DONNE E GUERRA. Rita Segato contro la legge del potere di morte
- LE MALETESTE

- 24 nov
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Aggiornamento: 25 nov

21 Novembre 2025
Le ricerche di Rita Segato, antropologa, scrittrice e attivista argentina sulla violenza di genere e, in particolare, le sue riflessioni sui femminicidi a Ciudad Juárez (Messico) sono un riferimento fondamentale negli studi femministi.
Segato ritiene che la violenza maschile sia una questione di potere. Questo la porta a concepire il genocidio di Gaza come un’esibizione della «legge del potere di morte». Parliamo qui del genere come potere, dell’emergere di una nuova «etica» nel mondo in crisi e delle complesse strategie attuali del potere imperiale.
Hai studiato qualcosa che solo Frantz Fanon poteva fare, cioè ascoltare gli stupratori e le donne violentate, che permette di conoscere a fondo i comportamenti patriarcali. Quando parli della crisi della fine dell’umano, quali cambiamenti puoi vedere rispetto a quei mostruosi violentatori che hai intervistato anni fa?
Quello che ho scoperto in quel momento, e ho chiamato la fratria maschile, è il fatto che nello stupro c’è una disciplina della vittima, un rapporto verticale in cui la vittima è controllata, dominata, disciplinata, oppressa dal personaggio dello stupratore, che rappresenta la mascolinità. Ma c’è un’altra linea, un asse orizzontale, in cui il suo atto è diretto agli occhi degli altri uomini. L’analisi femminista si è sempre concentrata sul rapporto aggressore-aggressione, ma io affronto il rapporto ponendo l’attenzione anche sugli occhi che vedono lo stupro come spettacolo, quindi parlo di quel crimine come violenza espressiva, una denominazione molto valida. Non è una violenza strumentale, utilitaria della libido maschile che si appropria del corpo della donna. Chiariamo subito una cosa. L’ho detto finora: il crimine patriarcale è un crimine politico, non morale, religioso o consuetudinario. È la forma primaria di oppressione e di estrazione di plusvalore. E potremmo dire senza timore di sbagliarci che è un plusvalore di prestigio, di status.
Se lo stupro è un fatto politico, di affermazione del potere, l’esibizione ha altri oggetti che non sono solo le vittime…
Enfatizzo la questione della relazione tra gli uomini e credo che la novità del mio argomento sia l’enfasi nel dire che questa estrazione di valore dal corpo delle donne è la gioia, una gioia narcisistica, autoreferenziale. Il mio è un’analisi del potere che si appaga per la sua esposizione ad altri uomini e alla società. Il buon senso che abbiamo inculcato ci insegna a percepire lo stupratore come un soggetto anomalo, deviante, solitario, ma, tuttavia, le statistiche ci mostrano che la maggior parte dei crimini di stupro sono perpetrati in gruppi, in bande. Si tratta di un crimine «nella società».
Come si relaziona questa fratria del potere maschile con le guerre attuali?
L’aggressione sessuale è un crimine che, nonostante la quantità di leggi già ratificate, non può essere controllato. Questo tipo di violenza non cede. Ciò che accade nel presente è che la fratellanza maschile, la fratellanza maschile che ora descrivo come corporazione maschile, basata sulla lealtà degli uomini tra loro e sul carattere gerarchico della mascolinità, è una struttura che si replica e riproduce in tutti gli ordini, in tutte le società, in tutte le gerarchie, in tutti i rapporti in cui vediamo potere e disuguaglianza. Sono repliche di questo primo e basale ordine corporativo. Da lì viene anche la guerra. Parlando una volta a Buenaventura, costa del Pacifico colombiano, uno spazio iperviolento, qualcuno del pubblico mi ha chiesto: «Come si finisce questa guerra, che non può finire con un patto o un’amnistia perché è una guerra totalmente informale?». Una tale guerra si ferma smontando il mandato di mascolinità, che è il dispositivo che permette di reclutare i soldatini che formeranno le fazioni belliche.
E come appare il genocidio del popolo palestinese in questa deriva analitica?
