EUROPA IN GUERRA. Italia, Francia e Germania per il ripristino della leva militare e il riarmo
- LE MALETESTE

- 6 giorni fa
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Crosetto: “Reintrodurre la leva militare in Italia? Presenterò una bozza di disegno di legge”.
Il ministro della Difesa annuncia una proposta per aumentare il numero di militari in Italia "su base volontaria", seguendo l'esempio di Francia e Germania. Critiche dalle opposizioni
di Redazione Politica - IL FATTO QUOTIDIANO
27 novembre 2025
“Reintrodurre in Italia un nuovo servizio militare, come in Francia e in Germania? Se lo deciderà il Parlamento sì”. Parola del ministro della Difesa Guido Crosetto secondo il quale “va fatta una riflessione sul numero delle forze armate, sulla riserva che potremmo mettere in campo in caso di situazioni di crisi”. Crosetto pertanto vuole tornare a discutere di servizio militare con una proposta con la reintroduzione della leva su base volontaria e non obbligatoria, specifica.
Mentre la Francia annuncia il ripristino di 10 mesi di leva e la Germania mette in campo una serie di novità per potenziare l’esercito (con l’obiettivo di diventare “il più forte in Europa entro il 2029”), in Italia è il ministro della Difesa a “scaldare le truppe” provocando le critiche dei partiti di opposizione.
La proposta di Crosetto
Da Parigi – dove ieri ha incontrato la sua omologa francese, Catherine Vautrin – Crosetto spiega che “se la visione che noi abbiamo del futuro è una visione nella quale c’è minore sicurezza, una riflessione sul numero delle forze armate va fatta”. Per questo annuncia che proporrà, prima in Consiglio dei ministro e poi in Parlamento, “una bozza di disegno di legge da discutere che garantisca la difesa del Paese nei prossimi anni e che non parlerà soltanto di numero di militari ma proprio di organizzazione e di regole”.
Per Crosetto anche l’Italia deve muoversi a causa di un futuro che definisce “meno sicuro”: “Tutte le nazioni europee, mettono in discussione quei modelli che avevamo costruito 10-15 anni fa e tutti stanno pensando di aumentare il numero delle forze armate”. In passato, osserva, “abbiamo costruito negli anni scorsi modelli che riducevano il numero dei militari”. “Anche noi in Italia – ribadisce il ministro – dovremmo porci il tema di una riflessione che in qualche modo archivi le scelte fatte di riduzione dello strumento militare e in qualche modo porti a un suo aumento”.
La decisione al Parlamento
“Ognuno ha un suo approccio diverso, alcuni hanno addirittura ripristinato la leva”, spiega Crosetto. Per il ministro le scelte andranno prese in Parlamento: “Le regole nel settore della difesa – dice – devono essere il più condivise possibile e nascere proprio nel luogo di rappresentazione del popolo”. Per questa ragione “più che un decreto legge, penso a una traccia che il ministero della Difesa porterà in Parlamento perché venga discussa, aumentata e integrata e in qualche modo costruisca uno strumento di difesa per il futuro”. Anche il governo italiano, pertanto, intende potenziare il suo esercito. (...)

Roberto Cingolani (Leonardo): “La guerra non sta finendo, buon momento per investire sulla difesa. Altrimenti ci sterminano”
Il manager del colosso delle armi lo dice in premessa: "Sono in conflitto di interesse". Poi elogia la spesa per il riarmo, unico argine alla vittoria del nemico senza scrupoli. Mentre "noi abbiamo ancora dei vincoli etici"
di F. Q. - IL FATTO QUOTIDIANO
27 novembre 2025
“Sono in conflitto di interesse, ma vi dico chiaramente che se c’è un momento in cui bisogna investire sulla difesa, è questo perché non sta finendo la guerra, sta iniziando la guerra nuova”. Parola di Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, campione nazionale nel settore difesa e aerospazio. L’ex ministro della Transizione Ecologica nel governo Draghi (sponsorizzato al tempo da Beppe Grillo) ha perorato l’acquisto di armi e strumenti di difesa durante la presentazione del Michelangelo Dome, una tecnologia basata sull’intelligenza artificiale. Nel contesto della guerra in Ucraina, Cingolani ha citato “18.000 casi di attacco ibrido all’anno nelle grandi nazioni”, prima di mettere in guardia: “I prossimi anni di pace apparente potrebbero essere gli anni necessari a chi attacca da sempre per sviluppare armi che sono difficili da neutralizzare”, aggiunge.
