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ITALIA. Diritti negati: il "caso-Bologna". Rapporto di Amnesty: In Europa diritti alla protesta sempre meno tutelati




Bologna, la denuncia: «Abusi su un’attivista in questura»


EXTINCTION REBELLION. Nuda, le è stato chiesto da un agente di polizia di fare dei piegamenti in un bagno fetido, con il pavimento ricoperto di sporcizia. Alla richiesta di spiegazione le è […]


di Federica Rossi

fonte: ilmanifesto.it - 11 luglio 2024


Nuda, le è stato chiesto da un agente di polizia di fare dei piegamenti in un bagno fetido, con il pavimento ricoperto di sporcizia. Alla richiesta di spiegazione le è stato detto: «È prassi». Mentre agli altri 20 attivisti che erano con lei non è stato riservato lo stesso trattamento. È successo a Bologna a una giovane di Extinction Rebellion. Insieme al gruppo aveva steso uno striscione dalla Torre dell’orologio di Palazzo d’Accursio con la scritta «G7: la vostra tecnologia, il nostro collasso». Un’azione pacifica a cui hanno risposto le forze dell’ordine in modo grave. «È una procedura discrezionale, applicata sulla base di valutazioni puntuali. Quello che è accaduto ieri è un trattamento degradante e ingiustificato» ha dichiarato Annalisa, del supporto legale di Extinction Rebellion.


La donna che ha subito il trattamento abusante ha richiesto che questa «prassi» fosse messa a verbale ma, racconta, il testo «contiene falsità». Come il suo rifiuto ad avere avvocati presenti durante la perquisizione: «Non è vero, quella domanda non mi è mai stata rivolta e io, certamente, avrei avuto piacere di essere assistita». Rispetto alle proteste per la perquisizione, la questura ha spiegato: «Una prassi che avrebbero dovuto applicare a tutti ma che, per gentilezza, sarebbe stata applicata a una sola persona». Agli altri attivisti non è andata molto meglio. Coloro che si erano incatenati all’ingresso del Palazzo sono rimasti in stato di fermo per 7 ore senza cibo né acqua, rilasciati intorno all’una di notte con denunce come «delitto tentato» o «violenza privata». Un ragazzo è stato spintonato a terra, per prendere il cellulare e tentare di eliminare i video.


Oggi, in Senato, viene presentato il report di Amnesty International che evidenzia come «in tutta Europa, leggi e politiche repressive, combinate con pratiche ingiustificate e tecnologie di sorveglianza invasiva, stanno creando un ambiente tossico che rappresenta una seria minaccia per chi manifesta pacificamente».


 


Rapporto Amnesty: in Europa il diritto alla protesta è sempre meno tutelato


di Dario Lucisano

fonte: lindipendente.online - 10 luglio 2024, 15.30


Poco tutelato e troppo ostacolato: questo, secondo Amnesty, è lo stato del diritto alla protesta in 21 Paesi europei. Il nuovo rapporto della ONG testimonia come il diritto alla protesta pacifica sia sotto attacco in tutta Europa, in quanto «le autorità statali stigmatizzano, criminalizzano e reprimono sempre più», imponendo «restrizioni ingiustificate e punitive e ricorrendo a mezzi sempre più repressivi per soffocare il dissenso». Una situazione nella quale l’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine, anche contro i minorenni, si unisce all’impiego diffuso di nuovi strumenti di sorveglianza (come il riconoscimento facciale) e alla demonizzazione di chi protesta (spesso definito «terrorista» o «estremista»). In Italia, a tale clima contribuisce, per esempio, la legge 6/2024, volta a reprimere le proteste degli ambientalisti inasprendo le sanzioni per danneggiamento e deturpamento contro beni culturali o paesaggistici.


