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MONDEGGI BENE COMUNE. Il nostro progetto C.A.S.A. in Palestina: costruire solidarietà attiva

LE MALETESTE

13 nov 2025

Gli attivisti di Mondeggi Bene Comune e Arvaia sono stati in Cisgiordania per il raccolto delle olive. I loro racconti e la storia del progetto, giorno per giorno. I DIARI QUOTIDIANI - MONDEGGI BENE COMUNE

Mondeggi Bene Comune

Diario dalla Palestina: C.A.S.A. 01


Gli attivisti di Mondeggi e Arvaia sono in Cisgiordania per il raccolto delle olive. Ecco il primo dei loro racconti.


27 ottobre 2025

"Siamo in Cisgiordania con il progetto C.A.S.A. - Comunità Agricola di Solidarietà Attiva.

Il gruppo di volontari di Mondeggi Bene Comune è in questo momento impegnato nella raccolta delle olive a fianco degli agricoltori palestinesi. Le attività prevedono sia un aiuto concreto nella raccolta, basato sulle competenze acquisite nel nostro fare comune a Mondeggi, sia compiti di interposizione in caso di vessazioni da parte dei coloni e dell'esercito israeliani.

Su queste pagine, seguiremo giorno per giorno la missione in solidarietà con la Palestina, contro l'occupazione illegale e l'ecocidio.

 

***


Mondeggi Bene Comune

Cos'è la Comunità Agricola di Solidarietà Attiva C.A.S.A.



Agro-ecologia e solidarietà internazionale, pratiche di azione diretta

Fare agricoltura agro-ecologica significa soprattutto attivare una pratica di resistenza e lotta che si traduce in un costante attivismo politico.

Non esiste agro-ecologia senza lotta dal basso, senza presenza, confronto, partecipazione. Incentivare l’accesso alla terra, promuovere lo scambio di saperi, di strumenti agricoli, favorire la produzione su piccola scala e garantire il libero accesso alla terra per l’avviamento di attività contadine sono alcuni dei principi base sui quali si fonda il nostro pensiero. Nel nostro mondo sono queste le battaglie, il nemico è l’agro-industria, le manipolazioni genetiche, i brevetti sulle sementi.

Fare il pane, prodursi il proprio olio diventano atti politici.

Mentre stiamo seminando il nostro grano, potando la vigna, l’ulivo, lavorando l’orto, sentiamo il valore di quello che stiamo facendo, ogni piccola azione che ci lega e ci connette alla cura del nostro territorio e alla rigenerazione della sua biodiversità in chiave ecologica.

Ma l’ecologia è soprattutto un modo di essere e di confrontarsi con altri/altre: per quanto ci riguarda troviamo una stretta connessione tra agire ecologico e non essere indifferenti a ciò che ci circonda. In un’epoca in cui chi strilla e urla si prende la scena politica, chi ha potere si prende la ragione, noi vogliamo agire, senza slogan o megafoni, ma rivendicando le nostre azioni e costruendo nuovo pensiero a partire da esse.

Non ci stiamo inventando nulla di nuovo: la pratica è l’azione diretta, il motore che la alimenta è la solidarietà, quella forma di empatia attiva che varca i confini dei nostri piccoli mondi e ci mette in connessione con altre realtà sorelle, con persone che sentono la necessità di unire le forze e mettere in pratica forme concrete di solidarietà attiva e mutuo aiuto.

I diritti sociali e umani sono collettivi, come collettiva e la responsabilità che ognuno di noi ha nell’esercitarli, trasmetterli e alle volte anche nel dare supporto per rivendicarli e difenderli.


Obiettivo generale

Come membri della comunità agricola di Mondeggi Bene Comune, da più di una anno stiamo intrattenendo rapporti con alcune delle comunità di resistenza contadina in Cisgiordania, West Bank, Territori Occupati Palestinesi.

In West Bank è sempre stato pericoloso essere una contadina o un pastore. Se vivi vicino a delle colonie israeliane, portare le pecore al pascolo o fare la raccolta delle olive può essere un problema.

L’obiettivo di questo progetto pilota è quello di creare un movimento di persone afferenti al mondo del lavoro agricolo, che volontariamente prestino la propria competenza per facilitare alcune operazioni in campo, in quei luoghi appunto dove il tempo di esecuzione materiale del lavoro fa la differenza tra portare a casa il prodotto e garantirsi un reddito, o essere costretti ad abbandonare tutto, cedere alle intimidazioni e lasciare la propria terra.

