ITALIA/guerra. ESCLUSIVO! Il ruolo di Leonardo Spa nel genocidio e nell'eventuale ricostruzione di Gaza
- LE MALETESTE
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La tregua a Gaza fa crollare le azioni di Leonardo SPA
di Valeria Casolaro
16 Ottobre 2025 - 9:39
Per mesi la maggiore azienda delle armi italiana, Leonardo SPA ha ribadito di non avere alcun ruolo nel genocidio palestinese. Eppure, a non credere all’azienda paiono essere gli stessi azionisti, tanto che dall’annuncio della tregua a Gaza il colosso bellico ha perso ben il 10,7% del valore delle proprie azioni.
L’azienda aveva chiuso la giornata dell’8 ottobre con 56,20 euro per azione, calando a 55,48 il 9 ottobre, data di annuncio dell’accordo, e a 52,90 il 10 ottobre, giorno della ratifica. Da allora, il prezzo delle azioni di Leonardo è continuato a calare, raggiungendo ieri quota 50,18 euro per azione, il picco minimo da metà settembre.
Per due anni di fila (2023 e 2024), l’azienda ha registrato profitti da record, superando di molto le previsioni degli analisti.
E nonostante le continue smentite dell’ad dell’azienda, Roberto Cingolani, le prove che collegano le armi made in Italy al genocidio a Gaza sono molteplici. Una su tutte è l’inchiesta della relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, che nel suo report "Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio" denuncia la complicità con il genocidio di Israele a Gaza di decine di aziende nel mondo. Tra queste vi è proprio l’italiana Leonardo, della quale lo Stato è azionista di maggioranza, accusata tra le altre cose di contribuire alla realizzazione degli armamenti impiegati nel genocidio (come quelli dei caccia F-35) e di aver trasformato in armamenti automatizzati i bulldozer D9 della statunitense Caterpillar (tramite la propria controllata RADA Electronic), impiegati per distruggere le abitazioni dei palestinesi in Cisgiordania. Nel 2024, poi, si è conclusa la fornitura di elicotteri AgustaWestland AW119Kx “Koala-Ofer”, impiegati da Tel Aviv per addestrare i militari della Israel Air Force presso la base di Hatzerim, nel deserto del Negev. La vendita, che fa parte di una serie di trattative iniziate nel 2019 e concluse nel 2022, non è stata interrotta nemmeno dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri Tajani, che aveva riferito che, «dopo un’attenta valutazione», anche alcuni dei contratti firmati prima del 7 ottobre sarebbero stati interrotti.
In merito alle accuse di complicità in genocidio, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera Cingolani ha dichiarato che «Si dice che poiché abbiamo contribuito a costruire i caccia F-35 venduti in tutto il mondo – incluso Israele – e poiché alcuni di questi F-35 sono utilizzati in questo orrendo conflitto, allora siamo complici di genocidio. Certo, partecipiamo a consorzi per la costruzione di tante tecnologie e piattaforme per la difesa. Ma dire che siamo corresponsabili di genocidio mi pare una forzatura inaccettabile». Per quanto riguarda le accuse di collaborazione con Israele per la fornitura di radar militari, Cingolani ha dichiarato che questi vengono venduti dalla DRS Technologies, della quale Leonardo è socia di maggioranza ma che «deve seguire le indicazioni del suo governo».
Da quando è scoppiato il conflitto, specifica l’ad di Leonardo, «non è stata più autorizzata nessuna licenza di esportazione verso Israele», in base a quanto previsto dalla legge 185. Per quelle precedenti invece, riguardanti la fornitura degli elicotteri e degli aeroplani da addestramento, l’azienda sarebbe stata costretta a onorarli «per legge, anche in questa situazione tremenda». Come riferito dalle inchieste di Altreconomia, tuttavia, l’esecutivo avrebbe potuto fermare tutti i contratti precedentemente siglati con Israele proprio in forza di quanto previsto dalla legge 185, che autorizza a intervenire in caso di gravi violazioni delle norme internazionali.
Non si tratta solo di Leonardo: tutte le principali aziende di armi europee hanno registrato un progressivo calo del valore delle proprie azioni dal 9 ottobre scorso in poi. La tedesca Rheinmetall, la maggiore azienda di armamenti del Paese, ha chiuso la giornata di ieri registrando un calo dell’8,8%, la britannica BAE System del 5,6%.
Un quadro analogo si era d’altronde verificato nell’agosto di quest’anno, alla vigilia dell’incontro in Alaska tra Trump e Putin, quando la pace tra Russia e Ucraina sembrava un po’ più vicina, facendo così crollare le azioni di Leonardo e di tutte le grandi aziende delle armi dell’UE (e salire quelle delle aziende coinvolte nella ricostruzione, come quelle del cemento).
Fonte: https://www.lindipendente.online/2025/10/16/la-tregua-a-gaza-fa-crollare-le-azioni-di-leonardo-spa/ - 16 ottobre 2025

IL VIDEO
Video che denuncia la complicità dell'azienda italiana produttrice di armi Leonardo SpA e del governo italiano con lo stato terrorista di Israele nel genocidio del popolo palestinese

APPENDICE ODIERNA
Pubblichiamo un'intervista che appare nell'edizione odierna del Corriere della Sera a Marco Minniti, ex ministro dell’Interno, in un’altra vita lothar di Massimo D’Alema, oggi presidente della, prestigiosa e ascoltatissima da Giorgia Meloni, Fondazione Med-Or di Leonardo, già impiegato dallo stesso governo Meloni nel Piano Mattei. Autore-ideatore anche dei famigerati "Accordi Italia-Libia" sui migranti.
