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Immagine del redattoreLE MALETESTE

Sardo, anarchico, randagio: Sergio Atzeni (+ video).




Qui la storia comincia con un solitario che si definiva «sardo, anarchico, randagio», si chiamava Sergio Atzeni, scrisse mezzo migliaio di pagine in tutto, separò la memoria dal folklore, e tra l' appartenenza e la solitudine scelse il mare. Lo attraversò a metà degli Anni Ottanta per diventare emigrante. Ne raccontò la profondità - che unisce e che separa i mondi, le lingue, le storie - per diventare scrittore. E dal mare, quello di Carloforte, in un pomeriggio di libeccio e di correnti fredde si lasciò tradire. Annegò. Era il 6 settembre 1995, Sergio Atzeni aveva appena compiuto 43 anni.

La sua cometa è fatta di molti viaggi (pizzaiolo in Germania, contadino nel Polesine, traduttore a Torino) e di pochi libri: quattro romanzi, una raccolta di racconti, una manciata di poesie e un capolavoro. Il capolavoro si chiama Bellas Mariposas (Sellerio, 1996), notte estiva raccontata da una ragazzina di lingua meticcia e vitalità elettrica dentro alle rovine (di mattoni, cuori, sogni) della periferia cagliaritana. Libro che Ernesto Ferrero, editor e scrittore, definisce «una vera e propria partitura musicale. Uno dei più bei racconti del Novecento italiano».

Atzeni nasce a Capoterra, anno 1952, madre ostetrica, padre funzionario del Pci. Cresce e studia a Cagliari circondato dalla politica, dal salmastro e dal jazz delle cantine. Vuol fare il giornalista, ma si impiega all' Enel. Matrimonio, una figlia. Legge fiabe sarde e narratori americani. . Dopo il fallimento del matrimonio, il primo libro è la sua boa. Racconta Goffredo Fofi: «Lo incontrai una mattina a Cagliari, aveva una grande irrequietezza. Mi impressionò il suo attaccamento alla Sardegna e la sua voglia di andarsene».

Lui scrive: «Io credo che la Sardegna vada raccontata tutta (~) Raccontare anche Cagliari, anche Guspini, Arbus, Carbonia: se avrò vita cercherò di raccontare tutti i paesi, uno per uno, e tutte le persone, una per una. (~) Tutto merita di essere narrato».

Fino a quel settembre del '95, scogliera Le Conche, lui seduto in mezzo alla schiuma, senza appigli: «Ho visto l' onda che lo ha trascinato via - racconta Paola Mazzarelli - . C' era parecchia gente sugli scogli, nessuno è riuscito a raggiungerlo. Io gridavo, piangevo. L' ho visto affiorare tante volte, poi non più».




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