Una comunità agricola di supporto e solidarietà attiva che crea un ponte diretto tra contadini e contadine, una solidarietà che ha come presupposto di base l’uguaglianza tra persone facenti parte di una stessa classe.

L’eguaglianza reale non è dunque un dato o un presupposto, ma è il legame che unisce membri di organizzazioni e classi sociali che si incontrano e fanno del lavoro agricolo condiviso uno strumento di lotta all’oppressione e alla violenza dell’occupazione civile e militare israeliana.


Obiettivi specifici e organizzazione sul campo

Il progetto, in questa fase iniziale, si comporrà di una staffetta di sei/otto persone che si muoveranno per i territori palestinesi occupati (Cisgiordania) avendo come unico obiettivo quello del supporto del lavoro agricolo. Il periodo di riferimento è fine ottobre-inizi novembre, durante la raccolta delle olive.

Le zone di riferimento sono due e si trovano sotto quella denominazione che viene riconosciuta come Area C, ovvero a totale controllo militare israeliano e di insediamento civile da parte di coloni nazional-religiosi che rivendicano diritti sulle terre palestinesi.

Le famiglie palestinesi che vivono in queste aree della Palestina occupata sono costantemente soggette a violenze e intimidazioni da parte dei coloni e dell’esercito di occupazione israeliano, che hanno come unico obiettivo quello di scacciare le famiglie contadine dalle proprie terre per annetterle al territorio israeliano.

La presenza di internazionali diventa importante per vari ordini di ragioni.

La principale è che tale presenza riduce quella spirale di violenza e intimidazioni alle quali la popolazione locale è soggetta quotidianamente: lavorare fianco a fianco e interporsi in maniera nonviolenta durante un’azione sul campo diventa uno strumento molto potente se a compierlo è un intera comunità di persone composta anche da internazionali.

Un’altra è che avere delle persone provenienti da varie parti del mondo pone il riflettore su quello che può accadere; un costante monitoraggio supportato da telecamere e macchine fotografiche che registrano un attacco, un arresto, un blocco o una demolizione, diventa fondamentale per il reperimento di prove e materiali a supporto di eventuali denunce da parte della popolazione locale nei confronti delle autorità israeliane. Nei territori palestinesi occupati, un o una palestinese è colpevole fino a prova contraria; diventa quindi un supporto incredibile avere testimonianze e/o fatti documentati dell’evento in questione.

Il gruppo sosterrà due tipi di formazione: la prima in Italia, della durata di due giorni, per facilitare l’avvicinamento al contesto; la seconda, in loco, ad opera dei partner palestinesi. Una volta sul campo la prima tappa sarà un villaggio che abbiamo già identificato, dove con alcuni dei referenti del movimento di resistenza popolare nonviolenta palestinese decideremo come coordinarci con gli altri villaggi per il lavoro. Il villaggio stesso è in Area C e vicino a una delle colonie più attive e violente del territorio. La tappa successiva sarà nel nord dei territori palestinesi occupati, dove si svolgerà la maggior parte del lavoro agricolo di supporto alle famiglie. La sede principale del movimento è una cooperativa agricola che funziona da bacino di raccolta di volontari e volontarie e che funge da connettore per i vari villaggi attorno, che per via del loro isolamento e della prossimità a colonie estremiste sono tra i più vulnerabili.


Conclusioni

Esistono già realtà che operano nei territori palestinesi occupati e che da anni supportano le realtà locali con la propria presenza. Realtà che sono composte da volontari e volontarie da ogni parte del mondo e che prestano aiuto concreto.

L’innovazione della nostra proposta è, a nostro avviso, il canale diretto tra lavoratori e lavoratrici della terra, un legame che si sviluppa tramite il lavoro e che può essere fonte di scambio, conoscenza e arricchimento reciproco.

Questo gruppo di lavoro sarà l’inizio di un ciclo di viaggi concepito solo ed esclusivamente con l’obiettivo di supportare le realtà locali nel lavoro.

L’idea è di sviluppare con il tempo una rete che si attivi nelle fasi critiche del lavoro agricolo, dalla semina del grano, la costruzione di una recinzione, la messa a dimora di piante per l’orto, la potatura degli ulivi e alla raccolta, così da garantire un aiuto pratico nel contenere l’avanzata dell’occupazione delle terre palestinesi da parte dei coloni israeliani.