Cingolani l’ha detto in premessa: “sono in conflitto di interessi”. Lunedì scorso Leonardo ha ceduto in borsa il 2,2%, ma non è stata la sola. L’indice del settore, lo Stoxx Aerospace & Defence, ha iniziato la settimana perdendo l’1,7%, dopo il -3% di venerdì, toccando i minimi da fine agosto. Il pressing degli Stati uniti per chiudere il conflitto in Ucraina ha rallentato la corsa dei titoli della difesa europei. L’indice europeo in una settimana è arretrato del 7,8 per cento. Ma giova ricordare come l’indice Stoxx Europe Total Market Aerospace & Defense, resta su livelli superiori di quasi il 200% rispetto a quelli precedenti l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.
Nel suo discorso, Cingolani ha ricordato come “la pace va difesa, ma ha un costo, non è gratuita”. Se in futuro “il discorso diventasse serio, quello che temono ali servizi segreti, dovremo essere pronti a proteggere i nostri paesi, lo standard della vita occidentale”, ha proseguito il manager di Leonardo. Che a un certo punto ha virato su toni apocalittici: secondo Cingolani l’Occidente dovrà unire le forze per realizzare delle tecnologie adeguate, “sennò ci sterminano”. Il motivo? L’assenza di scrupoli del nemico. “Noi abbiamo ancora dei vincoli etici che vogliamo rispettare e non sacrificheremo mai mille giovani al giorno – ha dichiarato l’amministratore delegato di Leonardo – mentre i nostri avversari se ne fregano”. Dunque, conclude Cingolani, “se noi intendiamo rispettare le regole di etica della civiltà occidentale, noi dobbiamo mettere su queste tecnologie, sennò ci sterminano“. Eppure non viene mai nominata la Russia.

Francia, Macron ripristina il servizio militare su base volontaria: 10 mesi di leva ma solo “su territorio nazionale”
L'iniziativa sarà rivolta ai giovani tra i 18 e i 25 anni, per l'estate 2026 si punta a 3.000 adesioni, 50.000 entro il 2035. Per trovare i fondi si punta alla legge di programmazione 2026-2030, con un budget aggiuntivo di oltre due miliardi di euro
di Valerio Cattano - IL FATTO QUOTIDIANO
27 novembre 2025
Dal 12 gennaio 2026 la Francia avvierà il servizio militare volontario: il presidente Emmanuel Macron, durante la presentazione dell’iniziativa avvenuta nella base della 27a Brigata di fanteria da montagna, a Varces (Isère), ha sottolineato che l’impegno sarà richiesto solo sul territorio nazionale. I dettagli si possono già trovare sul sito web dell’Armée: i candidati che supereranno la selezione riceveranno uno stipendio mensile di circa 800 euro lordi, esclusi i bonus, e beneficeranno di uno sconto del 75% sulle tariffe ferroviarie SNCF. Come avviene in questi casi, vitto e alloggio saranno a carico dell’esercito.
La prima selezione avverrà su questi requisiti: cittadinanza francese, buone condizioni di salute, età compresa tra i 18 e i 25 anni. È inoltre necessario aver completato la giornata di servizio nazionale (Journée Défense et Citoyenneté): si tratta di una iniziativa che fu avviata in seguito alla sospensione nel 1997 del servizio nazionale militare obbligatorio. La Giornata di Preparazione alla Difesa (JAPD), è poi divenuta Giornata della Difesa e della Cittadinanza (JDC) nel 2011, obbligatoria per uomini e donne, dai 16 ai 25 anni.
Macron ha definito lo sforzo economico per avviare il servizio militare volontario “essenziale”, e attingerà alla legge di programmazione militare 2026-2030, con un budget aggiuntivo di oltre due miliardi di euro. Il capo dell’Eliseo ha snocciolato questi numeri: “3.000 giovani saranno selezionati per svolgere il servizio nazionale nell’estate del 2026 e il numero dei partecipanti aumenterà gradualmente fino a raggiungere i 10.000 entro il 2030. La mia ambizione è raggiungere i 50.000 entro il 2035”.
