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DANTE CARNESECCHI     (Vezzano Ligure, 12 marzo 1892 - La Spezia, 27 marzo 1921)

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Nativo di Arcola (Sp), è personaggio di rilievo nel movimento anarchico spezzino: uomo audacissimo, il più temibile sovversivo di un gruppo, di cui fanno parte Abele Ricieri Ferrari (“Renzo Novatore”), Tintino Persio Rasi (“Auro d’Arcola”) e Sante Pollastro. Accusato di aver partecipato all’assalto della Polveriera di Vallegrande il 4 giugno 1920, C. viene tratto in arresto nel settembre successivo, dopo l’occupazione delle fabbriche. Il giornale «Il Libertario» di La Spezia racconta che la stampa conservatrice sta facendo “un gran can can per l’arresto del terribile pregiudicato Carnesecchi, sul quale pendevano 4 mandati di cattura, che fu uno degli assalitori della Polveriera e che aveva la casa piena d’armi d’ogni genere. E se non ridi, di che rider suoli? Il Carnesecchi non è mai stato ricercato, tanto vero che tutti lo hanno veduto fino al giorno del suo arresto passeggiare tranquillamente in città e dintorni e perfino in Pretura ed in Tribunale. E nientemeno aveva 4 mandati di cattura! O perché non lo hanno preso prima? Mistero!” Il 7 ottobre 1920 il compagno di lotta  Ferrari scrive: “Dante Carnesecchi è una delle più belle figure dell’individualismo anarchico. Alto, vigoroso, pallido e bruno. Occhi taglienti e penetranti di ribelle e di dominatore. Ha l’agilità di un acrobata ed è dotato di una forza erculea. Ha ventotto anni. È un solitario ed ha pochissimi amici. L’indipendenza è il suo carattere. La volontà è la sua anima. Nelle conversazioni è un vulcano impetuoso di critica corrodente. È sarcastico, ironico, sprezzante […]. È un anarchico veramente individualista”. Rimesso in libertà, dopo sei mesi di carcere preventivo, per mancanza di qualunque indizio, C. è vittima di un agguato ordito da sette carabinieri, ben noti per aver provocato e arrestato altri sovversivi, e viene assassinato al Termo d’Arcola la sera del 27 marzo 1921, a pochi passi da casa sua. “Si trattava” scriverà Tintino Rasi “di una caserma speciale, fuori classe, a cui erano stati chiamati, mediante concorso volontario, una dozzina di militi scelti tra i più brutali e i più sanguinari dell’arma”. Gli anarchici denunciano apertamente i militi e li accusano di avere “proditoriamente e selvaggiamente assassinato” il loro compagno di ideali: il 27 marzo i carabinieri del “Limone” – racconta «Il Libertario» – sono sortiti dalla caserma come “cannibali ebbri ed armati”, al comando di un “nefasto brigadiere”, e si sono recati “al canto provocatore di ‘Bandiera rossa’ ed altri inni sovversivi in ricerca della preda designata al Termo d’Arcola”. Qui hanno schiamazzato, bevuto e costretto, con la violenza, la gente a rincasare, poi sono piombati su C., che usciva di casa con lo zio Azeglio e l’amico Franceschini, portando con sé una chitarra, e hanno brutalmente colpito Azeglio con una frusta e sparato a Franceschini, senza ferirlo. Quanto a C., egli è stato schiaffeggiato dal brigadiere e investito dai militi con “una briaca, tempestosa sfuriata di nervate”, prima di essere abbattuto da una fucilata alla schiena e colpito da numerose rivoltellate e pugnalate, mentre i carabinieri urlavano: “Vigliacco! Voglio spezzarti il cuore con una revolverata!” e il brigadiere ordinava: “Prendi il pugnale, spaccagli il cuore!”. Il 29 marzo 1921 la mamma di C. smentisce la versione dell’accaduto, diffusa da «Il Tirreno» e da altri giornali conservatori, puntualizzando che il 27 marzo i carabinieri hanno ingiunto al figlio e ai suoi due compagni di fermarsi e di alzare le braccia: “Mio figlio e gli altri obbedirono chiedendo a quei sette […] chi fossero. Rispose il brigadiere qualificandosi e mio figlio declinò allora il suo nome. A questo punto il brigadiere, saputo che davanti aveva mio figlio, gli vibrò uno schiaffo e tutti i carabinieri incominciarono a colpire con nerbate e pugnalate i tre disgraziati, i quali tentarono di salvarsi con la fuga. Mio figlio venne travolto e gettato a terra dove fu colpito da vari colpi di rivoltella e di fucile. […]. È pure falso che mio figlio fosse colpito da mandato di cattura”. Migliaia di lavoratori partecipano ai funerali di C., che riescono “seri, imponenti, commoventi”, nonostante gli espedienti della Questura locale, che ha censurato i manifesti degli anarchici e della CdL sindacale. Il carro funebre è coperto di corone, la bara avvolta da un labaro rosso, sul quale è scritto in nero: “Giù le armi”. Sono presenti anarchici, comunisti, socialisti e operai iscritti alla CdL sindacale e a quella confederale. Il saluto all’assassinato è portato da P. Binazzi, direttore de «Il Libertario» della Spezia, e da Ennio Mattias, segretario della CdL sindacalista.