TUTTI I DIARI


Cisgiordania


Diario di Lunedì 27 ottobre

Oggi la nostra giornata è iniziata presto. Alle 7 prontə per uscire. Un pulmino (Servíce come lo chiamano in Palestina) ci raccoglie proprio di fronte casa per portarci verso la nostra destinazione, il villaggio di Madama adiacente il nostro. L’equipaggiamento per uscire prevede abbigliamento da lavoro, acqua, vestiti leggeri e lunghi per coprire braccia e gambe. Il passaporto con visto è rigorosamente sempre con noi, power bank (possibilmente due, il cellulare deve essere sempre carico).

 

Non siamo le uniche persone internazionali sul pullman, c’è un altro gruppo afferente a La Via Campesina insieme a Union of Agricultural Work Committees (UAWC), che coordina un altro gruppo di persone in maggioranza agricoltori e agricoltrici. Quindi partiamo in una ventina verso destinazioni diverse.

 

L’organizzazione in loco, responsabile del coordinamento delle fattorie che richiedono presenza internazionale, è la Land and Farming cooperative association- Burin, una associazione che si occupa di agroecologia e formazione. Hanno delle bellissime serre in una vallata proprio sotto l’avamposto di Yitzhar, una delle colonie più violente dell’ area.


“Il vostro progetto è l’unico della zona a non avere un’organizzazione preposta dietro le spalle”, sentenzia il responsabile di zona che ci guida. Effettivamente è così, nell’area siamo l’unico gruppo autorganizzato, ma soprattutto autofinanziato. La cosa lascia perplesso il nostro ospite, ma poco male, si va avanti.

La giornata scorre senza intoppi, lavoriamo sodo tuttə assieme.

 

La famiglia Nassar. padrona dell’oliveta, ci vizia con pane, olio, zatar, frutta tè e caffè. Facciamo due pause e si va dritti a finire l’oliveta. Siamo del mestiere, siamo nel nostro, condividiamo metodi e ci sappiamo adattare velocemente. Nel primo pomeriggio finiamo i terrazzamenti, si va a pranzo e poi chiacchere e condivisioni, sulle varietà di olivo piuttosto che sui tipi di telo da usare in un terreno così pietroso. Alcuni di loro sanno abbastanza bene inglese, il nostro arabo è sufficiente a colmare le lacune nel discorso. Noi eravamo prontə a riprendere il lavoro, quando uno dei signori presenti ci ferma per dirci che il lavoro è finito.

 

La famiglia comincia a ridere contenta, ancora un altro tè e poi una stretta di mano forte. Oggi abbiamo fatto, in un giorno, il lavoro che avrebbero dovuto fare in tre, lo abbiamo fatto in sicurezza e in socialità, con una piccola soddisfazione personale, garantendo un ritmo di lavoro da persone di campo quale siamo. Dopo il primo giorno, parte della nostra missione è già stata compiuta! Si ritorna alla casa-base per sistemare le cose.

 

A cena verrà il nostro contatto sul campo che ci preparerà per la missione di domani!

 

La famiglia Nassar ci ha fatto raccogliere nell’unico campo rimasto. Gli altri campi purtroppo sono stati presi con forza dai coloni dell’avamposto di fronte il villaggio. Sono campi che avevano anche le uniche sorgenti d’acqua che arrivavano al villaggio.

 

La loro casa di famiglia è adesso un educational-center che insegna ai bambini e alle bambine della zona. Alcuni giorni agricoltrici e agricoltori, altri giorni insegnanti di matematica, inglese, arabo… Insomma non si molla mai.



Diario di martedì 28 ottobre

Oggi abbiamo raccolto nella parte del villaggio di Madama vicino alla colonia.

La famiglia di Nafith Nassar (Abu Aref) ci accoglie felicissima e partiamo con la raccolta delle olive. Hanno gli agevolatori [gli scuotitori elettrici, detti anche “abbacchiatori”, per far cadere le olive dai rami, ndr], due per essere precisi, e teli nero/verdi molto spessi da trascinare, ma fondamentali dove il terreno è pietroso.


Facciamo la nostra giornata di raccolta e parliamo tanto della varietà degli ulivi e della loro resa. Ci racconta un po’ della faticosa vicinanza con la colonia di Yitzhar situata a monte delle loro case: negli anni sono stati costretti a barricare le loro abitazioni con recinti e inferriate su tutte le finestre, a causa dei continui attacchi. La natura di questi attacchi è varia. Vengono lanciati gas lacrimogeni dentro alle case, scagliati sassi contro chiunque – compresi donne, bambini e anziani – appiccati incendi agli uliveti.


