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ITALIA/Repressione. Sardegna, l’Antiterrorismo indaga decine di attivisti per le proteste antimilitariste. Nel frattempo, RWM si espande

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    LE MALETESTE
  • 26 minuti fa
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di Stefano Baudino

3 Dicembre 2025 - 15:30


La Sardegna torna al centro di un vasto procedimento giudiziario che investe attivisti, collettivi e movimenti impegnati in campagne antimilitariste, anti-carcerarie e di solidarietà internazionale.


Sono infatti 36 le persone raggiunte dalla chiusura delle indagini da parte della Direzione Distrettuale Antiterrorismo di Cagliari, con accuse che vanno dall’imbrattamento di edifici pubblici alla resistenza durante manifestazioni, fino a dieci contestazioni per associazione con finalità di terrorismo. Una risposta giudiziaria che collettivi e associazioni del territorio giudicano sproporzionata rispetto ai fatti contestati, sullo sfondo di un clima contraddistinto da una crescente repressione delle mobilitazioni sociali.


L’operazione, ribattezzata informalmente “Maistrali”, riprende un copione già visto in Sardegna: maxi-inchieste dagli esiti spesso incerti, come l’Operazione Arcadia o l’Operazione Lince, ancora non del tutto concluse a distanza di molti anni.


Secondo quanto riportato nei lanci di agenzia, gli indagati sono accusati di aver organizzato «cortei e manifestazioni alcune senza preavviso alle forze dell’ordine, in occasione delle campagne antimilitariste e anti-carcerarie dal 2020 al maggio dello scorso anno».

Secondo gli investigatori, il presunto gruppo avrebbe agito «in tutta la Sardegna» con base nel capoluogo.


Altri capi d’imputazione parlano di bombe carta, contestazioni a banchetti politici e danneggiamenti. Le associazioni, per l’ennesima volta dopo le ingenti proteste che hanno caratterizzato l’isola, denunciano un uso strumentale del diritto penale.


La risposta della società civile non si è fatta attendere. Il Comitato sardo di solidarietà alla Palestina e l’associazione Amicizia Sardegna Palestina hanno espresso il loro appoggio agli indagati, denunciando una precisa strategia repressiva.


In un comunicato congiunto hanno affermato: «La Questura di Cagliari continua ad usare l’accusa di “terrorismo” – mossa in questo caso contro 10 delle 36 persone indagati – per criminalizzare e reprimere le lotte contro la presenza militare in Sardegna, come già in passato con la tristemente nota operazione “Lince”». E aggiungono: «Accuse di terrorismo verso chi protesta mentre i governi imperialisti, Italia in testa, commettono genocidi e crimini di guerra in tutto il mondo. Mentre la NATO e l’Europa marciano a tappe serrate verso la guerra, i “terroristi” sarebbero coloro che si oppongono a questa vergogna».


Preoccupazioni condivise dall’associazione Libertade, che ha evidenziato come il crescente dissenso contro «l’economia di guerra», il sostegno governativo al «Genocidio Palestinese» e la «speculazione energetica» stia mobilitando migliaia di persone. Le accuse agli attivisti, osservano, vanno dalla sovversione allo Stato a reati «sempre più utilizzati per reprimere chi manifesta», mentre non mancano episodi recenti di cariche immotivate da parte delle forze dell’ordine.


La Cassa Antirepressione Sarda, in una nota, ha dichiarato che le procure si starebbero affannando per «zittire le contestazioni ed il dissenso», al fine di «difendere questa società che vive dello sfruttamento degli ultimi da qualsiasi vento di ribellione, per far sì che corsa al riarmo e guerre genocide possano compiersi senza troppi intralci».


Uno scenario che non si limita al solo territorio sardo. A Torino, per esempio, numerosi militanti del centro sociale Askatasuna e del Movimento No TAV si erano visti contestare il reato di associazione a delinquere con finalità eversive, successivamente derubricata in associazione a delinquere – ipotesi poi sgretolatasi nel corso del processo, che ha prodotto solo condanne per reati minori.