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DOCUMENTI E TESTIMONIANZE.

«Tra quella nidiata d'aquilotti libertari che dai colli arcolani, dominanti a mezzogiorno la conca azzurra del golfo di Spezia e a tramontana la vallata del Magra, spiccavano il volo verso tanti quotidiani ardimenti, si distingueva sopratutti Dante Carnesecchi. Alto, atletico, volto energico, parco di parole, rapido nel gesto, tagliente lo sguardo: una giovinezza creata per l'azione, e nell'azione interamente spesa.Se il tipo assoluto d'Ibsen qualcuno può mai averlo realizzato, questi fu Dante Carnesecchi. Egli era realmente una di quelle eccezionali individualità che bastano a se stesse.Gran parte delle sue gesta rimarranno per sempre ignorate, poiché, fu solo a compierle e ne portò il segreto nella tomba.Non aveva amici, non ne ricercava: non affetti, mollezze, piaceri. In seno alla stessa famiglia viveva senza vincoli. Verso la madre, come verso le sorelle che lo adoravano, si comportava con la freddezza di un estraneo. Egli, a cui pur non difettavano i mezzi, coricava sul duro letto senza materasso, onde evitare di provare dell'attaccamento agli agi di casa. Un individuo simile non era fatto per essere amato. E dell'amore non conobbe né le estasi sublimi, né le dedizioni mortificanti.Strana natura. Perfino verso noi, tra i più vicini, il suo animo insofferente elevava un'ultima barriera isolatrice, come a sottrarsi ed a proteggersi dalle possibilità d'ogni intima comunione. Certo, egli era il più odiato dai nemici nostri, il più temuto dagl'indifferenti, il più ammirato dai compagni e dagli spiriti liberi: ma era anche colui che non si lasciava amare, che non fu amato.Nessuno poteva esercitare un qualsiasi ascendente su di lui. Refrattario ad ogni influenza esteriore, egli era all'altezza delle sue azioni, che mandava in piena consapevolezza ad effetto, fidando solo sulle sue forze.Ogni progetto, riduceva alle proporzioni di un'operazione aritmetica, accomunando ad un'estrema audacia un'estrema prudenza, una piena sicurezza in sé, ed una risolutezza tacita quanto irriducibile. Nello sport quotidiano allenava il corpo alla resistenza, all'agilità, all'acrobazia, alla velocità, e il polso alla fermezza; nella temperanza scrupolosa conservava la pienezza del suo vigore fisico e della sua lucidità mentale; nella musica ricercava le intime sensazioni per ricrearsi liberamente lo spirito.Perciò egli era boxeur, lottatore, ciclista, automobilista, corridore, acrobata, tiratore impareggiabile; suonatore e compositore di un virtuosismo piuttosto arido e cerebrale; ottimo poliglotta».

(stralcio dell'articolo I nostri caduti: Dante Carnesecchi, pubblicato su «L'Adunata dei Refrattari», 1929)

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Nel 1919 Dante nasconde nei suoi boschi Renzo Novatore, ricercato per diserzione dalle autorità italiane, e sempre nello stesso anno partecipa in prima linea ai moti operai a La Spezia e ai disordini contro il carovita.
Il 13 giugno il suo nome compare per la prima volta nelle cronache giudiziarie: a Santo Stefano Magra gli anarchici locali chiamano i compagni spezzini per tenere un comizio rivoluzionario, si presentano Dante Carnesecchi, Tintino Rasi (Auro D'Arcola), Luigi Picchioni e Pasquale Bellotti.
Il maresciallo dei carabinieri vieta il comizio, ma Carnesecchi ha una reazione violentissima, così riportata negli atti processuali:

«...Mentre il Carnesecchi avanzatosi verso il Blanc minacciosamente gesticolando gli gridava: "Ma chi è Lei un prefetto, un viceprefetto? Lei è nulla, vada via. Autorità più non ve ne sono, comandiamo noi. Vogliamo fare quello che abbiamo fatto a Spezia", trovasi al fianco sinistro del vicebrigadiere il Picchioni ed a fianco del carabiniere Vannini il Bellotti, echeggiarono quasi contemporaneamente quattro colpi di rivoltella ed i due militi caddero mortalmente feriti...».