È perfino capitato che coloni bambini scendessero al villaggio per derubare altri bambini, palestinesi, del cibo appena comprato.

“Ma cosa hanno fatto questi bambini? Sono solo bambini… ” Dice Abu Aref scioccato.Andiamo a vedere l’uliveta distrutta vicino alla colonia assieme ad un ragazzo che ci mostra i danni.

Torniamo giù dalla famiglia e ci congediamo.



Diario di Mercoledì 29 ottobre

Oggi è stata una giornata diversa dalle altre: non abbiamo raccolto le olive, il nostro contatto sul campo ci ha portatə in una delle roccaforti della resistenza palestinese, la città di Nablus che dopo Gerico è la città più antica della Palestina.


Nablus è una sicurezza. Ha una storia potente e tragica allo stesso tempo: attraversando la città vecchia si notano affissi alle mura foto dei morti (martiri) per la resistenza. Siamo accompagnatə da un uomo senza il quale non potremmo entrare in città vecchia, non si gira da solə, punto.


La città è un punto di riferimento per i villaggi circostanti, circondati da colonie. Quando l’esercito cerca di entrare in forza o l’attività dei coloni si fa più intensa, si mettono da parte tutte le divergenze interne per fare fronte unico e muoversi uniti contro l’occupazione israeliana.


Ci sediamo alla sede di un associazione interna che aiuta le famiglie dei detenuti politici, i nostri ospiti non hanno remore nel definire l’attuale governo una massa di corrotti burocrati al soldo di Israele. “Ci sono tre occupazioni in Palestina: quella israeliana, quella dello stato palestinese e del capitalismo” dicono e ” loro non vogliono occupare solo la nostra terra, ma anche la nostra mente. Per questo è importante non abbandonare le famiglie e i ragazzi dei prigionieri politici perché dobbiamo crescere le nostre figlie e figli con questa consapevolezza. Se vuoi reagire in maniera violenta o nonviolenta che sia, devi sapere sempre perché lo fai”.


Siamo sedutə ad ascoltare, il momento è intenso, ma purtroppo non possiamo trattenerci molto in città vecchia, dopo alcune domande ci allontaniamo. Poi arriva una notizia tosta. La cooperativa agricola di Burin dove dovevamo andare a lavorare nel pomeriggio è stata dichiarata ZONA MILITARE CHIUSA per 24 ore: l’esercito cerca gli internazionali che lavorano nelle fattoria, probabilmente per deportarli, così ci viene detto.


La settimana scorsa infatti era toccato a 32 internazionali, che dopo un’azione sul campo sono stati bloccati dall’esercito e deportati. La zona militare chiusa è uno strumento che l’esercito ha a disposizione per giustificare arresti e deportazioni in territori che reputa sensibili e a rischio.


Saliamo sul pulmino che ci riporta velocemente a casa, diretti, con la raccomandazione di non uscire assolutamente. Così abbiamo fatto. Domani violeremo l’ordine andando a raccogliere in un campo vicino a Burin, per cercare di finirlo il prima possibile!! È stato assoldato il progetto CASA per questa missione!!!Speriamo di portarla a termine…Per ora è tutto!!! A domani



Diario di Giovedì 30 ottobre

Oggi raccolta con la famiglia di un contadino di nome Abu Saleh. Nonostante la zona militare chiusa, ancora in corso, siamo riuscitə a finire quasi il campo, ma domani torniamo.

Abu Saleh di 85 anni e sua moglie Naddine di 80 hanno il loro campo di olive da una vita. Lui di Burin, lei scappata da bambina da Haifa durante il 48. Siamo statə la loro squadra personale per oggi, tuttə a loro disposizione.

Vi mandiamo una carrellata di foto, anche perché il sunto di oggi è ci siamo fattə un mazzo impressionante!

Per adesso i soldati pattugliano, e dobbiamo esser prontə. Ogni sera dobbiamo rifare lo zaino come se dovessimo partire domani. Scriviamo su un foglio il nome e l’indirizzo di dove spedirlo nel caso di detenzione/rimpatrio/deportazione.

Noi siamo felicissimə: ci aspettavamo di non riuscire a concludere nemmeno una raccolta e siamo già a tre quasi concluse. Quando le persone per cui prestiamo il nostro aiuto sanno che siamo contadinə si crea un dialogo fatto di gesti, sguardi, pause e risate.



