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DARIO SALVETTI. Il negazionismo climatico è la psicologia di massa del militarismo

Immagine del redattore: LE MALETESTELE MALETESTE


4 marzo 2025, 9.28


Il negazionismo climatico è la psicologia di massa del militarismo.

E quello europeo non fa eccezione. Anzi.


Il riarmo è la fine evidente di qualsiasi obiettivo ipocrita di transizione climatica dall'alto.


Nel 2023 la spesa militare in Europa è aumentata del 18%, con l'aumento più alto dal 1989. E non siamo ancora a nulla. L'industria bellica, esclusa dai computi della produzione di Co2 è tra le più energivore. Le forze armate in Europa producono tanto Co2 quanto un intero paese come la Danimarca o la Svezia.

Un simile scenario non può che riflettersi in un passaggio da una transizione climatica ipocritamente promessa e non realizzata a esplicitamente negata.


Questo va ovviamente aggiunto a tutti gli altri danni provocati dal riarmo. Potrei citare l'austerità, i tagli allo stato sociale o banalmente, "banalmente", il massacro di milioni di persone.


Qualcuno potrebbe provare a incensare questo scenario di morte con un "almeno si reindustrializza l'Europa e si torna a lavorare". Al di là di quanto sia aberrante questa concezione, essa è falsa perfino nelle sue aberranti premesse.

La reindustrializzazione è un fenomeno complesso, che senza cambio sociale, ha dei limiti oggettivi di tempo e sviluppo in una società dominata dalla finanziarizzazione oligarchica. Non ci saranno opulenti e ampi distretti industriali creati dal riarmo, dove magari un sindacato potrà sperare di strappare salario e lavoro.

Ci saranno sempre più, pochi, grandi, inquietanti, colossi militari, con un peso specifico crescente rispetto al resto dell'economia, "protetti" all'interno da un asfissiante patto corporativo.

Ci sarà un costante aumento nel tempo del legame tra Borsa e cannone, mentre il grosso della società continuerà a sprofondare in una economia dei servizi e dei lavoretti.


E dentro simili colossi militari non esisterà sindacato e, se esisterà, non sarà di certo né quello dello sciopero generale ma nemmeno quello del referendum. Ma della repressione corporativa.

La gravissima adesione alla piazza del 15 marzo non sarebbe nemmeno il riflesso di una aberrante convenienza economica ma di pura ideologia debole. Come dire, qua non siamo nemmeno a "burro e cannoni". Ma cannoni e ideologia, la loro.


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