Agronotizie. Una nuova rivista, Greenpeace in gabbia, l'Europa impesta il resto del mondo
- LE MALETESTE
- 2 ott
- Tempo di lettura: 9 min

«Rivista contadina»
Affronta questioni epocali. Analisi, resoconti, indagini, reportage, formazione, rubriche. In un quaderno di bell’aspetto, illustrazioni che corrono lungo gli articoli e un editoriale che fa da guida alla lettura.
2 ottobre 2025
Con occhio studioso e passo movimentista, Rivista contadina. Terra, cibo, ecologia affronta questioni epocali. Analisi, resoconti, indagini, reportage, formazione, rubriche. In un quaderno di bell’aspetto, copertine da collezione, illustrazioni che corrono lungo gli articoli e un editoriale che fa da guida alla lettura.
PUBBLICATA DA Terra Liquida Odv, la rivista è un progetto indipendente e cartaceo. Si finanzia con gli abbonamenti e con le vendite – 5 euro a copia – presso una rete di mercati contadini, empori solidali, spazi sociali, librerie indipendenti (l’elenco su: rivistacontadina.org).
FIN DAL NUMERO ZERO, lo spazio è stato il mondo. Appello internazionale per l’azione di fronte al genocidio a Gaza. Conferenza del movimento internazionale La Vía campesina. Economia popolare in Argentina. Produzioni contadine e consumo collettivo popolare. Inchiesta sulla peste suina africana. Crisi idrica globale. Emergenza climatica, con l’agricoltura come vittima e carnefice.
COMUNICARE ESPERIENZE sagge, dando strumenti per replicarle sembra essere fra gli obiettivi della rivista. Un esempio: Kisan Andolan, l’epica e pacifica lotta dei contadini indiani, fra il 2020 e il 2021, in protesta contro un pacchetto di leggi ingiuste. Una delle più grandi dei tempi recenti, portata avanti da 40 organizzazioni riunite nel Samyukt Mukti Morcha. Centinaia di migliaia di agricoltori sono stati capaci di rimanere per mesi nelle polverose strade del subcontinente, in condizioni difficilissime, creando una sorta di villaggio esteso – con cucine, tende, presidio medico e appoggio popolare. L’unità, l’autogestione di massa, il senso della cura reciproca sono stati gli ingredienti vittoriosi.
«COSA SUCCEDERÀ ai sistemi alimentari di Gaza?», si chiede sul numero 4 il progetto di ricerca agro-ecologico Gaza Foodways, con quella che potrebbe sembrare una forzatura fantascientifica. Prima del 7 ottobre 2023, la Striscia era riuscita a rimanere autosufficiente per frutta e verdura, nonostante bombardamenti e incursioni. Poi tutto è finito. Cosa sorgerà dalle ceneri di quello che è anche un ecocidio? Gli autori ipotizzano due visioni: una dominata dalle forze della colonizzazione, tecnologica e neoliberista; l’altra è l’agro-ecologia. Ma mettono le mani avanti: in piena guerra, «non è chiaro quale delle due visioni sceglierà Gaza e nemmeno se questo è nelle sue possibilità».
NUMEROSE LE INCHIESTE e i resoconti sulle organizzazioni contadine nel mondo. Con i forum periodici di Nyeleni come processo ambizioso per costruire alternative concrete al sistema agro-alimentare dominante (ne scrive Cambiare il campo sulla Rivista n. 3). Importante anche conoscere le (sconosciute) Chambres d’agriculture francesi, organismi di carattere pubblico che non esistono in Italia e consentono agli agricoltori una sorta di autogoverno.
LA FORMAZIONE agro-ecologica non manca e fa della Rivista un utile manuale. La pratica degli inerbimenti, sovesci e colture di copertura; la gestione dell’acqua; nuove modalità organizzative per prevenire e bloccare sul nascere gli incendi, sempre più virulenti nel contesto climatico e pluviometrico attuale. E poi l’orto e l’ortica, ovvero come realizzare un piccolo spazio produttivo; e il potere del fermentare.
FRA SALUTE E AMBIENTE, ecco l’importante dibattito sui nuovi Ogm dal nome innocuo. Ma anche sui vecchi-nuovi pesticidi, con l’Italia che è sesta al mondo per il loro uso; vittime principali gli stessi agricoltori. Meno noto il nesso fra bollicine (del prosecco, ormai una monocoltura), sostanze malsane e lavoro migrante.
