Le donne furono maggiormente vittime del manicomio, di una istituzione nata con la finalità di custodire, separare e nascondere i soggetti più poveri, socialmente più deboli, senza cultura e senza prospettive, che erano giudicati pericolosi per sé ma soprattutto per la morale e l’ideologia della cultura dominante.
Le donne in particolare, se non accettavano i modelli imposti dalla cultura maschile che le voleva sottomesse, ubbidienti, madri e mogli devote, escluse dalla cultura e dal patrimonio familiare, disposte ad accettare violenze dentro e fuori dalle famiglie, venivano ricoverate nei manicomi e lì restavano spesso fino alla morte, poiché gli strumenti messi in atto per la cura e la guarigione erano scarsi e aleatori.
Anche nei manicomi erano oggetto di vessazioni, controllo di ogni forma di autonomia, negazione di rapporti umani con l’esterno, spogliazione di identità, spesso vittime di costrizioni fisiche e violenze.
Le donne nei manicomi del "Duce".
All’istituzione psichiatrica fu consegnata, dall’ideologia e dalla pratica «clinica» del fascismo, la «malacarne» costituita da coloro che non riuscivano a fondersi nelle prerogative dello Stato. Su queste presunte anomalie della femminilità, il dispositivo disciplinare applicò la terapia della reclusione, con la pretesa di liberarle da tutte quelle condotte che configgevano con le rigide regole della comunità di allora.
La possibilità di avvalersi del manicomio al fine di medicalizzare e diagnosticare in tempo «gli errori della fabbrica umana» non fece che trasformare l’assistenza psichiatrica in un capitolo ulteriore della politica sanitaria del regime, orientata alla difesa della razza e alla realizzazione di obiettivi di politica demografica, attraverso l’eliminazione dalla società dei «mediocri della salute», dei «mediocri del pensiero» e dei «mediocri della sfera morale».
Fu così che finirono in manicomio non solo le donne che si erano allontanate dalla norma, ma anche le più deboli e indifese: bambine moralmente abbandonate, ragazze vittime di violenza carnale, mogli e madri travolte dalla guerra e incapaci di superare gli smarrimenti prodotti da quell’evento traumatico.
Diciamo che nel carnaio del manicomio furono internate varie tipologie di donne devianti. La categoria principale è quella delle cosiddette madri snaturate, ovvero coloro che non hanno saputo assolvere a quel ruolo materno su cui la propaganda martellava, perché, già a partire dal discorso dell'ascensione del 1925, Mussolini aveva affermato che l'unico ruolo della brava donna fascista era quello della madre. E in manicomio finiscono tutte quelle donne che non sono riuscite ad andare fino in fondo a quel ruolo.
Da quali ceti sociali provenivano queste donne, e in che modo si stabiliva che non assolvessero ai propri compiti?
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