
Cinquanta anni fa, nel 1975, una macchina Fiat 127 costava 920.000 lire, ed era la macchina della media famiglia italiana per eccellenza.
In quell’anno, lo stipendio medio era di 200mila lire al mese; quindi quest’auto costava circa 5 mesi di stipendio di un operaio normale. Oggi lo stipendio medio è di circa 1.200/1.300 euro al mese, e una Panda costa più di 10mila euro.
Esattamente due anni prima, nel 1973, era cominciato a crescere il debito pubblico – parola a quel tempo sconosciuta- si disse a causa della crisi petrolifera innescata dalla guerra arabo-israeliana del Kippur, che ci portò alle domeniche a piedi, alle chiusure anticipate dei negozi (e dei telegiornali) e a conoscere una parola inglese: l’austerity.
Tornando alla 127 del 1975 bisogna ricordare che quello è un anno caratterizzato da un forte aumento dell’inflazione, la cui impennata va datata alla fine del 1973.
Guglielmo Tagliacarne nella relazione annuale della Banca d’Italia elenca i seguenti aumenti causati dall’inflazione:
Alimentazione + 22,8 per cento,
Abbigliamento + 19, 5,
Elettricità e combustibili + 62,
Abitazione +4,8
Beni servizi + 30 per cento.
Ma la sua lunga analisi si con conclude così: “Le retribuzioni minime contrattuali sono aumentate fra il 1973 e il 1974 almeno nelle stesse proporzioni o leggermente in più dell’incremento del costo della vita.”. Effetto della scala mobile e delle trattative contrattuali portate avanti dai sindacati.
La storia poi la conosciamo: gli imprenditori sempre più d’intesa con i governi del tempo, ridussero considerevolmente gli indici di aumento della scala mobile fino a quando venne definitivamente soppressa con la firma del protocollo triangolare di intesa tra il governo Amato I e le parti sociali avvenuta il 31 luglio 1992.
La scelta era stata degli italiani, che con il referendum del 1985 avevano approvato la soppressione della scala mobile.
E questa è una parte storica che riguarda i salari del mondo dei lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato. Sono comunque gli anni in cui si consolida il lavoro delle donne e questo determina una tenuta dello stile di vita delle famiglie, anche se comincia a regredire il benessere collettivo.
Poi succede tutto quello che succede, scompaiono i partiti di quella che diventa la cosiddetta “prima repubblica”, arriva Berlusconi che promette 1 milione di posti di lavoro e progressivamente il tema delle retribuzioni viene accantonato, da tutti purtroppo.
Anno dopo anno si fa largo un ragionamento (sbagliato): basta avere un lavoro, fisso o no, qualche stipendio garantito, tanto il mondo si sta globalizzando e c’è la mobilità. Poi arriva pure internet, figuriamoci.
I grandi leader della sinistra nel mondo sono fautori di un totale cambio di passo perché il mondo è globale e dunque il liberismo più avanzato è l’unica soluzione. Clinton e Blair perfino più convinti di Berlusconi.
L’euro arriva quando il mercato mondiale del lavoro è in questa situazione, e per un certo periodo ovviamente aggrava le cose, visto che in Italia si decide (ministro Tremonti) di fare un cambio facile facile: l’euro vale due volte la lira. Che vuole dire? Che ogni prezzo raddoppia. Pari pari, si dice a Roma.
La mia è un’analisi veloce e non economicistica, ma fotografa la realtà. Fino alla crisi devastante del dopo Covid e della guerra in Ucraina.
Negli ultimi tre anni, i contratti collettivi non sono riusciti a proteggere i salari reali dall’inflazione. Fra i settori, le differenze sono ampie e solo in alcuni le componenti di secondo livello hanno compensato in parte le perdite di potere d’acquisto.
Se si guarda all’andamento delle diverse misure della domanda di lavoro (occupati, ore lavorate) e alle caratteristiche dell’occupazione (incidenza di quelli a termine, del part-time, dinamiche territoriali) le cose vanno apparentemente bene. Se si guarda invece all’andamento dei salari, le cose non sono mai andate così male.
Difatti, se la bassa crescita salariale è un tratto che contraddistingue l’economia italiana da circa tre decenni, gli andamenti dell’ultimo periodo, dopo la crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina, sono stati particolarmente deludenti anche in una prospettiva storica, oltre che nel confronto con le altre maggiori economie.
Un disallineamento prolungato fra salari e prezzi può influenzare in maniera marcata le aspettative di ampie fasce di consumatori, modificandone le decisioni di spesa e gli stili di vita. Ha anche conseguenze in termini di diffusione del disagio economico, con riflessi sulla coesione sociale. E qui siamo. La chiamiamo scomparsa della “classe media”, ma è ben di più.
L’origine dell’incattivimento della società, del rifiuto della politica, della ricerca di un leader “che faccia le cose”, della ferocia contro gli immigrati ritenuti, completamente a torto, nostri rivali per trovare un lavoro, la disillusione della mobilità diventata precarietà a vita, tutto questo ha fatto svoltare a destra, fino alla destra orribilmente estrema di oggi, i cittadini dei paesi che chiamavamo occidentali e che a un certo benessere erano abituati.
E’ solo un punto di vista. Ma le sinistre, i democratici nel mondo, cosa hanno fatto per ridurre questo scompenso che anche uno studente al primo anno di economia avrebbe capito essere il detonatore di forme di diseguaglianza incompatibili con una società le cui democrazie erano basate su un sistema di welfare generalizzato?
Non hanno fatto. Hanno sposato la globalizzazione senza neanche un minimo di dubbio (ricordo le nitide previsioni lette su “No logo” di Naomi Klein), hanno visto distruggersi l’ascensore sociale e incentivato il lavoro precario, malpagato, fino alo sfruttamento. Hanno consentito le delocalizzazioni di aziende che i governi avevano finanziato. Hanno regalato interi mercati alla Cina (ricordate il dramma delle mascherine?), hanno accettato la totale deregulation del web e dei social per non sembrare “repressivi”.
E oggi scopriamo che l’Australia e a breve la Spagna impediranno l’uso dei social ai minori di 16 anni. Ma questo è un altro capitolo di una storia amarissima, per la quale siamo al ribaltamento del mondo e della democrazia soprattutto per gli errori di chi la democrazia l’aveva costruita.
fonte: articolo21.org - 22 feb. 2025