Gaza è in apparenza un lontano arco del crimine dello stupratore comune, che fa uno spettacolo della sua potenza, che ha bisogno di esibirla, il che gli dà il titolo di maschio. Ma Gaza è anche uno spettacolo. Il genocidio di Gaza è totalmente diverso da tutti i precedenti genocidi che hanno colpito l’umanità. Perché tutti gli altri ancora invocavano la finzione giuridica, si nascondevano dietro l’ordine del diritto. Il primo genocidio e il più grande di tutti è stato la Conquista, e ci hanno sempre detto che a quel tempo regnavano le leggi delle Indie. Ma nessuno può credere che dal sud della Penisola, dall’altro lato del grande mare fino al Nuovo Mondo, queste leggi avessero qualche capacità di condurre alla vita. Qui c’è una palese menzogna, perché il continente latinoamericano è stato conquistato da bande, che erano di fatto i gruppi armati che hanno ripulito il territorio. In Brasile queste bande hanno persino un nome e un monumento a San Pablo: i bandeirantes.
Bande che hanno un sacco dei gruppi di stupratori attuali. In entrambi i casi sono maschi predatori della vita, delle donne e della natura.
Certo, i bandeirantes percorsero tutto il territorio portoghese uccidendo indiani e ogni animale che trovavano, ripulendo i territori per poterli occupare. Il carattere fondante e fondamentale che hanno avuto le bande nella pulizia del nostro continente è la chiave per capire Gaza.
Ho la sensazione che, mentre gli stupratori di Ciudad Juárez non ti abbiano disconnesso dal non-umano, Gaza sì, nonostante l’indignazione. Forse perché quest’ultima rappresenta una rottura con il concetto di “essere umano”.
Questo genocidio è un punto di svolta della storia. Perché nell’Olocausto si poteva vedere, in filmati, la sorpresa degli eserciti alleati quando entravano in un campo di concentramento. Si poteva percepire in coloro che arrivavano la perplessità e l’orrore che sperimentavano perché era stato nascosto al mondo ciò che stava accadendo nei lager, perché c’era ancora un simulacro giuridico vigente, esisteva ancora una grammatica giuridica. Nel mio testo del 2009, Il grido inudibile, casualmente ripubblicato nel libro Scene di un pensiero imbarazzante nel 2023, ho detto che con lo sterminio palestinese è finita la grammatica giuridica. Quando non c’è più una legge che sia in grado di governare il comportamento, rimane solo la forza. La legge è una fede, una finzione, un discorso in cui mettiamo credito. Ma quella finzione giuridica cadde con Gaza. La credenza che esistesse un ordinamento giuridico che permettesse l’aspettativa di comportamento è scomparsa. Non si può non sapere cosa sta succedendo a Gaza. Con questa esibizione senza pudore e senza alcun diritto che la contenga, si può dire che Gaza annuncia che una nuova legge è in vigore, che è la legge del potere di morte. Il potere della morte è la legge. D’altra parte, nei momenti di divagazione, mi viene in mente che il sacrificio di Gaza è una specie di nuova crocifissione, proprio nello stesso luogo, che avrà come conseguenza di illuminare le coscienze in un modo nuovo. È una specie di epifania, e rendersi conto mi porta molte volte ad affermare che si tratta di un punto di svolta della storia, un cambiamento d’era. Persino alcuni membri delle forze armate degli Stati Uniti stanno gridando il loro disaccordo. Gaza illumina le coscienze in un modo nuovo.
I nazisti nascondevano i campi, così come le dittature del Cono Sud (Argentina, Cile, Uruguay, ndt) nascondevano i centri di detenzione. Non osavano mostrare le torture alla loro stessa popolazione. Benjamin Netanyahu, al contrario, dice ai suoi che lo sterminio è necessario e lo dimostra.
È una cosa quasi incredibile, enunciano, dicono senza la minima vergogna che stanno uccidendo per occupare quelle terre e fare affari. Ci sono registrazioni di soldati e anche civili israeliani che affermano l’importanza di uccidere tutti i palestinesi senza alcun problema etico o morale. Né legale.
Durante la Conquista ci fu un noto dibattito tra Juan Ginés de Sepúlveda e Bartolomé de las Casas sul fatto che gli indigeni avessero un’anima; un dibattito di alto contenuto etico e politico. Ma qui tutto si riduce al potere di morte.