Il presidente francese ha anche tracciato uno schema futuro per la forza armata francese: “Questo nuovo modello si baserà su un nucleo: l’esercito attivo che conosciamo dalla fine degli anni ’90, rafforzato dai professionisti della riserva, il cui numero passerà da 45.000 a 80.000 nel 2030. Ma sarà anche completato da una forza proveniente dai giovani”.
L’iniziativa si inquadra nel contesto storico che in Europa è mutato in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel febbraio 2022. La Francia, assieme a Germania e Regno Unito, è stata e continua a essere tra le nazioni che vogliono proseguire il sostegno a Kiev, contestando in alcune fasi le iniziative di un “piano di pace” americano promosso dal Donald Trump, giudicato sbilanciato in favore di Mosca. C’è poi la percezione che l’attacco della Russia abbia messo a nudo la fragilità del sistema di difesa europeo, troppo adagiato sul sostegno degli Stati Uniti alla Nato. Così, la Francia si muove sulla scia della Germania cercando di attrarre nuove reclute e ripristinando la leva volontaria; lo stesso obiettivo si pongono Polonia, Paesi Bassi, Romania e Bulgaria. Attualmente, le forze armate francesi contano circa 200.000 militari e 47.000 riservisti, che dovrebbero aumentare entro il 2030 a 210.000 e 80.000. (...)

Riarmo UE: la Commissione apre anche ad armi nucleari e all’uranio impoverito
di Valeria Casolaro - L'INDIPENDENTE
27 Novembre 2025 - 9:25
La Commissione europea vuole reintrodurre la possibilità di investire in armi controverse. L’esecutivo comunitario ha infatti proposto una modifica al testo che definisce il progetto industriale e di riarmo Prontezza 2030, sostituendo il termine «armi controverse» con il termine «armi vietate», in un passaggio che definisce i progetti da escludere. I partiti The Left, Socialisti e Verdi hanno avanzato obiezioni sulla modifica, respinte dal parlamento, sottolineando che essa «limita l’ambito di applicazione dei tipi di armi esclusi a sole quattro categorie, nello specifico le mine antipersona, le munizioni a grappolo, le armi biologiche e le armi chimiche», finendo per includere nei potenziali investimenti anche armi nucleari, all’uranio impoverito, o dispositivi incendiari.
Nella sua proposta, la Commissione scrive che la definizione di armi controverse contenuta nel regolamento UE «lascia troppa incertezza e confusione per gli amministratori e dovrebbe essere chiarita e semplificata, in particolare perché i trattati e le convenzioni internazionali pertinenti di cui gli Stati membri sono parti non fanno riferimento alle armi controverse, ma piuttosto alle armi proibite». Il motivo è sempre lo stesso: potenziare la prontezza della difesa europea, programma che prevede l’investimento di 800 miliardi entro il 2030.
Con la nuova modifica, dunque, le armi proibite si limiterebbero a «mine antiuomo, munizioni a grappolo, armi biologiche e chimiche il cui uso, possesso, sviluppo, trasferimento, fabbricazione e stoccaggio sono espressamente vietati dalle convenzioni internazionali».
Armamenti quali munizioni all’uranio impoverito, armi incendiarie (quali il fosforo bianco) e nucleari non figurano nell’elenco, potendo dunque potenzialmente essere classificate come idonee per la classificazione ESG (Environmental, Social, Governance, ovvero l’etichetta che valuta la sostenibilità di un’azienda o un investimento sulla base di criteri ambientali, sociali e di governance).
Gli armamenti che rimarrebbero esclusi sono stati oggetto di numerose denunce nel corso della storia, proprio per le conseguenze devastanti derivanti dal loro utilizzo. Nel 2001, la procuratrice del tribunale penale per l’ex Jugoslavia, Carla del Ponte, aveva dichiarato che l’impiego di armi all’uranio impoverito da parte della NATO fosse assimilabile a un crimine di guerra, per via dei gravi danni alla salute che queste causano alle persone che vi sono esposte.
L’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) italiano ha censito all’incirca 8 mila militari che, al ritorno dalle guerre nei Balcani, furono colpiti da diverse malattie, le più frequenti delle quali linfomi di Hodgkin e non Hodgkin e leucemia. Secondo il presidente dell’ONA, Ezio Boanni, almeno 400 persone sono morte per tumori causati dall’esposizione all’uranio impoverito, impiegato nel 1995 e nel 1999 in Bosnia Erzegovina e in Kosovo.