Diario di Sabato 1 novembre

Oggi è stata una giornata molto impegnativa.

Partiamo la mattina con l’intervista al nostro coordinatore sul campo. Dura più o meno un’oretta! L’ultimo estratto ve lo abbiamo girato, parla di noi!Abbiamo ricostruito la storia della sua cooperativa (Land and farming cooperative Burin), il motivo della sua importanza sul territorio, come connettore tra diverse realtà agricole.

La cooperativa ha 20 persone assunte, 15 donne e 5 uomini, fanno ortaggi, formazione in agroecologia e aiutano le famiglie meno fortunate della zona regalando verdure.

Finiamo l’intervista e andiamo subito al campo di una delle ultime famiglie rimaste. Ci accolgono in una bellissima casa, molto grande, ci sentiamo infatti un po’ scomodi a lavorare, siamo più a nostro agio in mezzo al campo.

Appena iniziato, sentiamo degli spari, ci guardiamo attorno velocemente, posiamo gli abbacchiatori e ci affacciamo verso la collina dove si trova la colonia. La prima cosa che notiamo è una famiglia palestinese che scappa attraverso gli ulivi, rincorsa da dei coloni, due a terra e un altro sul quod. Dopo poco sopraggiunge l’esercito, parla con i coloni, la famiglia si mette in salvo attraversando di corsa la strada che porta alla colonia e scompare tra i campi adiacenti al villaggio.

La scena è durata una ventina di minuti.

In un attimo siamo tornati alla realtà.

La giornata non è stata più la stessa. Abbiamo finito il lavoro in metà tempo e abbiamo chiesto un incontro con il nostro coordinatore per capire se e come potevamo essere di aiuto. Questi palestinesi hanno scelto di non avere supporto internazionale, ci dice il coordinatore, hanno diritto alla loro resistenza, ed io devo rispettarlo, sottolinea.

Nel pomeriggio continuiamo a parlare con lui per provare a creare una connessione tra la sua visione di cooperativa, il lavoro sul campo ed il progetto CASA. Ci sorprendono positivamente molte similarità, quali anticapitalismo, lavoro di comunità, attivismo rurale, azione diretta e progettualità a lungo termine. Lui si mostra molto collaborativo e stiliamo una bozza progettuale comune da mettere in pratica dal 2026.Intanto sappiamo che ci ha aperto le porte e domani lavoreremo fianco a fianco con le operaie della cooperativa. Con le mani sulla terra progetteremo assieme i prossimi passi.

La giornata si conclude con la visita al frantoio collettivo di Burin, gestito da una simil cooperativa che baratta olio in cambio del servizio reso! Niente scambio monetario tra contadini e contadine!



Diario di Lunedì 3 novembre, mattino

Oggi è in programma un’azione collettiva di raccolta olive in una zona sensibile vicino Ramallah, sotto un nuovo avamposto di coloni. È un’ azione molto importante che prevede la presenza di diversi internazionali e contadinə per supportare la famiglia proprietaria delle terre. Tra le diverse squadre di raccolta hanno chiamato proprio noi, è ovviamente una grande gioia ma anche una grande responsabilità.

Ieri, con il nostro contatto, abbiamo svolto un training sui diversi possibili scenari: le azioni di campo, come disporci, cosa portare, cosa aspettarci e così via. In una sola settimana abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante: il nostro contatto si fida di noi e di come abbiamo lavorato. Dobbiamo essere veloci ed efficaci. Probabilmente non finiremo nemmeno la metà dell’uliveta, l’obiettivo non è quello. L’obiettivo è la presenza, il supporto ma soprattutto dare un messaggio chiaro: non hai nessun diritto di prendere la mia terra, e non siamo soli. L’avamposto non è l’unico in area e – cosa da non sottovalutare – i coloni sono tutti quasi nuovi, quindi molto motivati a prendersi quegli spazi.

Andrà tutto benissimo siamo tantə ed organizzatə. Stamattina, partenza alle 6 con la speranza di portare a casa più olive possibili!!!


Diario di Lunedì 3 novembre, sera

Buonasera gente. Breve diario della giornata di oggi.

Come già avete visto e letto oggi abbiamo avuto una raccolta abbastanza travagliata. Siamo stati al campo della famiglia di Abu Salim per cercare di aiutare il più possibile. Una nota positiva è che nonostante non avessimo agevolatori ma solo rastrelli siamo riusciti a raccogliere una ventina di sacchi pieni!

