricoltrici e agricoltori, altri giorni insegnanti di matematica, inglese, arabo… Insomma non si molla mai.



Diario di martedì 28 ottobre

Oggi abbiamo raccolto nella parte del villaggio di Madama vicino alla colonia.

La famiglia di Nafith Nassar (Abu Aref) ci accoglie felicissima e partiamo con la raccolta delle olive. Hanno gli agevolatori [gli scuotitori elettrici, detti anche “abbacchiatori”, per far cadere le olive dai rami, ndr], due per essere precisi, e teli nero/verdi molto spessi da trascinare, ma fondamentali dove il terreno è pietroso.


Facciamo la nostra giornata di raccolta e parliamo tanto della varietà degli ulivi e della loro resa. Ci racconta un po’ della faticosa vicinanza con la colonia di Yitzhar situata a monte delle loro case: negli anni sono stati costretti a barricare le loro abitazioni con recinti e inferriate su tutte le finestre, a causa dei continui attacchi. La natura di questi attacchi è varia. Vengono lanciati gas lacrimogeni dentro alle case, scagliati sassi contro chiunque – compresi donne, bambini e anziani – appiccati incendi agli uliveti.


È perfino capitato che coloni bambini scendessero al villaggio per derubare altri bambini, palestinesi, del cibo appena comprato.

“Ma cosa hanno fatto questi bambini? Sono solo bambini… ” Dice Abu Aref scioccato.Andiamo a vedere l’uliveta distrutta vicino alla colonia assieme ad un ragazzo che ci mostra i danni.

Torniamo giù dalla famiglia e ci congediamo.



Diario di Mercoledì 29 ottobre

Oggi è stata una giornata diversa dalle altre: non abbiamo raccolto le olive, il nostro contatto sul campo ci ha portatə in una delle roccaforti della resistenza palestinese, la città di Nablus che dopo Gerico è la città più antica della Palestina.


Nablus è una sicurezza. Ha una storia potente e tragica allo stesso tempo: attraversando la città vecchia si notano affissi alle mura foto dei morti (martiri) per la resistenza. Siamo accompagnatə da un uomo senza il quale non potremmo entrare in città vecchia, non si gira da solə, punto.


La città è un punto di riferimento per i villaggi circostanti, circondati da colonie. Quando l’esercito cerca di entrare in forza o l’attività dei coloni si fa più intensa, si mettono da parte tutte le divergenze interne per fare fronte unico e muoversi uniti contro l’occupazione israeliana.


Ci sediamo alla sede di un associazione interna che aiuta le famiglie dei detenuti politici, i nostri ospiti non hanno remore nel definire l’attuale governo una massa di corrotti burocrati al soldo di Israele. “Ci sono tre occupazioni in Palestina: quella israeliana, quella dello stato palestinese e del capitalismo” dicono e ” loro non vogliono occupare solo la nostra terra, ma anche la nostra mente. Per questo è importante non abbandonare le famiglie e i ragazzi dei prigionieri politici perché dobbiamo crescere le nostre figlie e figli con questa consapevolezza. Se vuoi reagire in maniera violenta o nonviolenta che sia, devi sapere sempre perché lo fai”.


Siamo sedutə ad ascoltare, il momento è intenso, ma purtroppo non possiamo trattenerci molto in città vecchia, dopo alcune domande ci allontaniamo. Poi arriva una notizia tosta. La cooperativa agricola di Burin dove dovevamo andare a lavorare nel pomeriggio è stata dichiarata ZONA MILITARE CHIUSA per 24 ore: l’esercito cerca gli internazionali che lavorano nelle fattoria, probabilmente per deportarli, così ci viene detto.


La settimana scorsa infatti era toccato a 32 internazionali, che dopo un’azione sul campo sono stati bloccati dall’esercito e deportati. La zona militare chiusa è uno strumento che l’esercito ha a disposizione per giustificare arresti e deportazioni in territori che reputa sensibili e a rischio.


Saliamo sul pulmino che ci riporta velocemente a casa, diretti, con la raccomandazione di non uscire assolutamente. Così abbiamo fatto. Domani violeremo l’ordine andando a raccogliere in un campo vicino a Burin, per cercare di finirlo il prima possibile!! È stato assoldato il progetto CASA per questa missione!!!Speriamo di portarla a termine…Per ora è tutto!!! A domani



Fonte: MONDEGGIBENECOMUNE.ORG



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