
Nella capitale magiara provocazioni e minacce all'esterno del tribunale. In aula un estremista condannato per terrorismo segue l'udienza e il cantante di una band antisemita interviene come «vittima». L'attivista rischia 24 anni di carcere. Il padre: «È un processo politico»
7 marzo 2025
Un centinaio di teste rasate, con uniformi e vessilli neri, hanno atteso ieri davanti al tribunale di Budapest l’arrivo dell’antifascista tedesca Maja T.
I suoi familiari e amici presenti all’udienza hanno raccontato di aver subito intimidazioni e minacce dagli estremisti. È iniziato così il processo che vede alla sbarra l’attivista estradata dalla Germania nell’estate dell’anno scorso.
Le accuse sono analoghe a quelle mosse contro l’europarlamentare Ilaria Salis: aver preso parte ad alcune aggressioni intorno al Giorno dell’Onore 2023. L’11 febbraio è la data in cui ogni anno la città magiara viene raggiunta da nostalgici del Reich per ricordare il tentativo dei soldati nazisti di rompere l’assedio dell’armata rossa (tentativo fallito).
In aula tra il pubblico si è seduto, come mostrano le foto pubblicate dal media The Brake, Gyorgy Budahazy, un personaggio molto noto nell’estrema destra ungherese. Fondatore dell’organizzazione nazionalista Hunnia, nel marzo 2023 è stato «condannato per terrorismo», come riporta la Cnn. Un mese più tardi ha ricevuto l’amnistia in occasione della visita di papa Francesco. È così uscito di prigione: all’esterno lo aspettavano i suoi camerati, che gli hanno messo a disposizione un cavallo per i festeggiamenti.
Nell’udienza di ieri è stato ascoltato László Dudog, uno degli uomini che hanno denunciato di essere stati aggrediti. Le presunte vittime negano di militare nella destra estrema e sostengono di essere comuni cittadini. Sui suoi social, però, Dudog ha caricato foto in cui mostra il tatuaggio 88 (Heil Hitler) e quello di un incappucciato del Ku Klux Klan oppure indossa magliette del network neonazista Blood and Honour. L’uomo è un membro della band Divízió 88, tra le cui canzoni c’è Halálgyár, cioè Fabbrica della morte, che mette in musica versi come: «bambini carbonizzati e puttane ebree torturate» o «l’unica via per la libertà è attraverso il camino» (lo aveva raccontato Mario Di Vito sul manifesto dell’8 febbraio 2024).
Nel processo, Maja T. rischia fino a 24 anni di carcere. In sede di udienza preliminare ha rifiutato di patteggiarne 14. In quell’occasione – entrata in aula con le catene a piedi, mani e intorno al busto – ha spostato le accuse dalla sua persona al sistema giudiziario ungherese: «Budapest viola le garanzie e la legge europea. Questo processo si sarebbe dovuto svolgere in Germania dove avrei potuto difendermi. Oggi qui ci sono soltanto io perché le autorità degli altri paesi membri si rifiutano di cooperare: la giustizia ungherese ha perso ogni credibilità».
Altre pesanti accuse le ha mosse contro il sistema penitenziario che per la sua identità queer la costringe da nove mesi in isolamento e permette l’incontro con la famiglia solo due ore al mese e dietro un plexiglas. «Tutto questo è solo per distruggermi come essere umano», ha dichiarato.
Maja T. è stata estradata in Ungheria dalla Germania il 27 giugno dell’anno scorso. Un vero e proprio blitz della polizia tedesca che, su mandato della Corte d’appello che aveva ritenuto ammissibile il mandato d’arresto europeo, l’ha prelevata nottetempo dal carcere di Dresda e portata oltre confine. Quando la mattina seguente la Corte costituzionale federale di Karlsruhe ha intimato di fermare tutto, e qualche tempo dopo dichiarato illegale il trasferimento, era ormai troppo tardi.
«È un processo politico. Non credo sarà possibile che i giudici decidano in maniera indipendente», afferma Wolfram Jarosch, il padre di Maja T., che denuncia anche le condizioni di detenzione: cibo scarso, solitudine, privazione del sonno. L’attivista ha ricevuto 8mila pagine di documenti dall’accusa ma solo una piccola parte è stata tradotta in tedesco. Tutti questi elementi violano i diritti fondamentali riconosciuti dalle normative europee.
Nello stesso procedimento era stato arrestato Tobias, un antifascista originario della Germania e accusato di crimini minori che ha già scontato la sua pena, e Ilaria Salis, che dopo un anno e quattro mesi di carcere duro preventivo è potuta uscire grazie all’immunità da europarlamentare. La Corte d’appello di Milano ha negato la consegna di Gabriele Marchesi all’inizio del 2024 e mercoledì prossimo si esprimerà quella di Parigi sul caso di Rexhino «Gino» Abazaj, attualmente nella prigione francese di Fresnes. Sette antifa tedeschi, sui nove ricercati, si sono consegnati alle autorità il 20 gennaio con un’unica richiesta: essere processati nel loro paese, possibilità prevista dalla legge.
Dal 4 al 20 giugno si terranno altre cinque udienze del processo contro Maja T.
fonte: ilmanifesto.it - 7 mar. 2025
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