Da tre anni un'allevatrice della Ciociaria più profonda, quella che confina con l'Abruzzo, subisce intimidazioni. L'ultima è stata tremenda: le hanno avvelenato il fido Giulio, il cane che per undici anni l'ha accompagnata nei pascoli a guardia della mandria di settanta mucche allo stato semibrado e del gregge di 200 capi, tra ovini e caprini.
“Hanno superato il segno – dice –. Hanno ucciso il mio cane, ma adesso dovranno uccidere me per non farmi parlare. Voglio giustizia. Voglio che qualcuno venga, finalmente, a vedere cosa sta succedendo qui”. Qui, dove vive Assunta Valente, è un luogo di suggestiva bellezza. Si trova sulla montagna che sovrasta il lago di Cardito: un invaso artificiale a quasi mille metri di altezza dentro il Parco nazionale d'Abruzzo tra Lazio e Molise.
Negli ultimi anni molti terreni quassù sono passati di mano, acquistati o trascritti per possesso da persone che, in realtà, non esercitano la pastorizia. "Mi sono trovata con molti appezzamenti in meno, nonostante li avessi presi in locazione con regolare accordo – prosegue Assunta – Mi sono arrivati avvisi legali con cui mi si diceva che non ci dovevo mettere più piede. Se hai una mandria di 70 mucche e ti ritrovi con meno terra, difficilmente puoi portare avanti l'azienda. A un certo punto, ho saputo che volevano costringermi a lasciare. Ma non mi arrendo, sono tenace e lo sanno tutti". Così i "dispetti " sono aumentati di mese in mese: sono morti otto dei suoi cani, che l'aiutavano a tenere a bada il gregge. Poi è toccato a 25 mucche, altre sono sparite. La scorsa estate qualcuno ha tagliato il budello di gomma che approvvigionava la vasca dell'acqua potabile per abbeverare le vacche e sono state divelte alcune recinzioni. Ogni mattina una sorpresa.
Essendo una donna si è beccata pure tutto il rosario di pettegolezzo e denigrazione che spesso accompagna le imprese femminili. Le hanno detto che è esaurita, depressa, anzi pazza, che si inventa tutto e che in realtà non sa badare ai suoi animali perché, in fondo, quello non è un mestiere per femmine.
“È come se mi avessero fatto un cerchio attorno. Sono segnata. Chiedo che qualcuno venga a vedere che fine hanno fatto i terreni di pascolo, chi li ha acquisiti e in che modo. Ci sono documenti per chi vuole scavare e capire”.
L'intero comprensorio in cui opera Assunta Valente è sotto la competenza del Parco che aiuta e risarcisce gli allevatori nel caso in cui subiscono danni dalla fauna selvatica, ossia lupi, orsi, cinghiali. Tutto il resto è affidato alla libertà di impresa, incluso l'accaparramento selvaggio di terreni da pascolo. La densità demografica del comprensorio è bassissima, un'area praticamente spopolata dall'inizio del '900 e ancor più dopo la seconda guerra mondiale. Contadini e pastori di qui sono emigrati in Francia, interi paesi si sono svuotati e hanno rifondato borghi tali e quali nella Francia centrale, in Belgio, in Irlanda, in Canada. Tornano in vacanza ogni estate, ma ma nessuno va a controllare che fine abbia fatto il terreno di famiglia. Molti di questi appezzamenti sono passati di mano per azione possessoria e adesso, grazie ai fondi Ue, valgono oro.
“Sono pronta a combattere più di prima – dice Assunta – non mi manderanno via dalla mia terra, dalle mie radici. Io faccio da sempre questo lavoro e solo questo so e voglio fare. Non mi lascerò intimidire né consentirò che mi sia dato della pazza. Chiedo però che qualcuno venga fin quassù a spulciare tra le carte, a verificare i cambi repentini di proprietà, i nuovi latifondi. Chiedo di essere ascoltata e non abbasserò la testa”.
Assunta non ha nessuna tutela. Sta in montagna, ostaggio da quasi due anni di un mondo miserabile di subcultura e sopraffazione, per il quale anche e forse soprattutto l’essere donna a difendere i propri diritti non è tollerabile e va scardinato con ogni mezzo. Per questo è urgente far arrivare ad Assunta solidarietà, fare luce sulla sua vicenda, far conoscere i fatti, non lasciarla sola.
In occasione del III Forum Nazionale 2021 dell’Agroecologia Circolare di Roma, Assunta Valente è stata premiata da Legambiente come Ambasciatrice del Territorio.
La storia di Assunta, antecedente a questi casi fin qui denunciati, è una delle tante che Anna Kauber aveva raccolto in giro per l'Italia, tra il 2015 e il 2017, dalle Alpi all'Aspromonte e isole comprese, alla ricerca delle pastore e delle loro condizioni di vita e di lavoro.
La raccolta è diventata poi un docu-film dal titolo "In questo mondo" (2018) che è stato pluripremiato in diversi contesti di Festival del documentario d'arte in tutto il mondo.
"Durante il mio itinerario solitario ho intervistato più di cento pastore. La loro età varia tra i 20 e i 102 anni.
Ho condiviso l’esperienza vissuta con ognuna di loro per almeno 3 giorni e con ognuna di loro ho instaurato subito una forte relazione di sorellanza, uno scambio profondo e spesso intimo. Per trasmettere la profondità e l’empatia delle relazioni umane che si sono sviluppate, il film si esprime con un linguaggio narrativo che definirei
«femminile. »
Il linguaggio infatti non è mai assertivo o autoreferenziale, ma sempre tipicamente conversazionale, ricco dell’essenzialità espressiva delle donne che, da entrambi i lati della macchina fotografica, stavano vivendo un’esperienza sincera, importante, intensa e soprattutto gioiosa.
Il film è il risultato di una selezione rigorosa (spesso dolorosa), composta da varie parti narrative uniche e originali che insieme «formano» la narrazione corale delle pastore italiane."
Solidarietà alla pastora Assunta Valente, in lotta contro gli accaparratori di pascoli!
CASA DELLE DONNE DI MILANO
NOTA
Quante sono le donne dedite alla pastorizia in Italia? Non lo sappiamo di preciso perché una mappatura puntuale non esiste, ci spiega Anna Kauber che, prima di essere la regista del film “In questo mondo” che ha Assunta tra le protagoniste, si è formata come paesaggista e specializzata in paesaggio agrario. “In passato la presenza femminile nella pastorizia era concentrata soprattutto al nord, via via e fino ad oggi invece è andato aumentando sempre più il numero di donne titolari di aziende zootecniche al centro e anche al sud e sulle isole. Le donne progettano e ottengono un’autonomia economica con questo lavoro, che quindi è scelta di vita e opportunità lavoro. Capiscono sempre più che è una via possibile. Questo crea la sostenibilità economica (ovviamente il paradigma non è quello delle città e del consumismo) per se stesse a anche per la famiglia. Poi lo sguardo femminile – aggiunge Kauber - ha saputo interpretare questo ritorno alla pastorizia soprattutto nell’accezione della cura e del benessere animale, la donna è portatrice di questa consapevolezza di rispetto verso le creature”. Inoltre, la presenza femminile in questo settore può avere un ruolo specifico di ripopolamento della montagna secondo Kauber: “Se è la donna a scegliere di fare la pastora e vivere in montagna, spesso in montagna costruisce la famiglia, genera figli, quindi poi chiederà servizi, infrastrutture possibili: così man mano si ricreano gli insediamenti montani”.
Scritti tratti da: Elisabetta Proietti (Redattore Sociale) e Graziella Di Mambro (La Via Libera) - 2021
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