Marco Minniti: «Bene la relazione forte con Trump. L’Italia può aprire la strada alla Ue nel processo di ricostruzione di Gaza»
di Monica Guerzoni
16 ottobre 2025
L'ex ministro pd: sui militari è importante che ci sia un mandato pieno delle Camere
Marco Minniti, ex ministro dell’Interno del governo Gentiloni, è presidente della Med-Or Italian Foundation, che rappresenta il «sistema Paese» nel rapporto con Medio Oriente e Mediterraneo «allargato». Nel governo c’è chi parla di lui, che ideò gli accordi con la Libia sui migranti — di cui non vuole parlare da quando si è dimesso «senza rimpianti» da parlamentare — e lavora all’attuazione del Piano Mattei, per un ruolo nella ricostruzione di Gaza.
Rappresenterà l’Italia nel «board» per Gaza?
«Non mi risulta. Non so assolutamente niente. I nomi non sono mai importanti. Quel che è importante è il ruolo dell’Italia».
L’accordo tra Israele e Hamas regge, o scricchiola?
«Il piano in 20 punti è una grande opportunità, che sembrava impensabile. Il primo pilastro ha consentito di raggiungere tre obiettivi di straordinaria importanza. Il cessate il fuoco dopo 70 mila morti a Gaza, il ritorno a casa degli ostaggi e il fatto che sono ripartiti gli aiuti, in una realtà dove si era usata la fame come arma di guerra».
La seconda fase non presenta molti rischi?
«In questa fase di transizione può sempre avvenire una provocazione, una rottura. Per cui bisogna accelerare al massimo la realizzazione del secondo pilastro del piano, anche sfruttando l’onda di entusiasmo che si è creata con la visita di Trump in Israele e con gli incontri di Sharm».
Lo «show» di Trump è solo luci, o anche ombre?
«Trump ha messo in gioco se stesso, per due ragioni. Doveva uscire dallo scacco politico e diplomatico di Anchorage, dove a Ferragosto ha incontrato Putin e il cui tappeto rosso, col moltiplicarsi degli attacchi contro l’Ucraina, è diventato nero».
La seconda ragione?
«Trump con Israele ha potuto mettere in campo un potere decisivo, per il rapporto personale con Netanyahu e perché gli Usa sono il loro principale fornitore di armamenti. Senza il diretto coinvolgimento di Trump non avremmo smosso le acque. E non ha accettato di dirigere il board di transizione per vanità, ma perché chiamato dai Paesi arabi. Una gigantesca responsabilità, che lo espone enormemente».
Ha fatto bene Meloni ad aspettare oltre due anni prima di «condannare» Netanyahu per la carneficina a Gaza e a non seguire Macron e Sánchez sul riconoscimento della Palestina?
«Meloni ha costruito con Trump una relazione speciale e non era scontato, anche per il rapporto forte che aveva con Biden. Le battute fatte in pubblico da Trump non sono casuali. E un ruolo ha giocato l’approccio italiano al riconoscimento della Palestina».
Vuol dire che ha pagato la cautela del governo, contestata con forza dalle opposizioni nelle piazze pro-Pal?
«Nel momento in cui gran parte dei Paesi Ue avevano deciso di riconoscere la Palestina, l’Italia non ha puntato a isolare Trump, pur non avendo mutato la linea storica “due popoli due Stati”. E lui penso abbia apprezzato».
E adesso, che ruolo può svolgere l’Italia?
«Può essere apripista, aiutare la Ue a recuperare un evidente ritardo politico e a diventare protagonista in un processo di ricostruzione che fa tremare le vene. Ma serve una forza di stabilizzazione militare a Gaza, con la spina dorsale dei Paesi arabi e con un mandato Onu, senza la quale è impossibile pensare al disarmo di Hamas e al ritiro delle forze Israeliane».
La premier otterrà i voti delle opposizioni, quando in Parlamento si voterà per l’invio di militari italiani?
«È importante che l’Italia possa partecipare con un mandato pieno del Parlamento. Ed è importante che il 7 novembre a Roma verrà Abu Mazen per incontrare Meloni e Mattarella. All’Onu il presidente dell’Anp ha detto che il futuro della Palestina sarà senza Hamas».
Vede legami tra Piano Mattei e Gaza?
«Un piano di ricostruzione ambizioso, che impegnerà almeno un decennio, deve vedere la messa in campo di un progetto italiano coordinato dal governo, inserito in un grande progetto europeo. I Paesi arabi avranno un ruolo fondamentale e dovrà avere un ruolo l’Italia, storicamente percepita come amichevole e affidabile. I palestinesi non hanno pregiudizi e sembra che Israele sia d’accordo sull’entrata dell’Italia nel board di transizione».
Perché è così importante che il nostro Paese, marginale fino a pochi giorni fa, possa fare la sua parte per la rinascita di Gaza?«Renderebbe evidente che la prospettiva di tutto il percorso è la costruzione di uno Stato palestinese, che riconosca Israele. Punto cruciale per una pace stabile e per garantire la sicurezza di entrambi dopo che, in questi due anni, si è toccato il fondo».
La ricostruzione è un colossale business per aziende come Leonardo, Eni, Cdp, Enel, Eni e Fincantieri, coinvolte in Med-Or?
«Noi possiamo giocarci la presenza dei grandi player economici italiani, dall’energia alle rinnovabili. Il tema è costruire le condizioni perché la popolazione di Gaza rimanga a Gaza, l’opposto del Piano Riviera per fortuna accantonato. Sarebbe straordinario lavorare con i palestinesi per ricostruire un’autosufficienza alimentare, dopo che la fame è stata utilizzata come arma».