AUGUSTA FARVO
(Milano, 24 marzo 1912 - 20 maggio 2003)
Non si era mai fatta “una famiglia”, figli niente perché – in epoca di coscrizione obbligatoria – non voleva dare carne da macello allo Stato. La sua famiglia erano i compagni di lotta in qualunque angolo del mondo che lei ospitava nella sua casa sempre disponibile all'accoglienza e alla solidarietà.
Augusta nasce a Milano, il 24 marzo 1912, da Modesto Lorenzo e Maria Emilia Motta, giornalaia. Sposata con Erminio Pricchi (unione che dura poco), durante il fascismo apre un chiosco di giornali in pieno centro di Milano. Pur essendo maestra, sceglierà di non insegnare "per non dover raccontare bugie ai bambini".
Durante la Resistenza, Augusta fa parte delle Brigate Bruzzi-Malatesta: nella fase più drammatica della lotta partigiana si adopera per salvare la vita di numerosi compagni, nascondendoli in casa propria.
Allo stesso tempo è attiva durante l'occupazione tedesca offrendo "preziosi servizi alla nostra organizzazione", come afferma la federazione milanese del PCI in un documento datato 4 maggio 1945; un altro documento del Comitato di liberazione nazionale (8 maggio 1945) attesta la sua partecipazione alla resistenza ed invita i Volontari della Libertà a prestarle ogni aiuto in caso di necessità.
Nel dopoguerra la sua casa di sette locali in via Passerella a Milano diventa sede di due circoli, l'uno esperantista, l'altro anarchico e la sua edicola è un punto di riferimento degli anarchici milanese, un luogo dove trovare la varia stampa libertaria, anche internazionale.
La sua casa, luogo di ritrovo e di passaggio, è sempre aperta per l'accoglienza di chiunque abbia bisogno di aiuto: negli anni Cinquanta è un punto di riferimento per gli esuli antifranchisti spagnoli (fra cui Facerias), negli anni Sessanta sono i Provos a transitarvi, negli anni Settanta e Ottanta le nuove generazioni di anarchici.
Donna semplice, libera, autodidatta (come molti anarchici della sua generazione), aperta alle idee e comunicativa, Augusta è stimata da esponenti di tutti i partiti (tra questi, S. Pertini).
Con la strage di Piazza Fontana, 12 dicembre 1969, vive il tormento di tutti i libertari che vengono accusati ingiustamente di aver collocato la bomba mortale anche perché due suoi amici vengono indicati come autori della strage dalla Questura di Milano: Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda.
La casa di Augusta diventa un punto di incontro per le diverse iniziative da intraprendere nella campagna di contro-informazione sulla strage di Stato, e lei stessa inizierà a Roma (Porta S. Giovanni), insieme a Fernando del Grosso, uno sciopero della fame dal 13 al 20 ottobre 1971 per chiedere che venga finalmente fissata una data certa per il processo agli anarchici incriminati per le bombe del 12 dicembre 1969.
Allorché lo Stato sarà costretto ad emanare una legge (subito nota come "Legge Valpreda") per liberare gli arrestati ingiustamente, sarà Augusta ad ospitare Pietro Valpreda a Milano, nella casa di Passaggio Osii.
Muore a Milano il 20 maggio 2003.
da "bfscollezionidigitali.org"
Un ricordo di Joe Fallisi
«Hai fame?», «vuoi fare un bagno?», «vuoi dormire?»… Arrivavi dall’Augusta ed era come entrare in porto. Da qualunque viaggio, o corsa, o tempesta venissi, c’era una compagna, un’Amica che ti aspettava. Prediligeva i «cani sperduti», cui non imponeva nessun collare… Davide si lanciava abbaiando a salutarti e dietro vedevi il corpo esile (sempre più piccolo e lento negli anni) e gli occhi immensi di Augusta. L’avevo conosciuta nell’autunno del ’67, credo il giorno dopo il mio incontro con Pinelli. Lui stesso mi aveva portato all’ultimo piano di passaggio degli Osii 1, in pieno centro. Una stanza lillipuziana e magica, che dava su via Torino e che laggiù, nel traffico, non avresti neanche potuto immaginare. Pinelli, l’Augusta… e tramite loro (molto spesso, la prima volta, in quella casa tra le nuvole) quasi tutti i compagni che avrei amato di più, «vecchi» e giovani: da suo fratello Renzo, a Valpreda, a Leggio, a Del Grosso, a Steve, a Lello…
Non era una «teorica» Augusta Farvo, piuttosto una donna di cuore e di azione – staffetta partigiana, così nella resistenza come in seguito –, ma aveva (fino all’ultimo) una memoria meravigliosa e un giudizio sugli uomini sempre centrato e saggio e sapeva bene quanto contasse, per gli sfruttati, la conoscenza. Autodidatta, come gli altri magnifici «vecchi», critica, libera, non conformista, da lei trovavi tutta la stampa anarchica (compresa «L’adunata dei refrattari»), e i libri, gli opuscoli… Franco Leggio i suoi stupendi testi della collana «Anteo» e della «Rivolta» glieli portava di persona… Penso che la sua edicola-casa sia stata anche la prima libreria libertaria del dopoguerra a Milano, ben prima della Vecchia Talpa, della Calusca, dell’Utopia… Lo rivedo Franco, ma anche Pino o Pietro o Fernando, lì a giocare a scopa con lei, accanto a un bicchiere mai vuoto… Non c’era verso… Era quasi impossibile batterla. Anche Facerias, l’anarchico spagnolo che aveva scelto di non arrendersi, quando passava da Milano, andava a trovarla e… a perdere!
Decisa, coraggiosa, indomita – «insuscettibile di ravvedimento», come il suo amico Failla –, Augusta era stata in prima fila nella difesa ardente della memoria di Pino e della vita e libertà di Valpreda. Per un lungo periodo aveva tenuto, ricordo, nascosti da qualche parte nella sua camera da letto i dischi de «La ballata del Pinelli», per impedire che li sequestrassero… Rivedo zia Rachele, salda come una roccia, seduta al tavolo a parlare con lei degli ultimi sviluppi, di quel che si poteva e doveva fare… o la moglie, dignitosissima, di Pino che passava a trovarla con le bimbe. E poi la solidarietà senza mezze misure verso Pulsinelli, Braschi, Faccioli… manifestazioni, sit-in davanti a San Vittore (nella sera eccola arrivare con un pentolone fumante di minestra!), scioperi della fame…
Indipendente e fiera, ma anche affettuosissima, senza smancerie o sentimentalismi, gli uomini l’Augusta li amava, e li sceglieva lei – e li lasciava… Sette «mariti» o forse più… e nessun figlio, per non dare carne da esercito allo Stato. I figli, del resto, non le mancavano, eravamo tutti noi.