LAVORI IN CORSO: dall’apartheid dello sfruttamento nei campi sono via via emersi movimenti e convergenze. Rivista contadina racconta di Right2be (dalle campagne alle città, il diritto di esistere), per i diritti dei lavoratori stranieri, con tante declinazioni compresi sportelli sindacali, ostelli per lavoratori stagionali, case autogestite e cooperative.
Greenpeace in gabbia
Con maschere da mucche e maiali. Una fila di gabbie stipate di attivisti con maschere da mucche e maiali ha accolto lunedì i delegati in attesa di fare il loro ingresso alla Fao per la seconda Conferenza mondiale sulla trasformazione dell’allevamento sostenibile dell’Onu a Roma
2 ottobre 2025
Una fila di gabbie stipate di attivisti con maschere da mucche e maiali ha accolto lunedì i delegati in attesa di fare il loro ingresso alla Fao per la seconda Conferenza mondiale sulla trasformazione dell’allevamento sostenibile dell’Onu a Roma. Un’immagine potente – accompagnata da cartelli per chiedere una giusta transizione e inframmezzata da fumo rosa a rappresentare le emissioni di metano del settore zootecnico – ricreata da Greenpeace all’apertura di un tavolo di confronto cruciale per il comparto agroalimentare, intorno a cui fino a ieri si sono riuniti rappresentanti della politica, società e aziende private, banche d’investimento e organismi internazionali.
Gli interessi in ballo per l’industria sono molteplici, e ruotano attorno a un «necessario» aumento della produzione zootecnica che soddisfi la domanda globale di carne, uova e latticini, puntando sull’innovazione tecnologica per renderla «più sostenibile e sicura».
La conferenza nella Capitale precede di poco la Cop30 sul Clima che quest’anno si tiene in Brasile, a Bélem, altrimenti nota come Porta dell’Amazzonia, il più grande ecosistema al mondo minacciato dalla deforestazione aggressiva legata proprio all’agricoltura e alla zootecnia industriale. È stata scelto la Fao per lanciare un appello cui hanno aderito un centinaio di altre organizzazioni ambientaliste, per lo sviluppo, l’alimentazione e l’agricoltura, e che va in direzione diametralmente opposta.
Un invito ai leader mondiali a stabilire target più stringenti e vincolanti di riduzione delle emissioni agricole e a sostenere una reale transizione verso un sistema alimentare basato sull’agroecologia.
L’agricoltura e la zootecnia industriale stanno infatti inquinando l’acqua, impoverendo i terreni e contribuendo significativamente alla crisi climatica, con impatti devastanti sulla salute umana e le condizioni degli animali negli allevamenti, dei quali oggi si celebra la Giornata mondiale. Trasformare il modo in cui produciamo, distribuiamo e consumiamo cibo è fondamentale per garantire il benessere animale, ma anche per ripristinare habitat vitali, assicurare l’accesso a un’alimentazione sana e nutriente per tutti e contenere la temperatura globale entro 1,5°C.
Secondo l’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite), i sistemi alimentari sono responsabili fino al 42% delle emissioni globali di gas serra. La zootecnia, in particolare, è la principale fonte di metano, che nell’arco di un ventennio risulta un gas 80 volte più dannoso per il clima rispetto alla CO2 e a cui si deve circa un terzo del riscaldamento globale.
A peggiorare le cose, alcuni Paesi produttori ed esportatori di bestiame stanno tentando di ridefinire gli obiettivi emissivi per mantenere gli attuali livelli di metano, anziché ridurli. E la forte spinta per intensificare allevamenti e agricoltura non risparmia l’Africa, dove l’Alleanza per la sovranità alimentare sottolinea come adottare il sistema del Nord globale significhi contaminare la terra e diffondere l’antibiotico-resistenza dovuta all’uso routinario dei farmaci veterinari.
In Italia, nel frattempo, qualcosa si muove. Cresce il supporto alla proposta di legge Oltre gli allevamenti intensivi presentata nel marzo 2024 alla Camera da Greenpeace, Isde, Lipu, Terra! e Wwf: una decina i Comuni che, dal Piemonte alle Marche, hanno approvato la mozione per sostenere una riconversione in chiave agroecologica del sistema attuale a partire dai territori. Proprio nei giorni scorsi, anche Slow Food si è unita alle decine di associazioni, comitati e parlamentari che sostengono la PdL, che però rimane ferma in Commissione Agricoltura, in attesa di discussione.