Nel 2013, la Corte dei Conti del Lazio emise una sentenza nella quale si accoglieva il ricorso di un militare che era stato di stanza in Kosovo e ammalatosi successivamente di tumore, nella quale si sottolineava la correlazione tra la malattia e le condizioni ambientali nelle quali l’uomo aveva prestato servizio, confermata sulle perizie eseguite sui tessuti neoplastici dell’uomo. La stessa sentenza dichiarava che la contaminazione era anche avvenuta tramite l’acqua e il cibo approvvigionati in loco.
Per quanto riguarda le armi incendiarie, un esempio micidiale è il fosforo bianco, utilizzato per esempio da Israele in Palestina in varie occasioni, come denunciato dall’ONU stessa. Una delle ultime sarebbe proprio nell’ambito dell’aggressione in Libano, secondo quanto dimostrerebbero le immagini raccolte da Amnesty. L’attacco sarebbe stato condotto il 13 ottobre 2023 contro obiettivi civili nel villaggio di Dhayra, nel Libano meridionale. Il fosforo bianco è una sostanza incendiaria che brucia una volta esposto all’aria: chi vi entra in contatto può incorrere in danni respiratori gravi, insufficienze al funzionamento di organi vitali e altri danni permanenti.

L’Italia destinerà il 41% dei fondi per l’industria alla produzioni di armi
di Giorgia Audiello - L'INDIPENDENTE
26 Novembre 2025 - 15:16
Il governo italiano ha deciso di sacrificare la crescita e lo sviluppo industriale della Penisola sull’altare del settore della Difesa. In base ai documenti di contabilità pubblica e come riportato dal Sole 24 Ore, infatti, emerge che nel triennio 2026-2028 la difesa assorbirà il 40,9% dei fondi previsti per il ministero delle Imprese e del made in Italy, vale a dire 10,29 miliardi di euro su 25,16 miliardi totali.
Si tratta di dati che si ottengono incrociando gli allegati al disegno di legge di bilancio, in esame al Parlamento, con quelli dell’ultimo Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp).
Il ministero delle Imprese e del Made in Italy, dunque, è stato scelto come canale per finanziare il riarmo, secondo una linea politica che si sta affermando in buona parte degli Stati europei e fortemente caldeggiata da Bruxelles e dall’Alleanza Atlantica.
Il tutto avviene proprio in un lungo periodo di declino per l’industria italiana e in generale europea.
«Per contribuire al rafforzamento della capacità di difesa europea e al consolidamento del pilastro europeo della Nato, l’Italia sta assumendo un ruolo attivo nell’aumento degli investimenti nel settore della difesa, nella maggiore integrazione industriale e nel sostegno a programmi congiunti di ricerca e sviluppo», si legge nel Dpfp.
La rilevanza conferita al settore bellico è una conseguenza delle conclusioni del Vertice della NATO tenutosi nel giugno 2025, da cui è emerso l’impegno ad aumentare le spese per la difesa, prevedendo di raggiungere entro il 2035 l’obiettivo del 5% in rapporto al Pil.
Secondo il Sole 24 Ore, la tendenza a fare del ministero per l’Industria un canale privilegiato per finanziare il settore del riarmo non è una novità del governo Meloni né dell’ultima manovra. Tuttavia, «solo da quest’anno il documento “Nota illustrativa sulle leggi pluriennali di spesa in conto capitale” allegato al Dpfp (che ha sostituito la vecchia Nadef) consente di fare una proporzione sul budget totale».
Il programma “Interventi in materia di difesa nazionale” da solo vale poco meno di 9,2 miliardi nel triennio, quasi quanto il programma “Incentivazione del sistema produttivo” che, tra gli altri, contiene i contratti di sviluppo (2 miliardi nel triennio), i crediti d’imposta del piano 4.0 (1,4 miliardi), la Nuova Sabatini (1,3 miliardi), gli Ipcei (i progetti di ricerca di comune interesse europeo, 850 milioni), gli Accordi per l’innovazione (300 milioni).
