<< Gli attori bianchi venivano truccati con turaccioli, cera e altri materiali per interpretare gli schiavi della piantagione e gli schiavi liberati. Ma non era mai la vera vita di un nero quello che veniva portata in scena, soltanto una sua caricatura disumanizzante. I minstrel shows [da cui questa pratica proviene] erano un catalogo di luoghi comuni in base ai quali il nero e la nera erano tonti, pigri, sempre eccessivamente devoti ai bianchi, canterini e senza spina dorsale. Il nero era una oggetto, non una persona. E se sei un oggetto, chi si considera superiore a te può anche distruggerti. >>
<< Pensiamo solo alla figura della Mummy, che poi sarà usata anche dal cinema, in spettacoli: una donna strabordante, impacciata, vestita sempre male, asessuata, che in testa ha solo la famiglia del padrone e mai la sua. Una domestica, ma che fa parte della famiglia bianca come può farne parte un cane devoto. Nella realtà delle piantagioni, le schiave venivano usate come “cose” che servivano al padrone o ai suoi figli quando avevano bisogni carnali. Il racconto divertente della innocua e asessuata Mammy, una dei primi personaggi in blackface, nascondeva di fatto lo stupro della donna nera. >>
(IGIABA SCEGO, scrittrice)
<< La pratica del "Blackface" consiste nel tingere la faccia di nero a qualcuno che nero non è. Significa indossare il colore dell'altro per ridicolizzarlo: pelle troppo scura, labbra esagerate, modi di parlare caricaturali.
In generale il Blackface – dagli Stati Uniti all’Italia coloniale - è servito a rafforzare gli stereotipi disumanizzanti sui neri. Ecco perché veder “indossato” il nostro colore ci fa così male, come ci fa male minimizzare la portata razzista di questa pratica. >>
(Esther Elisha, attrice)
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