
LE MALETESTE
12 ott 2025
A Grosseto siamo passati all'educazione militarizzata nell'ambito della nuova "Alternanza Scuola-Lavoro" (PCTO). Il ritorno della Leva nelle coscienze dei ragazzi e diffusione di valori delle Forze Armate nelle giovani generazioni + VIDEO
Alternanza scuola-lavoro (PCTO) all’aeroporto militare di Grosseto: educazione militarizzata
11 ottobre 2025
L’aeroporto “Baccarini” di Grosseto, sede del 4° stormo dell’Aeronautica militare, già dal 2003 è stato potenziato militarmente con l’arrivo degli Eurofighter, caccia intercettori dotati di sistemi per il bombardamento a bassa quota, con relativa scuola di addestramento per i piloti.
Per inciso, va fatto notare che gli Eurofighter sono incapaci di spegnere un incendio o di prestare un soccorso, ma sono capaci soltanto di seminare morte e distruzione in un raggio di oltre 3000 Km di distanza. Tutto ciò in palese contrasto con la vocazione ambientale della nostra terra: la Maremma, infatti, non può essere solamente un prodotto da offrire ai turisti, ma deve esserci anche l’opportunità per uno sviluppo sociale ed economico fondato su equilibrate relazioni tra le persone e l’ambiente.
L’individuazione dell’aeroporto grossetano come scuola di volo degli Eurofighter (aerei capaci di portare lontano fino ad otto tonnellate di bombe) e come uno dei nuovi centri nevralgici del sistema militare europeo fa invece della nostra terra un crocevia di ogni guerra (per non parlare dell’inquinamento, a cominciare da quello acustico, determinato dalla loro presenza).
Fatta questa doverosa premessa, non possiamo che manifestare fortissima contrarietà per il fatto che il Polo Tecnologico “Manetti-Porciatti” di Grosseto, con 19 studenti dell’ultimo anno, abbia partecipato ad un’esperienza immersiva all’interno della Base del 4° Stormo Caccia. Si tratta del PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), quello che prima veniva chiamato Alternanza Scuola Lavoro.
Non mancano le consuete motivazioni che tentano di nobilitare iniziative come questa in quanto occasione di esercizio dello spirito di appartenenza e del senso di responsabilità, o come opportunità di orientamento professionale. Perché, allora, non andare a fare pratica in un’azienda civile, in un laboratorio che produce macchinari avanzati adatti ad usi molteplici?
Perché non avrebbero lo stesso scopo intrinseco che invece rappresenta il vero obiettivo dell’operazione: l’inoculazione, dietro le seducenti prospettive di facile occupabilità e di gratificazione professionale ed economica, della cultura della difesa e della sicurezza, unicamente esercitabili attraverso la forza delle armi e la disciplina militare. In altre parole, stiamo assistendo ad una virata della strutturazione del modello sociale nella direzione di una sua versione militarista, ferma nel primario precetto dell’obbedienza, acritica nell’accettazione della disciplina, fedele al proprio Stato, fino al supremo sacrificio.
Sono proprio gli spazi sempre più ampi concessi all’intervento delle forze armate nei percorsi educativi e formativi dei nostri studenti che, nella cornice rassicurante delle scuole, contribuiscono a rendere familiari armi, strategie di combattimento, spirito di corpo contro un nemico in agguato.
Non si promuove, insomma, una cultura del “CON”, ma piuttosto quella del “CONTRO”, coltivando uno spirito competitivo che si oppone al concetto educativo della solidarietà, della comprensione, del rispetto e del confronto anche con chi è “altro” da noi.
Invitiamo, pertanto, il Polo Tecnologico “Manetti-Porciatti” di Grosseto e tutte le scuola maremmane a mettere in pratica la nuova Raccomandazione sull’educazione alla pace e ai diritti umani, alla comprensione internazionale, alla cooperazione, alle libertà fondamentali, alla cittadinanza globale e allo sviluppo sostenibile [1], approvata dall’UNESCO durante la sua 42ma Conferenza Generale nel 2023.
Questa Raccomandazione è diretta ai decisori politici, ai professionisti nei Ministeri, ai presidi e agli insegnanti. Ma, in una dinamica democratica e partecipativa, è altrettanto diretta agli scolari, agli studenti e alle organizzazioni della società civile, perché si facciano parte attiva del monitoraggio e della diffusione dei principi dell’Educazione alla pace.