Eravamo diversə internazionali e per 4 ore abbiamo raccolto. Ci siamo interrottə per l’arrivo di un coglione in boccoli armato di M-16 che ha cominciato a fare telefonate e chiamare i suoi amichetti, poi l’esercito poi la polizia.


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Come sapete ci siamo dovutə ritirare.

Settimana prossima torneremo per una nuova azione per continuare il campo più alto e vicino alla colonia.

Domani partiremo per il villaggio di At-Tuwani, altra storia, altro scenario di cui ovviamente vi faremo partecipi.

Oggi la frustrazione è tanta, che dire, ammiriamo enormemente il coraggio la forza di questa gente che avanza sempre e non può mollare.

Ci spiace concludere così ma non abbiamo molte parole.

A domani e grazie di leggerci ci dà molto coraggio!!!

Grazie a tutti e tutte



Diario di mercoledì 5 novembre

Oggi siamo stati nel villaggio beduino di Um al Khair, dove a luglio è stato ucciso, da un colono israeliano estremista, l’attivista palestinese Awdah Hathaleen, che aveva partecipato al documentario premio Oscar "No Other Land".

Il villaggio è circondato da una colonia, ha un’ingiunzione di sgombero e sta per essere demolito.

Sono ormai rimaste poche baracche e un’uliveta dove bisogna al più presto fare il raccolto. Ci siamo coordinati con il comitato di resistenza popolare locale, i rappresentanti del villaggio e con altri internazionali. Venerdì cercheremo di raccogliere le olive mentre gli altri internazionali faranno da sentinella.

Stiamo passando la notte nel villaggio limitrofo di At-Tuba, alle porte del deserto del Negev. È abitato da famiglie beduine di pastori, che ormai non riescono a portare a pascolare i propri greggi letteralmente oltre le porte di casa perché sono circondati da insediamenti illegali di coloni e se si azzardano a superare dei confini non definiti, ma a tutti chiari, vengono attaccati e anche arrestati. Si sono spostati in questa valle nel 1967 e hanno scavato con le proprie mani la casa caverna che oggi ha accolto C.A.S.A.. Prima avevano anche le olive, ma ora le hanno completamente abbandonate perché troppo a ridosso delle occupazioni. Le considerano perse. Ultimamente le aggressioni sono portate avanti con una frequenza quasi quotidiana, per cui stiamo facendo a turno la sentinella perché, in caso di aggressione, possiamo dare l’allarme e filmare.



Diario di Giovedì 6 novembre

Stamani andiamo in un villaggio vicino e molto esposto a una colonia. Ci stiamo coordinando con Operazione Colomba affinché ci facciano da sentinelle.

Dopo la notte a At-Tuba – che ha previsto una staffetta di vedetta costante dal tramonto all’alba senza che per questa volta ci siano stati attacchi nella notte – siamo rientrati alla guest house per poi essere accompagnati in un villaggio limitrofo a sostenere una famiglia nella gestione di un campo di olivi. Ultimamente, i palestinesi non accettano facilmente il supporto di internazionali per paura di maggiori repressioni successive.

Questa famiglia ha bisogno di risistemare almeno quel campo perché non riesce ad irrigarlo regolarmente, dato che i coloni hanno tagliato i collegamenti all’acqua e le uniche opzioni possibili sono o l’acqua piovana o chiedere l’allaccio alla rete idrica israeliana. A pagamento.

Portiamo a termine il lavoro, interrotto solo per un breve momento in cui abbiamo dovuto capire come gestire coloni e polizia vicini. Salutiamo la famiglia e rientriamo.

Domani ci aspetta una raccolta congiunta con altre realtà nel villaggio di Um Al Khair per dare un messaggio chiaro di resistenza agli insediamenti illegali a pochissimi metri di distanza.

Hanno già dichiarato il community centre zona militare chiusa, ma non il campo degli ulivi.

E domani è venerdì. Si comincerà alle 9, ma dovremo capire anche come gestire la raccolta perché le famiglie non hanno né strumenti né materiali, dai rastrelli alle coperture. Qua, da At-Tuwani, sono disponibili a prestare utensili e teli, che dovranno bastare.