I quattro anarchici fuggono e l'anarchico, sfuggito alla cattura, si dà alla latitanza. Da allora in poi gli avvenimenti si susseguono in una sequenza frenetica e il suo nome compare sempre più spesso nei ritagli dei giornali, sebbene nel gennaio 1920 venga assolto totalmente dall'accusa di omicidio.

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«Dante Carnesecchi è una delle più belle figure dell'individualismo anarchico. Alto, vigoroso, pallido e bruno. Occhi taglienti e penetranti di ribelle e di dominatore. Ha l'agilità di un acrobata ed è dotato di una forza erculea. Ha ventotto anni.

È un solitario ed ha pochissimi amici. L'indipendenza è il suo carattere. La volontà è la sua anima. Nelle conversazioni è un vulcano impetuoso di critica corrodente. È sarcastico, ironico, sprezzante... Sembra un paradossale ed è un logico. Le sue verità bruciano. La sua anima misteriosa e complicata è un mare sempre agitato da furiose tempeste dello spirito. Non ha mai scritto nulla ma ha pensato molto... E il suo pensiero non si aggira nel piccolo cerchio vizioso dei luoghi comuni. Va oltre... Le figure come la sua sono rarissime.
Parlarne troppo a lungo si corre sempre il rischio di guastarle. È un anarchico veramente individualista. Ecco tutto... Ora nel primo rastrellamento di delinquenti sociali fatto nei dintorni di Spezia, per ordine di Giolitti, Olivetti, e D'Aragona, è stato arrestato anche lui. "In una brillante operazione" fatta da cento e più carabinieri del re guidati da un loro ufficiale hanno invaso la sua casa e lo hanno catturato. La stampa merdosa della borghesia idiota e democratica, liberale e monarchica, ne ha dato l'annuncio trionfale ricamandolo di particolari talmente foschi da fare invidia ad uno di quei ripugnanti romanzi che solo quella carogna di Carolina Invernizio, buon' anima, sapeva scrivere. Naturalmente tutto ciò che si è scritto su di lui è falso come è falsa e bugiarda l'anima fangosa e putrida d'ogni miserabile giornalista venduto. Per amore della verità dobbiamo dire (a costo di disonorarlo) che non è pur vero che sia pregiudicato.
È giovane. Ama intensamente la libertà e la vita. Lo vogliamo fuori!
Anarchici individualisti A Noi!» 

(Renzo Novatore da "Il Libertario", 7 ottobre 1920)

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«Durante il periodo dell'immediato dopoguerra, il territorio del circondario di Spezia fu particolare teatro d'una serie incessante di attentati anarchici contro le proprietà, le polveriere, le caserme, le autorità, le reti ferroviarie e telegrafiche. Ingenti patrimoni appartenenti allo Stato ed ai privati andarono distrutti; numerosi carabinieri ed agenti della forza pubblica perirono sotto la folgore della rivolta; il prestigio dell'autorità affogava nel ridicolo; i rivoltosi rimanevano ignoti, malgrado i numerosi arresti a casaccio. Il sospetto dell'autorità ' cadeva sul gruppo d'audaci che scuoteva le basi dell'ordine e della sicurezza borghese. E più del sospetto avevano la certezza che il Carnesecchi fosse tra questi, se non l'anima certamente il più temibile. Ma egli era un giovane senza precedenti giudiziari: un incensurato che non lasciava traccia delle sue colpe. Si tentò, tuttavia, più volte d'incolparlo. Invano. La polizia si accaniva ad arrestarlo. La magistratura mancava d'ogni prova perfino indiziaria per procedere. E non tardava a rilasciarlo in libertà. Non rimaneva che sopprimerlo»

(Auro D'Arcola)

