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Immagine del redattoreLE MALETESTE

Carceri Italia. La situazione



(...) Dall'analisi preparata dal Garante nazionale dei detenuti, Felice Maurizio D’Ettore, per fugare ogni dubbio su come si è costretti a vivere in prigione:

  • Dei 57 suicidi (al momento della relazione) che si sono avuti nel 2024, scrive il Garante, «risulta che 30 persone, pari al 52,6%, si sono suicidate nei primi sei mesi di detenzione. Di queste, 7 entro i primi 15 giorni, 3 delle quali addirittura entro i primi 5 giorni dall’ingresso». Senza dimenticare i sei agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno.

  • Gli atti di autolesionismo registrati tra i detenuti fino a questo luglio sono stati invece 7.430 contro i 7.216 di tutto il 2023; 374 i ferimenti (365 nel 2023), tre le rivolte contro le due del 2023. E mancano ancora cinque mesi alla fine dell’anno. Inoltre su 61.134 detenuti (14.500 in più rispetto ai posti disponibili), 58 sono costretti a vivere in celle più piccole di 3 metri quadrati, misura minima stabilita nel 2021 dalla Corte di cassazione per ogni detenuto nelle celle collettive. 14.118 si trovano in celle fra i 3 e i 4 metri quadrati e 46.387 in celle più grandi di 4 metri quadri.

fonte: ilmanifesto.it - 30 luglio 2024


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Inferno carceri, a Rieti un altro suicidio: è il n. 61

A morire è stato un giovane di 25 anni in isolamento.


di Marina Della Croce


Di carcere si continua morire. Dopo il ragazzo di 27 anni che sabato scorso si è tolto la vita nella casa circondariale di Prato, ieri un altro giovane, di 25 anni e in attesa di giudizio, si è impiccato nella cella d’isolamento del carcere di Rieti dove era stato rinchiuso dopo che, con altri detenuti, si era rifiutato di rientrare in cella per protestare contro il sovraffollamento. Per le statistiche si tratta del 61esimo suicidio dall’inizio dell’anno, numero che però restituisce solo in parte il dramma che decine di migliaia di detenuti vivono nelle carceri italiane. «Io il conto non lo tengo più: sono comunque troppi e (quasi) ogni giorno uno di più», è il commento sconsolato del Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia.


«Ogni caso è un caso a sé, ma tutti insieme – continua Anastasia – sono l’indice della crisi di un sistema che non riesce a garantire i principi costituzionali di umanità nella detenzione e di sostegno al reinserimento sociale dei condannati». Intanto oggi, dopo il voto di ieri in commissione Giustizia al quale non hanno partecipato per protesta le opposizioni, arriva in aula al Senato il decreto carceri. Il voto è previsto per giovedì, con il governo che quasi sicuramente chiederà la fiducia.


Due giorni fa il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha ricordato di aver rafforzato l’organico nelle carceri per quanto riguarda educatori, funzionari contabili e mediatori culturali, un intervento che però non incide sulle cause più gravi della crisi che riguardano il sovraffollamento, con 14.500 detenuti i più rispetto ai posti disponibili, e la mancanza di almeno 18.000 agenti di polizia penitenziaria rispetto alle necessità dell’organico. Di conseguenza le carceri si sono ormai trasformate in luoghi infernali sia per chi vi deve scontare una pena, che per chi ci lavora. E le alte temperature di queste settimane non fanno altro che rendere ancora più difficile la situazione. Ecco quindi che risse, gesti di autolesionismo, proteste, quando non scoppiano vere e proprie rivolte, sono ormai all’ordine del giorno. Nel carcere di Rieti dove ieri mattina si è registrato l’ultimo suicidio, 400 detenuti si erano autogestiti per due giorni e due notti prima di mettere fine alla protesta. E ancora ieri a Cuneo tre detenuti sono rimasti intossicati da un incendio seguito ad alcuni disordine scoppiati nella prima sezione dell’istituto.