Il villaggio è ed è sempre stato un punto di riferimento per tutte le famiglie beduine dell’area del deserto del Negev. È luogo di estrema resistenza all’occupazione civile e militare israeliana. È rilevante ricordare che senza la proposta di CASA non sarebbe partita una rete di collaborazione e quest’anno il proprietario avrebbe fatto la scelta rischiosa di abbandonare l’oliveta. L’attenzione è molto alta proprio per l’ordine di demolizione del villaggio arrivato in queste ultime settimane. Come sempre, tra di noi ci sono speranza e tensione allo stesso tempo. Senza aggiungere altro, ci aggiorniamo.



Diario di Sabato 8 novembre

PhotoGallery



Diario di Domenica 9 novembre

Un paio di noi oggi hanno preso il loro volo di ritorno. Siamo alla fine di questa avventura.

Siamo in rimasti in quattro, e gli ultimi giorni li passeremo valle del Giordano, a Bardala, un piccolo paese al confine con Israele, in area C. In questo luogo abitano migliaia di palestinesi, di estrazione contadina e/o beduina che vivono queste terre sotto costante pressione.

Qua il problema non sono solo i coloni, ma anche e soprattutto l’acqua. La valle del Giordano anticamente era la parte più verde della Palestina, la parte con più sorgenti sotterraneo in assoluto. L’occupazione ha preso tutto. Le sorgenti sono circondate da gabbie di metallo e filo spinato, e l’acqua ai villaggi non la fanno arrivare nemmeno se pagano.

Israele sta annettendo questi luoghi in maniera silenziosa, i pastori vengono aggrediti, gli agricoltori vanno altrove. Solo un piccola comunità resiste, ha costruito anni fa un piccolo community center, oggi pernotteremo qua.

Abbiamo spiegato il nostro progetto, ovviamente interessa, ma come fare? È tutto in divenire. Dal costruire un azione collettiva sotto una colonia, seminando grano, alla piantumazione di olivi a marzo, in notturna. Abbiamo trovato contadini e contadine che parlano la nostra stessa lingua, la nostra storia narra di una lotta di liberazione da un’occupazione e si sente quando parliamo assieme a loro.

Abbiamo imparato tanto da queste persone. Non vediamo l’ora di fare crescere questo progetto.


Dopo aver scritto e averci mandato questo pezzo, in serata i nostri compagni sono stati chiamati per spostarsi in un’altra zona, in vista di un’altra azione di solidarietà contadina prevista per domani. I programmi quindi cambiano, ma la sostanza resta [ndr.]



Diario di Mercoledì 12 novembre

I nostri compagni di Mondeggi e Arvaia hanno ormai concluso la loro esperienza in Cisgiordania, dove hanno collaborato con gli agricoltori palestinesi nel raccolto delle olive, con l’intento non solo di proteggerli dalle aggressioni dei coloni sionisti e dell’esercito israeliano, ma anche di attivare uno scambio di saperi contadini.

Il miglior modo per chiudere questo diario di viaggio, di lavoro e di lotta è lasciare la parola a Tareq, beduino e pastore che si è reinventato contadino per “resistere all’occupazione”...



Trascrizione in italiano

Ciao, mi chiamo Tareq. Vengo dal villaggio di Um Al Khair. Stiamo raccogliendo le olive nel villaggio. Il villaggio di Um Al Khair non è riconosciuto dalle autorità israeliane nella zona delle colline meridionali. È uno degli oltre 30 villaggi che non hanno diritti. Questo significa che non abbiamo permessi per costruire. Ci è precluso qualsiasi tipo di servizio, la situazione è davvero molto difficile e soffriamo da molto tempo.

In origine eravamo rifugiati. Ci siamo trasferiti dalla nostra terra d’origine durante la Nakba. Siamo beduini. Siamo il ramo familiare degli Alhadalim, della tribù Alen. Siamo venuti qui. Mio nonno ha comprato questo terreno negli anni ’60 con suo cugino. Stavano a nord e ora siamo a sud. Entrambi sono venuti, hanno comprato il terreno qui e hanno iniziato a vivere. Nel 1980, come si vede dietro di me, è iniziato l’insediamento di Carmel. È iniziato con una piccola base militare, poi un avamposto e le roulotte per i coloni. In seguito, nel 1985, è stato legalizzato dalle autorità israeliane, hanno costruito case in cemento, espandendosi e questo è il quartiere più nuovo, il quartiere sud, il quartiere meridionale dell’insediamento.