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​«...con tutto ciò egli era lo spauracchio, il babau, lo spettro incubante dell'autorità, solo perché era un anarchico ed una figura fisicamente atletica ed energica. Un insieme di ombre, di esagerazioni iperboliche, di vociferazioni fantastiche valse a creare nell'autorità uno stato d'animo tenebrosamente odioso da indurle, dopo esperita ogni altra via, alla soppressione del nostro amico. Mercoledi, quando il giornale andava in macchina, ebbero luogo i funerali del caro indimenticabile compagno nostro Dante Carnesecchi assassinato dai carabinieri della stazione del Limone. La questura fece del suo meglio per applicare l'ostruzionismo e la censura ai manifesti degli anarchici e della Camera del Lavoro Sindacale. Soltanto alle ore 14,30 poterono essere affissi, vale a dire soltanto due ore e mezzo prima dei funerali... Malgrado questi miserevoli espedienti migliaia di compagni e di lavoratori intervennero ai funerali che riuscirono seri, imponenti, commoventi. Il carro era coperto di corone e la bara era avvolta da un labaro rosso, su cui era scritto in nero: Giù le armi! Vi erano i vessilli degli anarchici, dei comunisti, dei socialisti e delle organizzazioni aderenti alla Camera Sindacale e a quella Confederale. Senza che nessuno l'avesse chiesto spontaneamente nell'ora dei funerali lungo il percorso del corteo, dall'Ospedale Civile per via Provinciale al Cimitero dei Boschetti, tutti i negozi in segno di lutto erano chiusi e tutti salutavano commossi la salma del compagno nostro. Quando il corteo giunse sullo spiazzale della camera mortuaria del Cimitero vi si erano già riversati tutti gli abitanti del Limone, Termo d'Arcola e paesi vicini, accorsi tutti ad attestare la stima e l'affetto al povero assassinato e la protesta contro i suoi assassini. Dissero commoventi ed inspirate parole per gli anarchici il compagno Pasquale Binazzi ed Ennio Mattias per la Camera Sindacale.»

(articolo tratto da «Il Libertario», dal titolo "I funerali di Dante Carnesecchi" del 7 aprile 1921)

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«La sera del 27 marzo, alla stazione di Termo d'Arcola, una squadra di carabinieri vestiti in borghese, usciti fuori dalla nuova caserma messa alla vicina Limone non sappiamo il perché...,  partirono in numero di dieci, bene armati di fucili americani e di pugnali, e bene innaffiati di vino, al canto di "Bandiera rossa" s'avviarono in cerca della vittima da tempo predestinata: Dante Carnesecchi, l'anarchico spauracchio, uscito da pochi giorni dalle carceri di Sarzana ove era stato parecchi mesi in attesa del processo che poi non venne... Egli stava in quell'ora, in casa sua, suonando la chitarra in compagnia di uno zio violoncellista. Accostatisi a casa sua i dieci manigoldi vi s'appiattarono e al momento opportuno, cioè quando il buon Dante uscito da casa sua s'accingeva ad accompagnare lo zio all'abitazione di lui, sbucarono fuori con i fucili spianati e perquisirono quelle loro due prede. Vistele disarmate incominciarono "la funzione". Terribili colpi di nervo colpirono il nostro compagno alla faccia; egli si difese come poté colla chitarra che teneva in mano, ma questa ben presto andò in frantumi ed egli con un gesto disperato (aveva la faccia letteralmente spaccata dai nervi ferrati) riuscì a divincolarsi e a fuggire. Non aveva fatto ancora dieci passi che una raffica di colpi l'atterrò. Appena a terra gli furono sopra e gli vibrarono trenta pugnalate. Poi col calcio dei fucili gli spaccarono la testa. L'assassinio fu compiuto con tanta malvagità e tanta brutalità impossibili a concepirsi. Lo derubarono di tutto e poscia minacciarono di morte (vigliacchi, ormai egli era già in agonia!) anche i militi della Pubblica Assistenza che andarono per portarlo via. Un milite piangente nel caricarlo sulla barella gli disse: "Coraggio Dante". Ed egli, col filo di voce che ancora gli rimaneva: "Sono episodi della vita... Non è niente... Datemi dell'acqua... Muoio". Il brigadiere sempre col pugnale in mano urlò infuriato: "Ah vigliacco! Vivi sempre. Sei più duro d'un bue". E gli sputò ancora addosso...» 

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(articolo pubblicato su «Gli Scamiciati» di Pegli il 9 aprile 1921, (serie II, num.12, pag.2) intitolato "Assassini"!)

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