Tra i primi a chiedere un intervento del governo ci sono i sindacati: «Il ministro Nordio dovrebbe dire cosa intende fare di concreto per fermare la pena di morte di fatto e casuale che viene costantemente inflitta nel nostro paese», ha detto ieri ad esempio il segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio. Un primo passo potrebbe essere la scarcerazione dei quasi 8 mila detenuti che hanno un residuo di pena inferiore a un anno. E’ quanto previsto da una proposta di legge presentata da +Europa mentre gli avvocati di Roma in una lettera hanno chiesto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di intervenire sollecitando la politica per mettere fine a «una situazione intollerabile, indegna di un paese civile». (...)


fonte: ilmanifesto.it - 31 luglio 2024


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Tornano in servizio sei agenti accusati delle torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere


di Stefano Baudino


Sono ufficialmente tornati in servizio venerdì sei membri della polizia penitenziaria finiti sotto processo per le violenze consumatesi all’interno del carcere di Santa Maria Capia Vetere nell’aprile del 2020, nella fase della prima ondata pandemica. La notizia è stata comunicata dal Garante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello, che per primo avanzò alla Procura della città campana la denuncia dei pestaggi e delle torture che le persone detenute all’interno del reparto “Nilo” avrebbero allora subito. I sei agenti riammessi in servizio, i quali erano stati sospesi nel giugno 2021, raggiungono dunque all’interno della struttura altri 22 agenti coinvolti nel processo che erano stati reintegrati nell’agosto dell’anno scorso. A spingere per la riammissione era stato, con numerose richieste, il sindacato di polizia penitenziaria Uspp, che in queste ore ha espresso soddisfazione per l’ulteriore reintegro dei sei imputati.


In tutto, tra agenti, medici e funzionari, al processo per le torture di Santa Maria Capua Vetere sono attualmente alla sbarra 52 imputati. I sei poliziotti penitenziari che da venerdì hanno ripreso il loro servizio dopo 3 anni di sospensione sono il capo e il vice capo della Polizia Penitenziaria della casa circondariale, ovvero i dirigenti Gaetano Manganelli e Anna Rita Costanzo, oltre a due ispettori e due assistenti capo. Già l’anno scorso l’ondata di reintegri era stata fortemente criticata dalle associazioni in favore dei detenuti, che avevano a più riprese evidenziato come molte persone recluse potranno ritrovarsi di fronte agli stessi agenti accusati di essere responsabili delle violenze della primavera del 2020. «Non entro nel merito del provvedimento di riammissione in servizio del comandante della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere e degli altri 5 agenti, perché immagino sia stato legittimamente emesso dall’amministrazione – ha commentato il Garante dei detenuti della Campania –. Va però sottolineata l’assoluta autonomia di questo provvedimento rispetto al merito delle singole responsabilità per i gravissimi fatti avvenuti oltre 4 anni fa nel carcere ancora al vaglio della locale Corte di Assise». «Le sconcertanti immagini dei pestaggi ai danni di inermi detenuti – ha aggiunto Ciambriello – hanno indignato l’opinione pubblica. Il mio auspicio è che giunga in tempo ragionevole la sentenza della Corte».


Nella primavera del 2020, durante le prime settimane di lockdown a causa della pandemia da Covid-19, nel centro di detenzione campano scoppiarono violenti tafferugli sfociati delle proteste dei detenuti per la difficile situazione sanitaria e il sovraffollamento delle celle, che rendevano impossibile il distanziamento sociale. Le telecamere di sicurezza ripresero la reazione brutale della polizia penitenziaria, che utilizzò manganelli, calci, pugni e testate contro i detenuti, spesso inermi e barcollanti. In seguito a questi eventi, diversi agenti furono sospesi dal servizio. Il sindacato di Polizia Penitenziaria Uspp chiese ripetutamente il loro reintegro, sostenendo che la sospensione avrebbe causato gravi difficoltà economiche agli agenti, soprattutto a quelli con posizioni considerate meno gravi. Giuseppe Moretti e Ciro Auricchio, rispettivamente presidente nazionale e segretario campano dell’Uspp, giudicarono “inutile” il provvedimento ai danni degli agenti della polizia penitenziaria. Grazie all’intervento del Sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro, 22 agenti furono infine riammessi in servizio. Il processo avviato dall’inchiesta della Procura ha ipotizzato il reato di tortura per circa cinquanta pubblici ufficiali. La specifica fattispecie che viene contestata agli imputati, introdotta nel 2017, è però sottoposta al fuoco di fila dei principali azionisti della maggioranza di governo. Fratelli d’Italia, partito del capo dell’esecutivo Giorgia Meloni, ha infatti presentato un progetto di legge alla Camera per abrogare il reato di tortura e istigazione alla tortura, proponendo invece l’introduzione di una nuova aggravante comune per adempiere agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione contro la tortura (CAT). Il leader della Lega Matteo Salvini ha più volte promesso ai poliziotti del Sap l’abrogazione del reato, lamentando che molte denunce di violenza o tortura da parte dei detenuti fossero infondate.


fonte: lindipendente.online - 29 luglio 2024

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