La nostra vita sotto l’oppressione dei coloni e dell’occupazione è davvero difficile. Stiamo subendo le demolizioni di case perché non abbiamo avuto alcun permesso per costruire, anche se abbiamo fatte richiesta nel villaggio. Abbiamo subito più di 20 demolizioni. Più di 100 case sono state demolite dal 2007 a oggi. E ora siamo sotto una minaccia imminente di demolizioni. Potrebbe succedere domenica prossima, dato che abbiamo ricevuto l’ordine definitivo per la demolizione di 14 case del villaggio, il che significa che quasi un terzo della comunità verrà cancellato. Non è una novità. Non è la prima volta e non credo che sarà l’ultima.

Per specificare, ciò a cui mi riferisco non è la violenza dei coloni. Mi riferisco al fatto che i coloni hanno dichiarato guerra ai palestinesi in Cisgiordania. E dato che siamo comunità palestinesi vulnerabili nella cosiddetta area C, subiamo ondate di violenza estrema dei coloni, terrorismo dei coloni. Stiamo pagando un prezzo alto per questo, zio. Mio fratello, il mio ​​più che fratello, mio ​​cugino, il mio amico, il mio amico di una vita, sono perduti, uccisi a colpi d’arma da fuoco. Awdah Hathaleen è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco tre mesi fa dal terrorista colono Yinon Levy, all’interno del villaggio, addirittura all’interno del centro comunitario, l’arena.

Sulman è stato investito da un colono che lavorava per la polizia nel 2022. Sono passati tre anni, ma non c’è nulla di più difficile che perdere i propri cari. Questo è l’alto livello di terrorismo che stiamo affrontando qui in Cisgiordania. Abbiamo perso due persone care e siamo sotto la minaccia di perdere chiunque. Io stesso, che sto parlando con te, potrei essere preso di mira, colpito e ucciso dai coloni. Nessuna protezione per noi. Le nostre case sono state minacciate di demolizione e, come detto, la nostra terra è stata rubata più di 20 volte. Questa montagna, che fa parte della nostra terra, è progettata per ospitare altri 40 edifici per l’insediamento e se verrete in futuro vedrete 40 edifici perché c’è un piano approvato dal governo israeliano per espandere ulteriormente l’insediamento intorno a noi. E questa montagna è la terra che mio nonno ha comprato, abbiamo la documentazione per questo. Non è stato d’aiuto il sistema legale israeliano, pieno di ingiustizie. E cerchiamo quotidianamente di sopravvivere per vivere la vita che amiamo. Amiamo vivere in pace, con giustizia, con libertà, senza alcuna oppressione, senza alcuna violenza. Insistiamo su questo, come vedete i volti sorridenti dei bambini mentre raccolgono le olive nel villaggio, che fa parte della nostra vera natura di esseri umani. Insistiamo per vivere.

Le nostre origini sono beduine, abbiamo pascolato in tutta la zona. Ora abbiamo perso il 100 per cento delle nostre aree di pascolo e questo significa che abbiamo perso capre e pecore quasi del tutto. Il numero è diminuito drasticamente negli ultimi anni e ora stiamo cercando di trovare un modo diverso di vivere per adattarci alla situazione, cercare di conviverci, così iniziamo a piantare ulivi. Questi ulivi sono piuttosto vecchi, hanno più di 20 anni e ora ne stiamo aggiungendo altri per trovare diverse fonti di sostentamento.

Le persone che lavoravano in Israele, alcuni membri della comunità, hanno perso l’accesso ai loro luoghi di lavoro dal 7 ottobre. I coloni possono approfittarne. Hanno attaccato i palestinesi ovunque si trovino, non solo nell’area C, ovunque. La gente ha perso il lavoro. Abbiamo perso l’accesso a tutti i pascoli. E come ho detto, non ci resta alcuna possibilità se non quella di rimanere con ostinazione a vivere in questa terra. Crediamo nel nostro diritto a questa terra e non ce ne andremo in nessuna circostanza e in nessuna condizione; rimarremo qui, inshallah.



Fonte: MONDEGGIBENECOMUNE.ORG

Tutte le foto del diario, qui:

https://mondeggibenecomune.org/2025/10/27/diario-dalla-palestina-c-a-s-a-01/

https://mondeggibenecomune.org/2025/10/28/diario-dalla-palestina-c-a-s-a-02/

https://mondeggibenecomune.org/2025/10/29/diario-dalla-palestina-c-a-s-a-03/

https://mondeggibenecomune.org/2025/10/30/diario-dalla-palestina-c-a-s-a-04/

https://mondeggibenecomune.org/2025/11/01/diario-dalla-palestina-c-a-s-a-05/

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