A Bélem, dove è invece attesa una presenza massiccia di lobbisti dell’agroalimentare, la sfida per i leader mondiali sarà opporsi agli interessi acquisiti delle multinazionali. I Paesi ad alto reddito saranno chiamati a dare l’esempio. Regolamentando l’agricoltura intensiva e pianificando una giusta transizione che garantisca protezione sociale, formazione e supporto ai lavoratori del comparto e una partecipazione inclusiva delle comunità rurali.
Lontano da falsi miti e soluzioni non comprovate e a breve termine che contemplano agrochimica, allevamenti intensivi e accaparramento delle terre quali ingredienti necessari per nutrire il pianeta. Decidendo di puntare, piuttosto, su metodi di coltivazione agroecologici che lavorino insieme alla natura, anziché contro di essa.
L’Europa impesta il resto del mondo
Pesticidi. L’ipocrisia tossica dell’Unione europea che esporta nei paesi poveri i pesticidi vietati sul proprio territorio, e poi se li rimangia importando i prodotti inquinati
2 ottobre 2025
Si può affermare che, dopo quella delle armi, è attualmente la forma di commercio più ripugnante. Si tratta dell’esportazione dei pesticidi vietati all’interno dell’Unione europea verso gli altri paesi, soprattutto quelli più poveri. I numeri di questo commercio tossico sono impressionanti, con un mercato che cresce anno dopo anno. Gli organismi europei consentono alle industrie chimiche la produzione e il commercio verso l’estero delle sostanze chimiche messe fuorilegge per la loro documentata pericolosità sulla salute umana e l’ambiente.
LA NUOVA INDAGINE CONDOTTA da Unearthed, l’unità investigativa di Greenpeace, e dall’organizzazione Public Eye, pubblicata in questi giorni, mostra che nel 2024 le aziende chimiche europee hanno presentato piani per esportare pesticidi che contengono 75 diversi principi attivi che non possono essere impiegati nei campi coltivati della Ue. Nel 2018, il primo anno per cui sono disponibili dati completi grazie a una analoga inchiesta, erano 41 le sostanze vietate presenti nei pesticidi esportati. Una forte crescita dovuta al fatto che in questi ultimi anni sono stati vietati all’interno dell’Ue numerosi principi attivi ritenuti pericolosi. Attraverso lo studio delle «notifiche di esportazione», documenti che le aziende chimiche devono produrre prima di esportare le sostanze vietate, risulta che nel 2024 i pesticidi tossici prodotti all’interno dell’Ue hanno raggiunto 93 paesi, 71 dei quali a basso o medio reddito.
NEL 2018 I PAESI COINVOLTI ERANO 85. Il Brasile è il maggiore importatore tra i paesi a basso reddito dei pesticidi vietati, seguito da Ucraina, Marocco, Malesia, Cina, Argentina, Messico, Filippine, Vietnam, Sudafrica. Tra i paesi importatori sono 25 quelli africani, con Marocco, Sudafrica, Egitto, Tunisia e Kenya che ricevono le quantità maggiori. Tra i paesi ad alto reddito, invece, sono gli Stati Uniti il primo importatore. Tra il 2018 e il 2024 non solo è aumentato il numero di sostanze vietate che vengono esportate, con un allargamento dei paesi importatori, ma è cresciuta considerevolmente la quantità di pesticidi tossici che viene messa in commercio, passando da 81.600 a 122.000 tonnellate. Si ritiene che le quantità esportate potrebbero essere superiori a quelle notificate. Il calcolo è stato fatto escludendo il Regno Unito che nel 2018 era il principale esportatore dei pesticidi fuorilegge e che ora è fuori dall’Ue.
L’UNIONE EUROPEA, sempre piu’ in difficoltà a portare avanti la transizione ecologica in agricoltura per le forti spinte contrarie, non riesce a produrre una legislazione che impedisca la produzione e l’esportazione dei pesticidi vietati, nonostante gli impegni che la Commissione aveva preso nel 2020. Sono i paesi a basso reddito a ricevere la quota maggiore, il 58%, dei pesticidi vietati, perché hanno normative più deboli per quanto riguarda la tutela della salute e dell’ambiente. E sono gli agricoltori e le estese comunità rurali di questi paesi a pagare il prezzo più alto in termini di salute.
TRA I PESTICIDI ESPORTATI SONO PRESENTI principi attivi che causano interferenze endocrine, infertilità, danni cerebrali nei bambini, sostanze letali per le api e gli impollinatori, molecole ad elevata tossicità per la fauna delle acque e degli ecosistemi terrestri.