Alla difesa sono destinati anche 1,1 miliardi, sempre nel triennio, per progetti di ricerca e sviluppo nel settore dell’industria aeronautica, parte del programma “Politiche industriali, per la competitività, il made in Italy e gestione delle crisi di impresa”. Le singole tabelle del programma offrono anche i dettagli delle risorse triennali: con oltre 7,3 miliardi si finanzieranno, ad esempio, lo sviluppo e l’acquisizione dei caccia Eurofighter Typhoon e quello delle unità navali della classe Fremm; lo sviluppo del missile Aster 30 Block 1 NT e del sistema missilistico di difesa antimissile e antiaereo FSAF PAAMS.
La legge di stabilità del 2013, inoltre, concede l’autorizzazione pluriennale (555 milioni per l’ultimo triennio) per l’acquisizione di unità da trasporto e sbarco (LHD), di sei pattugliatori polivalenti d’altura, di un’unità di supporto logistico e due unità ad altissima velocità, oltre a unità operative nell’ambito del Programma navale per la tutela della capacità marittima della Difesa e a unità per il progetto Near Future Submarine.
Mentre i fondi destinati allo sviluppo industriale vengono dirottati al settore della Difesa, il quadro dell’industria italiana continua a rimanere cupo: sebbene a settembre 2025, la produzione abbia registrato segnali di ripresa con un aumento del 2,8% rispetto al mese precedente e dell’1,5% su base annua, i problemi che affliggono l’economia italiana e europea sono lontani dall’essere superati.
Dal febbraio 2023 la produzione industriale è calata per 26 mesi consecutivi, prendendo in considerazione la sua variazione tendenziale, ossia in relazione allo stesso mese dell’anno precedente, mentre l’indice PMI del settore manifatturiero è sotto la soglia dei 50 punti da tre anni, tranne qualche piccola variazione in positivo, l’ultima ad agosto, quando è stato a 50,4 per tornare poi di nuovo sotto i 50 punti a settembre.
Tra le cause di questa stagnazione economica ci sono gli alti costi energetici, il difficile contesto internazionale, le politiche “green” dell’Ue e i recenti dazi introdotti da Donald Trump. Ma anche la recessione dell’economia tedesca che si riversa su quella italiana. Uno dei problemi più urgenti però è quello del costo dell’energia, mediamente più cara rispetto agli altri Paesi europei: secondo uno studio di Confindustria nel 2024 le imprese italiane hanno pagato l’elettricità l’87 per cento in più rispetto alla Francia, il 72 per cento in più della Spagna e quasi il 40 per cento in più della Germania.
A fronte di questo contesto, il governo italiano ha fatto ben poco per diminuire i prezzi dell’energia e risollevare il settore industriale, mentre sembra aver puntato tutto sul settore della Difesa, rispondendo a esigenze e logiche sovranazionali più che alle necessità del Paese reale e della sua economia.

Germania, Lufthansa si arruola: «Pronti a collaborare con la Bundeswehr»
La compagnia aerea si trasforma in una mezza Luftwaffe. Mentre viene svelato il piano «Top confidential» in caso di guerra. Ma è il segreto di pulcinella
di Sebastiano Canetta - IL MANIFESTO
Il dual use civile e militare delle infrastrutture strategiche del paese era previsto da tempo nei piani del governo Merz, come aveva anticipato il quotidiano Handelsblatt già lo scorso aprile, ma ora l’ibridazione parabellum è diventata realtà: la Lufthansa si trasforma in una mezza Luftwaffe mettendosi a piena disposizione dei bisogni delle forze armate che non si limitano al solo trasporto delle truppe in caso di guerra. «Siamo pronti a fare la nostra parte per la sicurezza del paese espandendo la collaborazione con la Bundeswehr» fa sapere Jens Ritter, amministratore delegato della compagnia di bandiera tedesca (da cui dipende anche l’italiana Ita-Airways), prima di squadernare i dettagli dell’intesa.
Ruota intorno a Lufthansa-Techink, la società controllata che si occupa della manutenzione della flotta di velivoli: d’ora in poi la sussidiaria non si occuperà più soltanto dell’efficienza degli Airbus su cui volano i ministri del governo federale e il capo dello stato ma anche dell’addestramento dei soldati, in particolare degli allievi-piloti della marina. Mentre già da sei mesi il personale Lufthansa può offrirsi volontario per prestare servizio nella riserva della Bundeswehr, grazie al nulla osta concesso dalla compagnia aerea con il pre-accordo siglato quest’estate. In più l’aerolinea civile, per la prima volta, si trova catapultata in prima linea della difesa attiva contro i «droni non identificati probabilmente russi» che nelle ultime settimane hanno sorvolato gli aeroporti della Germania imponendo in molti casi la chiusura temporanea.