Il contesto in cui matura l’inchiesta sarda è caratterizzato da una crescita delle mobilitazioni sociali nell’isola, terra ormai da tempo militarizzata e al centro delle esercitazioni atlantiche. Negli ultimi anni, infatti, il network di associazioni impegnate sul territorio ha visto un rafforzamento esponenziale, con numeri in piazza che non si registravano da anni, su temi che vanno dalla solidarietà alla resistenza palestinese, alla lotta antimilitarista, alla contestazione della speculazione energetica. Nel tempo si sono moltiplicati gli episodi di scontro tra forze dell’ordine e attivisti, alimentando un clima che continua a mantenere alta la tensione.





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RWM: espansione senza alcuna autorizzazione


Per la quinta volta consecutiva ci occupiamo della fabbrica di bombe del Sulcis, emblema di quella corsa all’economia di guerra che sta coinvolgendo anche il nostro Paese.


Prevista per metà dicembre, non oltre comunque il 17 come da ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale, la giunta regionale dovrà esprimersi sulla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del programma di raddoppio della fabbrica di bombe RWM. Ampliamento duramente contrastato da molte associazioni ambientali e culturali del Sulcis Iglesiente, la zona del sud ovest della Sardegna nella quale sorge, per i rischi che può comportare per il territorio ma anche, e soprattutto, perché le armi sofisticare prodotte portano la morte tra le popolazioni civili di molti paesi in guerra, quindi non solo a Gaza e nel resto del Medio-Oriente.


Bene, mentre si è in attesa della decisione politica, la fabbrica si guarda bene dal restare ferma e cosa fa? Acquisisce magazzini in altre zone della Sardegna per depositarvi materiali che poi servono per la produzione delle armi. Grazie ad un gruppo di cittadini del Medio Campidano si è scoperto che, di nascosto, senza alcuna richiesta o comunicazione, la fabbrica di bombe sta utilizzando dei depositi di Villacidro, distante una quarantina di chilometri dallo stabilimento, per depositarvi materiali che poi saranno utilizzati nella fabbrica.


Simbolicamente la scelta appare ancor più grave. I magazzini sorgono all’interno del recinto di una fabbrica che produceva carrozze ferroviarie, la Keller, da anni dismessa perché, senza alcuna tutela, non aveva più ricevuto commesse. Come dire: da un’economia di pace ad una di guerra, senza altre alternative.


E tutto questo accade mentre le promesse dei ministri Urso e Calderone sull’impegno per salvare la produzione industriale del Sulcis, in particolare a Portovesme, si sono rivelate fasulle e mentre un gruppo di operai ha occupato il tetto del silo a 40 metri d’altezza dell’Eurallumina, altra fabbrica del Sulcis che sta attraversando una grave crisi. Gli operai hanno interrotto l’occupazione dopo che la ministra del lavoro li ha invitati ad un incontro a Roma per il prossimo 10 dicembre. Non si sa ancora cosa ne verrà fuori. Si capisce bene, quindi, qual è il terribile ricatto occupazionale cui devono far fronte le organizzazioni sindacali alle quali l’ampliamento della RWM viene prospettata come unica possibilità di lavoro in tutta la zona, senza che sul tavolo venga avanzata alcuna proposta di riconversione.


Molte le interrogazioni alle istituzioni da parte di organizzazioni del territorio. In una si chiede addirittura se e perché, nel caso la risposta fosse positiva, sia stato ordinato il divieto di sorvolo della zona industriale di Villacidro. Sabato prossimo, per iniziativa dell’associazione ‘Su entu nostu’, si terrà una marcia di protesta e un sit-in davanti alla struttura in cui è custodito il materiale destinato alla RWM. Ed è probabile che la questione sarà affrontata anche nella tre giorni di dibattiti sulla pace organizzati a Cagliari dall’ARCI nazionale e che ha per titolo ‘Nel mare di mezzo – Legami mediterranei’.


Per fortuna è ancora diffusa una forte coscienza civile che, nonostante il voto al parlamento europeo, dichiarazioni, prese di posizione che preannunciano inevitabili scene di guerra, si impegna per opporsi all’unica folle propaganda guerrafondaia. La Sardegna che, oltre tutto ha le maggiori servitù militari d’Italia, è un emblema di impegno per il pacifismo.



 
 

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