SONO 13 GLI STATI DELL’UNIONE europea coinvolti nel tossico e lucroso commercio dei pesticidi d’esportazione. Al primo posto nel 2024 troviamo la Germania con più di 50 mila tonnellate, seguita da Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Bulgaria Italia, Francia, Danimarca, Ungheria, Romania. La Germania esporta il 40% del totale di questa categoria di pesticidi. L’Italia si trova al sesto posto e nel 2024 ha esportato quasi 7 mila tonnellate di pesticidi contenenti 11 diverse sostanze chimiche vietate. Sono più di 40 le aziende europee che esportato i pesticidi vietati, un lungo elenco che vede la presenza della multinazionali chimiche (BASF, Syngenta, Bayer, Corteva, AlzChem), ma anche imprese di medie dimensioni.
L’AZIENDA CHIMICA TEDESCA BASF è il maggiore esportatore europeo di pesticidi con 33.600 tonnellate, di cui circa 20 mila a base di glufosinate ( un erbicida vietato nel 2018 perché tossico per la riproduzione). Sono ben 26 i paesi verso cui si dirigono i prodotti della BASF, soprattutto Brasile, Stati Uniti, Canada, Colombia, Indonesia. Tra le aziende italiane quella più attiva è la Finchimica che nel 2024 ha esportato 5.300 tonnellate di pesticidi contenenti come principi attivi due erbicidi (trifluralin e ethafluralin) vietati dal 2007 perché sospetti cancerogeni e tossici per gli animali acquatici.
IL PRIMATO del pesticida vietato più esportato, con 21 mila tonnellate, lo detiene il fumigante del suolo 1,3-dicloropropene, impiegato per combattere alcuni parassiti presenti nel terreno attraverso il rilascio di gas tossici, messo al bando da quasi 20 anni perché pericoloso per gli operatori agricoli, contamina le acque e causa gravi danni alla fauna selvatica. Tra i più esportati (8.500 tonnellate) troviamo il fungicida mancozeb, vietato nel 2020 perché riconosciuto come interferente endocrino e tossico per la riproduzione, inviato in 59 paesi diversi. Ognuno dei 75 principi attivi vietati e che viene commercializzato è in grado di produrre danni nei confronti degli esseri umani, gli insetti, gli ecosistemi.
OLTRE ALLE SOSTANZE già indicate, si distinguono per la loro pericolosità: gli insetticidi neonicotinoidi come thiamethoxam, clothianidin e imidacloprid, vietati nel 2018, letali per le api e gli altri impollinatori; l’insetticida clorpirifos, vietato nel 2020 dopo una lunga battaglia, perché può provocare gravi danni neurologici nei bambini; il fungicida epoxiconazolo, vietato nel 2020 perché può provocare danni al feto. Molti di questi pesticidi, oltre a causare i gravi danni che le ricerche hanno documentato, stanno mostrando una scarsa utilità da un punto di vista agronomico, ma la pressione delle multinazionali chimiche riesce a farli passare come prodotti indispensabili nelle produzioni agricole. Sta di fatto che i cinque maggiori produttori mondiali di pesticidi ricavano un terzo del loro fatturato dalla vendita di prodotti classificati come «altamente pericolosi» per gli esseri umani, animali ed ecosistemi. Marcos Orellana, relatore speciale Onu per le sostanze tossiche e i diritti umani, nel denunciare il commercio dei pesticidi vietati, ha parlato di «odioso doppio standard e di palese violazione dei diritti delle persone alla salute, una forma di sfruttamento nei campi del Sud del mondo».
L’IPOCRISIA TOSSICA dei legislatori europei non è priva di conseguenze. Quanti dei pesticidi vietati che vengono esportati rientrano sulle nostre tavole attraverso i cereali, le leguminose e la frutta che importiamo? Siamo di fronte a un effetto boomerang la cui portata non è stata ancora valutata adeguatamente. Il «caso Brasile» può essere indicativo della situazione attuale. Il paese è il più grande importatore di agrotossici, sia di quelli autorizzati che di quelli vietati, ma è diventato anche il primo esportatore mondiale di prodotti alimentari verso i paesi dell’Ue (soia, mais, carne, zucchero, caffè, succo d’arancia, frutta). Senza una legislazione adeguata che metta fine al doppio standard attualmente in vigore, il Brasile diventa il più grande distributore di pesticidi vietati attraverso i prodotti che esporta.
Fonte: ilmanifesto.it - 2 ottobre 2025