«Serve una risposta rapida. A Francoforte abbiamo già installato un sistema di rilevamento dei droni ma adesso serve che la tecnologia venga estesa a tutti gli aeroporti» sintetizza il top-manager della Lufthansa di fatto già integrata con il sistema nazionale di difesa aerea. Seguirà l’aeroporto di Monaco, il secondo per volume di traffico, sempre alla luce della «priorità della sicurezza nazionale che deve essere al primo posto», precisa il Ceo della compagnia che fino a ieri aveva come soli obiettivi strategici la competitività della sua offerta commerciale, la puntualità del servizio e la soddisfazione dei passeggeri.
«La chiusura degli aeroporti deve essere prevista come extrema ratio» è l’unica concessione al mondo civile della sfera militare costruita da Lufthansa e Bundeswehr. In questo clima la gru gialla stilizzata, simbolo della compagnia aerea che ad aprile 2026 celebrerà 100 anni dalla fondazione, diventa un falco a servizio dello scenario della guerra prevista «a partire dal 2030», come immagina il governo Merz «in base ai dati dell’intelligence».
In Germania servizi segreti resta sempre e comunque la parola-chiave per leggere il vento della guerra. Specialmente quando si tratta di segreti di pulcinella, come gli stralci del «piano top-confidential della Germania in caso di guerra con la Russia» pubblicato ieri sul Wall Street Journal e rilanciato dalle principali agenzie internazionali. Oltre mille pagine elaborate dai generali della caserma “Julius Leber” di Berlino, la più grande del paese, con le tabelle, le mappe e la strategia logistica per muovere fino a 800 mila soldati sul fronte delle operazioni anche fuori confine. Stupefacente; se non fosse che queste informazioni sono di pubblico dominio sul sito ufficiale della Bundeswehr da ben prima dello «scoop» proveniente dagli Usa. Denominato Operationsplan Deutschland corrisponde alla pianificazione della Bundeswehr di un eventuale attacco dal fronte est così come scritta due anni fa.
All’epoca non era in carica il governo Merz, la situazione militare nel Donbass era ben diversa da oggi e il ritorno del servizio militare era ancora solo un disegno di legge. Un piano che c’entra poco con l’attualità. A meno di non entrare nel terreno minato dei messaggi “subliminali” di avvertimento degli Usa alla Germania.

Crosetto sedotto dal «modello tedesco»
Il ministro vuole 10mila nuovi militari
di Redazione - IL MANIFESTO
A volte ritornano. E questa volta il clima generale appare favorevole assai. Ieri, a margine della sua visita a Parigi, il ministro della difesa Guido Crosetto ha cominciato a ventilare l’idea di reistituire il servizio militare in Italia. Su base volontaria, s’intende. «Se lo deciderà il parlamento sì – ha detto il ministro rispondendo a una domanda dei cronisti -. Io penso di proporre, prima in consiglio ai ministri e poi in parlamento una bozza di disegno di legge da discutere che garantisca la difesa del paese nei prossimi anni e che non parlerà soltanto di numero di militari ma proprio di organizzazione e di regole».
Un disegno di legge, per la verità, esiste già. Giace al Senato dal dicembre del 2022, prevede, oltre alla leva volontaria, una serie di misure organizzative e reca come prima firma quella di Antonio Iannone, di Fratelli d’Italia.
Crosetto pare avere idee simili. «È uno schema non molto diverso da quello tedesco, perché prevede una volontarietà – ha spiegato -. Quello tedesco ha un automatismo che scatta, quello francese è totalmente volontario».
Dalla fine della passata legislatura esiste una legge delega al governo che paventava l’ipotesi di una riserva da diecimila unità da formare e addestrare periodicamente e composta da ex militari o personale specializzato da impiegare nei casi di necessità in eventuali conflitti. Non avrebbe un ruolo operativo questa riserva, ma sarebbe comunque in grado di fornire supporto di tipo logistico e di cooperazione.