Il rapporto pubblicato da Amnesty nella giornata di ieri rileva un impianto sistematico di «leggi repressive, uso eccessivo o non necessario della forza, arresti e procedimenti arbitrari, restrizioni ingiustificate o discriminatorie». Per quanto concerne l’uso della violenza, l’ONG elenca una serie di casi in cui sono stati rilevati danni fisici talvolta permanenti, «tra cui ossa o denti rotti (Francia, Germania, Grecia, Italia), la perdita di una mano (Francia), la perdita di un testicolo (Spagna), slogature, danni agli occhi e traumi cranici gravi (Spagna)»; questi episodi di violenza troverebbero la loro massima rappresentazione in quelle situazioni in cui «l’uso della forza ha costituito tortura o altri maltrattamenti», talvolta riservati addirittura a minorenni. L’impiego eccessivo della forza sarebbe inoltre accompagnato da un generale clima di impunità, che si tradurrebbe in una mancanza di assunzione di responsabilità da parte delle forze dell’ordine che secondo Amnesty trova sede in numerosi Paesi europei. A schiacciare ancora di più le libertà della persona vi sono inoltre, secondo l’ONG, in sempre più integrati sistemi di sicurezza che fanno uso i misura sempre maggiore di «nuove tecnologie e vari strumenti di sorveglianza per effettuare controlli mirati e di massa», quali per esempio telecamere a riconoscimento facciale per identificare coloro che manifestano.


La violenza di cui parla Amnesty non sarebbe solo fisica, ma sfocerebbe anche nell’ambito istituzionale. Nello specifico, l’ONG fa riferimento a tutte quelle leggi repressive e «restrizioni draconiane» attive nei vari Paesi europei. Queste, secondo l’organizzazione umanitaria, andrebbero contro le molteplici norme internazionali che proteggono il diritto di riunione pacifica, ratificate da quegli stessi Stati che tuttavia «non le hanno attuate nella legislazione nazionale». Nello specifico, queste norme prendono di mira tutte quelle forme di disobbedienza civile che, nonostante le modalità pacifiche, vengono sempre più represse e criminalizzate. Nella formulazione di nuove leggi contro la disobbedienza, l’Italia figura capofila, specialmente nella sua personale lotta all’ecoattivismo, rilanciata dalla legge promulgata lo scorso gennaio. Questa battaglia all’ambientalismo assume nel Belpaese un forte valore deterrente, infatti sta ripetutamente fallendo nelle aule di tribunale.


Ultima, ma non meno importante, è quella forma di soffocamento del dissenso che, più che palesarsi nelle aule parlamentari o tra le fila dei cortei, fa da sfondo all’intero impianto repressivo: la demonizzazione dei manifestanti. Secondo Amnesty, la repressione sociale opererebbe più insidiosamente, attraverso l’uso di una «retorica stigmatizzante» che, descrivendo coloro che protestano come criminali che minacciano la sicurezza e l’ordine pubblici, fornirebbe «alle autorità un falso pretesto per imporre restrizioni ed eludere gli obblighi internazionali in materia di diritti umani». In tal senso è proprio passando dalla demonizzazione delle proteste che si riuscirebbe a giustificare quello stesso impiego della forza e quel medesimo inasprimento delle leggi che secondo Amnesty starebbero prendendo una piega preoccupante in tutta Europa. Tutti questi fattori messi insieme sarebbero causa di un vero e proprio sistema di discriminazione. Questo si baserebbe sull’«effetto intimidatorio» derivante dalle pratiche repressive in atto nei diversi Paesi europei, che colpirebbe «in modo sproporzionato le persone di gruppi razzializzati e marginalizzati». Secondo l’organizzazione umanitaria «l’identità percepita delle persone che organizzano e partecipano alle proteste, così come le cause per cui si mobilitano, influenzano le restrizioni imposte dalle autorità», fondandosi sulla falsa equivalenza minoranza = persona che manifesta = criminale, e manifestando così «razzismo istituzionale, omofobia, transfobia e altre forme di discriminazione».

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