È la novità del nostro tempo. Perché il potere di morte ha sostituito il diritto o, meglio, si è costituito esplicitamente nel diritto. Possiamo pensare che con la scomparsa della ragione umanitaria dall’orizzonte storico della nostra epoca sia caduta l’etica? Non lo vedo così. Ci troviamo di fronte a una nuova etica che si basa su idee che Hannah Arendt sviluppa in L’origine del totalitarismo, quando dice che sia nello stalinismo che nel fascismo emerge un diritto più rilevante dei diritti delle persone, che è il diritto della storia. Per i nazisti, il diritto della storia è costruito a partire dall’idea di una razza superiore, con l’obiettivo di ottenere la purezza della razza ariana. La legge storica, dunque, è quella che determina lo sterminio di tutto ciò che impedisce questo transito. Nel caso dello stalinismo, è un mondo egualitario senza classi. Tutto ciò che è disfunzionale, tutto ciò che impedisce o disturba il transito storico verso la destinazione preconcepita come obbligatoria, potrà essere eliminato.
Come interviene il capitalismo?
Oggi, la concezione della storia sostiene l’accumulo-concentrazione come valore, come il valore che orienta il corso della storia. Quasi direi che è la nuova utopia della storia, per quanto incredibile possa sembrare a molti. Tutto ciò che è disfunzionale all’accumulo-concentrazione deve essere eliminato. L’umanità perfetta è quella dei proprietari. Il dominio in corso del pianeta determina l’esistenza di un’eccedenza umana, quelli che non sono funzionali al processo di dominio, al processo dell’accumulazione del capitale, sono destinati alla morte. Questa è l’ideologia del presente.
È il caso dei Donald Trump, Javier Milei e direi di tutta l’estrema destra europea e buona parte della destra.
Non è, come pensiamo noi che lo facciamo dal campo critico, che c’è una crisi etica. C’è un’altra etica, un’altra ideologia che è diventata egemonica. Ci troviamo di fronte a un quadro di valori che afferma il diritto, il dovere dell’accumulazione come superiore ai diritti delle persone. Questo capitalismo non è di sfruttamento del lavoro salariato, ma soprattutto di spogliamento, di guerra contro i popoli e la madre terra… , in cui una piccolissima minoranza si impadronisce del pianeta. Non dobbiamo più parlare di ineguaglianza perché è poco, ma di proprietà. Arendt menziona in un piè di pagina che Hitler, nel suo diario, scrive che i prossimi ad essere sterminati sarebbero i cardiaci.
Ma tutti loro sono stati eletti democraticamente.
Le definizioni di democrazia affermano, erroneamente, che una maggioranza nelle elezioni garantisce un ordine democratico. È un grande errore perché permette di intendere per democrazia una dittatura della maggioranza. Ci sono alcuni eletti che trasformano la democrazia in una dittatura. Non possiamo dimenticare che non c’è democrazia possibile senza pluralismo. C’è qualcosa che sta succedendo che è molto difficile da capire nella storia degli Stati Uniti in questo momento. È sorprendente il cambiamento di strategia nella guida di quel paese. E questo, che deve essere notato e considerato, si presenta difficile da capire perché è un rifiuto di una strategia di mezzo secolo. Pensiamo: quando finisce la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti sottraggono un vantaggio alla Russia – che, sebbene sia stata fondamentale nella vittoria contro il nazismo, non può approfittarne – si presenta al mondo come la democrazia, la sua cartolina al mondo è l’immagine di un paese che ha distrutto il male del totalitarismo. Da lì si costituisce come una nazione montata su due zampe: una di queste è il potere stesso, economico e bellico. Cioè la nazione più ricca e meglio armata del mondo e, progressivamente, con la migliore intelligenza bellica (spionaggio, capacità di infiltrazione, ecc.). Ma l’altra gamba su cui poggia la sua potenza è quella dell’egemonia: la «finzione democratica», la «finzione giuridica» di pieni diritti per la loro cittadinanza.
L’egemonia era il potere di seduzione degli Stati Uniti, la terra della libertà dove migrano i perseguitati dal nazismo e dal fascismo, ma anche quelli perseguitati da Stalin. Un paese che sembrava offrire opportunità a tutti.