Qualche settimana fa, peraltro, Crosetto aveva già cominciato a ragionare su un’ipotesi del genere quando, riferendosi alla legge 244 che fissa il limite del personale della difesa a 170mila unità. «Una legge da buttare via», l’aveva definita il ministro, perché «lo spirito con cui è nata è morto». Al Consiglio supremo della difesa, poi, il ministro aveva informalmente parlato della necessità di avere al più presto un aumento di almeno 10-15mila uomini da formare nell’ambito delle nuove tecnologie e dell’Intelligenza artificiale contro la guerra ibrida già in corso. Almeno cinquemila servirebbero per l’ambito cyber. (...)

Crisi industriale in Europa «Avanti solo la Difesa»
Secondo il report IndustriAll su 18 settori europei solo quello dell'aerospazio mostra segnali di buona salute. Per i sindacati occorre tornare a investire su ricerca e sviluppo
di Albertina Sanchioni - IL MANIFESTO
Su 18 settori industriali europei, solo quello aerospaziale mostra segnali di buona salute. Tutti gli altri arrancano: in testa l’automotive e l’acciaio, fino al farmaceutico e all’energia, sotto i colpi della concorrenza di Stati uniti e Cina. La manifattura automobilistica affronta una transizione caotica verso l’elettrico, senza una strategia comune su ricerca, batterie, infrastrutture di ricarica. L’industria solare europea è stata travolta dalla concorrenza cinese e persino il settore della difesa, pur beneficiando dei piani di riarmo, è a rischio, con una forte presenza statunitense nel continente.
(...) Il nuovo Patto di stabilità oggi ammette flessibilità per la spesa militare, ma continua a comprimere gli investimenti in ricerca e transizione energetica. Intanto, la crisi industriale abbinata alla corsa agli armamenti ha ripercussioni concrete nei territori. Come a Livorno, dove la multinazionale tedesca Rheinmetall ha confermato la volontà di vendere il ramo d’azienda legato all’automotive – di cui fa parte lo stabilimento Pierburg – per concentrarsi sul core business della difesa. In gioco ci sono 240 lavoratori solo nella sede toscana, che ieri hanno scioperato davanti allo stabilimento, chiedendo «un piano industriale chiaro e garanzie concrete sulla continuità produttiva e occupazionale», come dichiarato dalla Cgil.

FRANCIA. Leva militare volontaria, Macron cerca giovani
Dalla prossima estate, Parigi inaugura il Servizio militare volontario, che si rivolge ai giovani di 18 anni, ragazzi e ragazze, per un periodo di 10 mesi, pagato 800 euro al mese
di Anna Maria Merlo - IL MANIFESTO
Dalla prossima estate, la Francia inaugura il Servizio militare volontario, che si rivolge ai giovani di 18 anni, ragazzi e ragazze, per un periodo di 10 mesi, pagato 800 euro al mese. Inizia con un reclutamento, solo su base volontaria, previsto intorno a 2/3mila persone, con un obiettivo di salire a 35/50mila tra dieci anni e più (una piccola percentuale sui circa 800mila giovani che ogni anno compiono 18 anni). Si svolgerà “esclusivamente sul territorio nazionale”, ha precisato Emmanuel Macron, che ha escluso esplicitamente l’invio di questi soldati di leva in Ucraina.
(...) Si tratta di creare un supporto ai 47mila riservisti, che si affiancano oggi all’esercito professionista – il secondo in Europa, dopo la Polonia – che in Francia conta 210mila militari.
(...) Il 10 dicembre, ci sarà un dibattito all’Assemblea nazionale sulla difesa, per votare un aumento dei finanziamenti, malgrado le difficoltà di budget.
Il ritorno della leva, che era stata abolita da Jacques Chirac nel 1997, pone le premesse di un’eventuale più ampia mobilitazione: «In caso di grave crisi, il Parlamento potrà autorizzare la chiamata al di là dei soli volontari».
(...) In Europa, ci sono paesi con leva obbligatoria (Svezia, Finlandia, Danimarca, Baltici, Grecia, Austria, Croazia), altri ci pensano (Polonia, Romania) e altri ancora hanno un servizio su base volontaria (Germania, Olanda, Belgio, Bulgaria, Polonia, Romania). La Spagna lo esclude.
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