Non riguarda pertanto solo le Istituzioni, ma tutti coloro che credono nel potere trasformativo dell’educazione per costruire società più giuste, inclusive, democratiche e sostenibili, che abbiano a cuore l’obiettivo della cittadinanza globale per la costruzione e il mantenimento della pace.
La questione, se vogliamo, riverbera anche riflessi a livello individuale, innescando la logica del più forte, della ridicolizzazione del debole, associando quest’ultimo ad un’idea di codardia, di inutilità. E sappiamo bene quanto sia rischiosa, in questo senso, la fragilità di tanti nostri ragazzi. È stato dimostrato, infatti, che gli interventi di educazione alla pace nelle scuole determinano un miglioramento degli atteggiamenti e della cooperazione tra gli alunni e una diminuzione della violenza e dei tassi di abbandono scolastico.
[1] https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000386924
Osservatorio contro la militarizzazione delle Scuole e delle Università, Grosseto
Fonte: https://osservatorionomilscuola.com/2025/10/11/alternanza-scuola-lavoro-pcto-aeroporto-militare-grosseto-educazione-militarizzata/ - 11 ottobre 2025

Militarizzare la scuola: il ritorno della leva nelle coscienze dei ragazzi e l’ingannevole proposta dei valori delle Forze Armate
di redazione
10/10/2025
Negli ultimi mesi, mentre in Europa si discute apertamente di riarmo e nuove strategie belliche, in Italia si moltiplicano le iniziative che legano sempre più strettamente il mondo della scuola a quello militare. Da Palermo a Pisa, caserme e istituti superiori siglano protocolli d’intesa che prevedono visite guidate, giornate di “educazione civico-militare”, simulazioni di emergenza con personale in divisa, fino alla presenza stabile di ufficiali in aula.
Si tratta di un fenomeno che sta passando sotto traccia ma che, osservato con attenzione, rivela un chiaro tentativo di “normalizzare” la cultura della guerra tra i giovani, attraverso un linguaggio apparentemente neutro: quello della sicurezza, della difesa civile, della disciplina.
A Palermo, per esempio, il Comando Militare Esercito “Sicilia” ha firmato un accordo con l’Ufficio scolastico regionale per la realizzazione di percorsi di “educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva”, in cui però la divisa militare assume un ruolo di protagonista. A Pisa, il progetto “Caserme aperte” consente alle scuole di visitare le strutture militari e assistere a dimostrazioni operative dell’esercito.
Dietro la facciata educativa, tuttavia, emergono segnali preoccupanti: la trasformazione della scuola in un luogo di propaganda “patriottica” che ripropone un immaginario bellico in netto contrasto con i principi della Costituzione. E mentre le armi tornano a occupare gli schermi e i libri di testo, lo Stato sembra voler rimettere in circolo anche simbolicamente il fantasma della leva obbligatoria.
Non è un caso che, proprio in queste settimane, dopo anni di silenzio, siano state pubblicate le liste di leva del 2008, rimaste finora inaccessibili. Una mossa burocraticamente inspiegabile ma dal forte valore simbolico, che molti osservatori leggono come un segnale politico: la riattivazione, almeno ideale, di un meccanismo di arruolamento collettivo, in un contesto in cui la guerra torna a essere narrata come dovere, e non come tragedia.
Il messaggio che passa ai giovani è ambiguo: si parla di “formazione al servizio della comunità”, ma il modello resta quello militare. Si enfatizza la “prontezza”, la “resilienza”, la “difesa del territorio”, termini che nel linguaggio di oggi — dominato dalle retoriche della sicurezza e del nemico esterno — suonano sempre più come una chiamata alle armi culturale e psicologica.
Eppure, in un Paese che ha conosciuto l’obiezione di coscienza e che ha fatto della pace un principio costituzionale, l’educazione dovrebbe seguire un’altra direzione: quella del disarmo interiore e del dialogo tra i popoli. Ma finché la guerra verrà raccontata come mestiere, e la divisa come ideale di cittadinanza, sarà difficile pensare che la scuola resti davvero un luogo di libertà e di pensiero critico.
La ingannevole solidarietà delle caserme
Per anni il Comune di Pisa ha organizzato per le scuole pisane una “Giornata della Solidarietà” che in realtà era una “Giornata in Caserma”, dato che le attività si svolgevano all’interno del Capar, centro di addestramento paracadutisti e sede della Brigata Paracadutisti Folgore.