Esatto. Dopo il 1948, in una seconda tappa di questo processo di costruzione del l’egemonia nel mondo, cioè della presentazione al mondo di una serie di valori capaci di rappresentare gli interessi di tutta la gente, sorge un pezzo mancante, assunto negli anni ’60 da Lyndon Johnson, dopo l’assassinio di John F. Kennedy: la lotta contro il razzismo e la fine dell’apartheid negli stati del sud; la grande legge sui diritti civili, che proibiva la discriminazione razziale e la segregazione negli spazi pubblici, nell’istruzione e nel lavoro, e la legge sul diritto di voto degli afroamericani e delle altre minoranze. Sono convinta che quest’ultimo dimostra questo impegno per il consolidamento dell’egemonia dei valori americani nel mondo. È un primo passo negli anni sessanta, attraverso il quale questa democrazia diffonde l’idea dell’integrazione razziale. In un secondo momento, viene presentato il passo successivo di tale sforzo e si verifica in concomitanza con la caduta del muro di Berlino. Gli Stati Uniti danno un nuovo passo egemonico che è il multiculturalismo, che intendo come contropartita al gesto di restituire i loro stati alle nazioni che componevano l’Unione Sovietica. Due gesti, est e ovest, di stampo democratico. Il gesto del mondo capitalista, liberale, il gesto dell’Occidente, chiama e rende visibili quelle che oggi chiamiamo identità politiche e offre loro diritti e risorse. Il mondo passa a percepire le donne, gli afrodiscendenti, gli indigeni, le sessualità dissidenti LGBTTTIQ+ come identità querelanti sulla scena pubblica. Di ciascuno di questi appezzamenti, come ha sottolineato il grande intellettuale nero statunitense Cornel West, una parte otterrà l’inclusione e un’altra parte, la maggioranza, rimarrà esclusa. Analizzo a lungo questo tema nel mio libro La nazione e i suoi altri del 2017,e oggi sono fortemente critica della trappola della minoritarizzazione nella quale ci ha immerso il multiculturalismo. La proposta multiculturale, sostenuta da fondi di tutti gli organi di cooperazione statunitensi, è stata un terzo momento di costruzione e sforzo per l’egemonia.
Perché dici questo del multiculturalismo?
Perché ha chiaramente costruito un regime di colonialità all’interno dei movimenti sociali. All’interno del movimento nero, per esempio, impone forme di auto-identificazione, comportamenti, costruzione dell’immagine e lotta che non nascono dalla storia coloniale e schiavista della latinità. Nel mio libro sul tema insisto su una distinzione tra identità politiche multiculturali e «alterità storiche», che nascono da altre storie, con strutture di alienazione, discriminazione ed esclusione proprie. Le donne del mondo hanno percepito e denunciato il carattere colonizzatore del femminismo eurocentrico. In Brasile, per esempio, è molto chiara la forma di discriminazione e dominazione all’interno del movimento LGBTQ+, che, sebbene abbia permesso conquiste, allo stesso tempo ha imposto, a volte in modo doloroso, il suo modello. Nelle nostre società ci sono forme molto ancestrali di uomini femminili. Nel candomblé c’è una transitività di genere molto forte. Ma appare il gay statunitense che deve andare in palestra, creare muscolatura, e passa ad imporsi come modello. Questo è uno degli esempi della colonialità all’interno dei movimenti sociali. Oggi posso dire che sono fortemente critica dell’identitarismo, della minoritarizzazione e del wokismo. Ogni differenza è universale. Menziono tutto questo per rendere visibile che ci sono state almeno tre fasi dello sforzo degli Stati Uniti per presentare al mondo e, in verità, influenzare il mondo attraverso la costruzione di progetti di immagine democratica. Questo è ciò che sto descrivendo come la costruzione di un’egemonia mondiale. Questi tre periodi – la vittoria sull’oppressione nazista nella seconda guerra mondiale, la fine dell’apartheid e il multiculturalismo – sono stati parte del progetto egemonico degli Stati Uniti. Anche la scienza e l’industria cinematografica e televisiva fanno parte di questa strategia. Ma, e questo è ciò che bisogna capire, la strategia dell’egemonia viene improvvisamente cancellata. L’idea di una nazione democratica viene distrutta e il mondo assiste a un cambiamento radicale di rotta, un cambio di discorso e di costruzione d’immagine radicale. Sono convinta che il nostro sforzo d’ora in poi sia quello di cercare di capire perché il Nord si decide per questo cambiamento di strategia e di rotta. Perché sceglie la costruzione di un’altra immagine per se stesso, in cui la misoginia, il razzismo, la guerra, lo sterminio e persino l’appoggio al genocidio diventano la cartolina, l’auto-immagine della nazione presentata al mondo. Perché si rinuncia al progetto di paese egemonico, in termini di valori e immagine democratica. Quale strategia lo sostituisce?
Fonte: COMUNE (https://comune-info.net/contro-la-legge-del-potere-di-morte/ ) - 21 nov. 2025
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