Il rapporto direttamente proporzionale tra incremento delle spese militari e impoverimento della scuola e dell’istruzione è evidente e netto. Sarebbe davvero necessario, promuovendo e favorendo un contesto di disarmo generalizzato, convertire le caserme in luoghi di cultura, in ambiti di dialogo interculturale, interreligioso e di educazione alla pace e alla gestione dei conflitti.
Il militarismo e la propensione alla guerra sono un aspetto del maschilismo più truce. Gli uomini, muovendosi guerra, violentano Madre Terra, l’umanità e l’ambiente. Il militarismo sconsacra l’ideale di donna e ripudia il rispetto del femminile, ossia il lato femmineo di ogni individuo e persona, che è implicito in tutto il genere umano e nel regno animale e vegetale.
La valorizzazione di genere, la considerazione della donna e del femminile, il dialogo tra generi e generazioni, come punto di riferimento per la trasmissione della memoria storica e dei valori della Pace, a partire dall’istituzione scolastica, sono strumenti ed istanze imprescindibili dei veri processi di Pace, contro l’obbedienza agli ordini, all’uniformità, al culto della forza tipici delle organizzazioni militari.
La caserma viene propinata agli studenti con la seduzione di una giornata di festa, di avventura, di gioco, di evasione e i militari vengono presentati come eroi e promotori di alti ideali di pace e solidarietà. Invece, in realtà, la guerra è mercenaria.
La giornata di solidarietà con gli eroi militari morti nelle cosiddette “missioni di pace” è una retorica militarista molto pericolosa, per cui la guerra viene presentata e trasmessa in maniera fittizia ed edulcorata. Questo pretesto ha un effetto pericoloso anche sulla psicologia infantile.
La guerra ingenera sempre violenza, lutti, morte, dolore, miseria materiale, etica e morale. Per questo motivo, le nuove generazioni devono essere educate a valori veri di democrazia, di rispetto dell’altro, di dialogo tra culture e fedi, aborrendo ogni forma di prevaricazione, di violenza, di sopraffazione e odio tra genti, popoli, minoranze, persone.
La pace non è un’utopia: possiamo vivere in un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte al dialogo, alla gestione nonviolenta dei conflitti, al cambiamento, al progresso costruttivo, nel rispetto delle culture altre e delle differenze di genere e intergenerazionali.
Afferma Federico Giusti dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università: “La militarizzazione delle scuole e dell’università ha ormai origini lontane da quando, una quindicina di anni fa registravamo le prime presenze, in varie vesti, di militari nelle scuole.
Abbiamo avuto percezione del problema con qualche anno di ritardo eppure il fenomeno militarizzazione interessa tutta la scuola, da quella dell’infanzia a quella secondaria di secondo grado, fino ormai all’università dove il settore della ricerca, anche su indicazioni Ue, si sta muovendo nella ricerca di tecnologie duali o equiparando ad antisemitismo le iniziative di boicottaggio di Israele e di contrasto al genocidio del popolo palestinese. Sono stati firmati protocolli a livello nazionale, il primo è del 2014 e locale, accordi quadro tra i ministeri dell’Istruzione e della Difesa. In taluni casi hanno coinvolto anche il ministero del Lavoro attraverso i percorsi di alternanza scuola-lavoro, oggi PCTO, con la presenza degli studenti in basi e infrastrutture militari o all’interno delle principali aziende del comparto militare-industriale”.
La strategia è ben chiara: affermare la cultura della difesa e della sicurezza, un concetto presente da tempo in tutti i documenti strategici delle forze armate o dei Governi nella Ue. Si cerca inoltre di conquistare il consenso delle nuove generazioni su un modello di forze armate che intervengono a 360 gradi: sia all’estero, nelle varie missioni internazionali, sia all’interno, in sfere una volta non di loro competenza, oppure, sulle ceneri dello stato sociale, si presentano all’occorrenza come artefici della protezione civile, protagonisti dell’educazione civica, stradale, della lotta al cyberbullismo o insegnanti di educazione fisica.
Siamo davanti, ormai da anni, a una svolta che vuole presentare il settore militare non solo come protagonista della nostra società ma anche alfiere di progetti sociali che oggi lo Stato non realizza avendo impoverito il welfare, ossia lo stato sociale e i servizi alla persona, proprio per indirizzare crescenti risorse al settore militare.
Fonte: farodiroma.it - 10 ottobre 2025
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